< De Iciarchia
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Libro III
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LIBRO III


Battista. Salve, mi Paule, et vos salvete. Noi eravamo fra’ nostri libri, e se io sapevo prima che tu ci fussi, tu ottimo arbitro diffinivi certo dubbio mio qual ti narrerà qui Niccolò. Non dovevi rattenerti, ma venire oltre o farci chiamare.

Paulo. Io trovai qui questi giovani. Fummi voluttà udirli referire fra loro e’ ragionamenti intesi oggi da te. Affermano che mai occorse loro più felice dì.

Battista. Felici saranno essi el resto della vita loro, quando si vederanno fatti omini ben culti in dottrina, ornati di buoni costumi, per la loro virtù onorati, amati, adoperati.

Paulo. E che discettazione era la vostra?

Niccolò. Tu, Battista, esplicherai meglio la intenzione tua. Adonque a te rimetto questa opera.

Battista. Dissemi qui Niccolò che in sanato si trattava certa nuova forma e legge censuaria.

Paulo. Vero.

Battista. Vedi quello ch’io dicea: questo immutare ogni dì novo modo e circa e’ censi e circa gli altri ordinamenti della terra forse viene da inconsulta levità o forse altronde, e non senza detrimento della republica.

Paulo. Come?

Battista. Dicono ch’egli è meglio continuare osservando gl’instituti antiqui, quando ben fussero non così lodati, che romperli con nuovi ordinamenti. Le nuove opinioni insegnano disubbidire alle antiche leggi. Niuna cosa tanto perniziosa alla republica quanto diminuire la reverenza e timore della legge.

Niccolò. Certo.

Battista. Agiugni, questa città sempre fu presso di tutte le nazioni riputata degnissima per più rispetti, massime per la singular prudenza e incredibile sapienza de’ nostri cittadini, quali omini circunspetti, acutissimi, vigilantissimi, constituirono e adussero in summo grado questa republica. A tanta amplitudine non si perviene senza ottima ragione e ben gastigato modo di vivere. Né troverrete altrove legge e instituti publici da preporli a quelli che indussero e’ nostri constitutori. Dirò quello che mi soviene. Parmi non senza arroganza chi produce nuovo instituto e circa obliterare l’ordine già confirmato per uso e per esperienza comprobato. Questo si è un certo ripreendere e vituperare el consiglio e prudenza de’ suoi maggiori, se tutti insieme non videro prima, quanto costui solo testé conosce, e’ loro errori in cose tante volte riconosciute. E pur fusse in questi eleganti oratori in su quel pulpito qualche ragione o pensiere conveniente e commodo al publico bene!

Paulo. Qual fece tuo avo, Battista, tuo avo messer Benedetto Alberto: la legge chiamata «specchio».

Niccolò. Si certo, E così s’afferma per tutti che in quella stia el fermamento in molta parte di questa republica.

Battista. Da questi oggi nulla udirete che nuovo sia, nulla non più volte repetito; se già non dicessi che lo estirpare pecunia delle borse private con l’autorità publica a’ suoi cittadini infatto sia pur quel medesimo in questi qual fu ne’ prossimi dì sopra, ma per certo palliamento utile in que’ pochi forse che trattano le cose, si li muti el nome e chiamisi quando catasto, quando ventina, quando suo altro nome. Non voglio si referischino le parole mie solo circa queste imposizioni censuarie, quanto a simile proposito in tutte le innovazioni produtte in senato da chi le studia e confirmate dalla multitudine. Cosa intollerabile! Come patiscono i padri cupidi della quiete, amatori della patria, che tante agitazioni spesso perturbino questo stato, e insieme qualche volta molestino tutta Italia? Dieci leggi, non più a numero, dopo Moisè, resse tutta la nazione ebrea cento e cento e più volte cento anni con venerazione di Dio e osservazione della onestà, equità e amor della patria. A’ Romani bastò per amplificare la sua republica vendicarsi tanto principato, solo dodeci brevissime tabule. Noi abbiamo sessanta armari pieni di statuti, e ogni dì produchiamo nuovi ordinamenti. Se qualche publica ragione non induce costoro a simili innovazioni, forse gli tira qualche voglia privata. Le voglie, onde elle insurgono ne’ nostri animi, si sa ch’elle sono adiritte in costui a fine de accumularsi pecuglio, in quell’altro per satisfare alla voluttà, in voi per acquistare onore e fama. A questi vostri persuasori di cose e legge nuove, ditemi, qual minima parte di tutte queste gli soviene? A me quello che ne risulti loro non è ben noto.

Paulo. E’ tempi danno argumento e occasione alle cose, e non rarissimo importano necessità.

Battista. Non confermo e non confuto quel che tu dici. Pur crederrei che la intenzione e proposito del buon cittadino fusse constante e offirmata, e sempre operosa in acrescere e prescrivere tranquillità, amplitudine e maiestà publica. Se fra noi senatori in senato continuo si cerca questo,bene est.Che surridi tu, Niccolò?

Niccolò. Hen!...non altro...

Paulo. Tu accennasti pur voler dire qualche cosa. Sequita.

Niccolò. Più volte notasti fra noi quello che testé m’occorse a mente. Usitata corruttela. Subito che tale o quale sede in magistrato (lasciamo adrieto quanto esso studia, quasi come da una sua bottega, trarsene utilità), dico, pare che quasi intervenga a tutti questo, che sollicita sé e altri immutando, rinovando, introducendo nuove leggi e inaudite consuetudini, solo in mostrarsi faccendoso e sapere e valere troppo più che gli altri. Più tempo desiderai intendere onde sia questa improbità. A te, Battista, che ne pare?

Battista. Parmi che da natura nell’animo dell’omo sia infisso certo appetito d’essere inferiore a niuno. E da certo altro instituto ci diletterebbe essere superiore a tutti. Per questo in qualunque modo sia concesso, al tutto per usurparsi questo frutto della superiorità ello contende imporre agli altri qualche servitù. Le servitù tollerabili sono l’una coniunta alla onestà, e questa si chiami legge; l’altra viene collegata dal premio, e questa chiamerà la equità; la terza servitù tollerabile succede allettata dalla voluttà, e questa chiameremo amore. Trattone adonque la prontezza del gratificare, la iusta retribuzione del premio, la ragion del vivere con onestà, ogni altra ubbidenza sarà miseria intollerabile, e verrà da dominio violento e tirannesco. E quinci errano questi ambiziosi quali contano grandirsi, e non conoscono in che stia l’esser primario cittadino. Dissi, in altro sta, e dico ancora, dico, in altro sta il vero principato che in la servile obbedienza di chi o per temenza o per dapocaggine patisce la inezia e fastidiose saccenterie degli insolenti. Prima sono a noi mortali dal summo principe imposte le vere sempiterne legge alle quali tutti dobbiamo obbedire; e insieme sta diffinito dalla natura quel che l’omo debba temere o fuggire. Ultimo, a questo corrisponde quanto, dove, con chi, e quando e come tu, non maestro, no, ma ministro iudica e’ tuoi a questa servitù qual fece te moderatore degli altri.

Paulo. Io scorgo ne’ moti e gesti di questi giovani quello che desiderano, e voglio esser loro interprete. A questo che tu dici, Battista, pare che consequiti el resto de’ ragionamenti trattati oggi da te. Ciascuno di costoro desidera esser omo prestantissimo e suppremo agli altri. Tu, a seguire quanto essi appetiscono, esplicasti loro qual fu atto instituto e ragion ottima a vivere bene e beato moderando sé stessi; e insieme raccontasti circa il conversare civile onde sia che possino acquistar grazia e benivolenza dagli altri, in qual due cose consiste la eccellenza dell’omo. S’io non erro, qui resterebbe mostrare il modo a farsi al tutto superiore degli altri. Vorrebbono intendere da te in che stia questo vero principato, e qual via sia la più espedita a pervenirvi. Non ti sia grave satisfare al desiderio loro, e insieme alle nostre espettazioni. Qui venimmo solo per udirti.

Battista. Sediamo. Voglio, e piacemi, quanto in me sia, essere ossequentissimo a’ desideri loro, e fare ciò che tu mi chiedi: benché questa sia faccenda grave a trattarla, difficile a conducerla. Ma, come io feci disopra, così ora di cosa in cosa, quanto mi sovverrà in mente, recitarò e’ detti e ricordi de’ savi passati; e sarà frutto e diletto udirli, quando ancora io gli pronunziassi senza ordine alcuno. E’ maestri fabricatori dello acquedutto, prima ch’egli aprano onde si riceve l’acqua, curano e determinano per onde sia el suo corso e derivazione atto ed espeditissimo. Così bisognerebbe a noi in questa materia di sua natura amplissima, gravissima, diffusissima, provedere che ’l nostro ragionamento sia non abrutto, non disciolto, non confuso, ma condutto parte in parte con attitudine e facilità non ingrata. Non succederà questo quanto voi vorresti, incolpatene la dottrina: approverrete la intenzione mia in ubbidirvi. Per potere tradurmi in quel che resta, repetirò e’ primi ingressi nostri in questa causa. Noi proponemmo che ’l principato avea in sé certa ragione di moderare gli omini, e statuimmo che niuno può esser moderator di molti se non sapea bene aversi con pochi, e che ’l primo officio era moderar se stessi, e di questo moderamento privato trattammo sino a qui. Ora el governo e moderazione degli altri si porge in due modi; l’uno circa molti, come chi fusse proposto rettore d’una città, d’uno essercito, d’una provincia, e simili publici magistrati; l’altro quando fusse primo e superiore a pochi, come sarebbe a un numero d’omini couniti per confederazione, conversazione, consanguinità, e simile. E questo sarà magistrato sì, non però publico; ma sarà officio composto della cura domestica colla sollecitudine publica. Co’ ragionamenti nostri quanto io satisfaccia a’ pensieri vostri, Niccolò, e tu Paulo, el iudizio starà in voi. Dico a questi giovani: la intenzione e destinazione mia qui non è di referire e’ documenti atti al governo publico: altrove fia da disputarne: ma il procedere nostro in esplicare con qual moderazione di vivere colla multitudine simile agli altri privati cittadini, massime fra coniunti e familiari, ciascun di voi diventi primario e pervenga a tanta eccellenza in quello che sia in lui posto, non in la fortuna, che nulla più vi si possa desiderare, onde sequiti che insieme la famiglia tutta si trovi beata, onorata e felicissima. Raro, figliuoli, anzi mai mancherà che tu nato in famiglia nobile, non impotente, non abietta, allevato con ottima disciplina, osservando quanto noi esporremo, e perseverando in ben moderar te stessi, non pervenghi fra’ tuoi e in republica a grado eccelso, primo e illustrissimo.

Paulo. È che direte, giovani. E questo quello che voi desideravate?

Giovani. Sì.

Battista. Sequirete, adonque, facendo quanto vi disponesti per essere attissimi a tanta felicità.

Paulo. Sequere,Battista.

Battista. Atto principio a questi ragionamenti sarà intendere qual sia proprio quella qual noi chiamiamo famiglia. Quanto m’occorre dalla natura, pare a me che la città com’è constituita da molte famiglie, così ella in sé sia quasi come una ben grande famiglia; e, contro, la famiglia sia quasi una picciola città. E s’io non erro, così l’essere dell’una come dell’altra nacque per congregazione e coniunzione di molti insieme adunati e contenuti per qualche loro necessità e utilità. Le cose in prima necessarie sono quelle senza le quali non si può perseverare bene in vita. E se, come noi tuttora proviamo, dal primo ingresso a questa luce sino all’ultimo fine sempre all’omo sta necessità chiedere aiuto dagli altri omini, certo sempre furono a’ mortali utili e necessarie molto le coniunzioni, massime di que’ che sono nati e allevati insieme e contenuti da un volere esser l’uno pell’altro salvi e in buono stato. Questo simile uso di vivere insieme e ridursi sotto a un tetto si chiama familiarità; e questo numero d’omini così ridutti insieme si dice famiglia. E forse le coniunzioni familiari legate da consanguinità hanno insieme qualche commodità più necessaria che quella qual ci presta la città, massime quando così sia che la natura per sé pose insieme questi onde s’acrebbe in primo la famiglia. Ma furono poi le città constituite forse a caso, e non per altra ragione che solo per vivere con sufficienza e commodità insieme. E parmi che alla origine della famiglia el primo accesso fu amore, e indi el primario vincolo a contenerli insieme fu pietà e carità e certo officio richiesto dalla natura verso e’ suoi. In questi altri della città pare che certo fine, per più conservare sé stessi che per punto benificar gli altri, li congregasse. Quinci forse e non senza ragione affermerete che tu più debbi alla famiglia tua che al resto della città. Ma di questo non acade qui disputarne. Ultimo, quello che contiene l’essere e perseveranza insieme sì delle famiglie sì delle città si è l’uso e sufficienza delle cose necessarie e devute alla natura, qualunque elle siano. Se così è, affermeremo che quella famiglia alla qual mancherà niuna delle cose necessarie e commode, sarà quanto in sé sia come certa compiuta picciola città. E quella in cui abunderanno le cose atte a felicità, che maraviglia s’ella sarà felice? Tutte le multitudini da natura sono distinte in due ragioni di persone, de’ quali alcuni di loro per prudenza, uso e cognizione delle cose, e per autorità sono atti a inducere e reggere gli altri a buono e desiderato fine. Simili omini sempre furono in ogni congregazione rari e pochi, e a costoro si conviene certa opera e officio proprio loro. Al resto indi della moltitudine non così esperta, simile si richiede quello che corrisponde al debito loro: delle qual cose diremo succinte. Ma prima esplicherò quello che a tutti sia comune e richiesto nella università da ciascuno del numero loro. Conviensi presuponere che la famiglia sia un corpo simile a una republica, composto di te e di questo e di tutti voi: e sete alla famiglia come innati instrumenti e membra di questo corpo. El primo debito di qualunque sia parte di questa famiglia, sarà darsi operoso e studioso che invero tutti insieme facciano un corpo bene unito, in quale tutta la massa simile a un corpo animato senta e’ movimenti di qualunque sua parteetiamultima ed estrema mossa da piacere, o vuoi da offensioni. Quello che fa un corpo solido e, come si dice, resonante, non è solo lo adiungere e accostare questo a quello, ma ène el vincolo insolubile in quale l’uno sustenta ed è sustentato dall’altro. Udisti più volte che alle unioni degli omini l’amore fu sempre vincolo della eternità. Adonque, l’officio di tutti insieme sarà colligarsi e astringersi a una intenzione con ferma benivolenza. Prossimo susseguirà adoperarsi con ogni studio, industria, diligenza, quanto sia in qualunque della famiglia, che ’l nome e stato della famiglia sia con molta quiete, tranquillità e fermezza, onestissimo e onoratissimo. Adonque, ciascuno di voi per sé, e tutti insieme, e io con voi, saremo solliciti che né per nostro, né per altrui errore di chi si sia, la famiglia riceva detrimento,etiamin le minime cose sue. Da altra parte daremo ciascuno di noi ogni opera, quanto in noi sarà ingegno e facultà, che ciascuno del nostro nome sia, quanto concede la condizione umana, beato e felicissimo. Con questo sequirà, come el corpo ben sano, e simile ancora la nave ben composta, vale contro molte offensioni e contro molte avversità, e consegue con facilità lo ’ntento suo, così la famiglia bene unita e ben conformata, e in tutte le membre sue ben sana, soffre con buona sicurtà l’impeto delle invidie e le traversie de’ tempi, e conducesi a stato desideratissimo. Dicono che quella famiglia sarà ben sana e pertanto beata, quale arà fra’ suoi niuno pravo, niuno iniquo, e tutti studieranno satisfare al debito loro. El debito di ciascuno di voi in tutta la vita sempre fu, sempre sarà cercare el vero, seguire el bene, servare l’animo libero, piacere a tutti, amare e’ buoni, fuggire ogni biasimo.

Ora sequita referir l’officio de’ più atti a inducere e sé e gli altri a fine ottimo e desideratissimo; onde poi depende quanto s’appartiene al resto della multitudine non così esperta.Iterumraffermo quanto io proposi: noi non investigheremo co’ nostri ragionamenti quale occasione faccia abbiente e potente alcuno in quelle cose qual concede e priva la fortuna, poste sotto la varietà de’ tempi, e mosse più da caso che da ragione. E giovi qui referire quanto m’occorre. Al timone sede colui in verità poco pratico in mare, inerte, nulla intendente, a cui o per sorte o per favore della multitudine fu concesso questa preeminenza. Ivi presso sono alcuni circunspetti, pronti, essercitati in le navigazioni seconde e nelle avverse. Qual di costoro sarà in questa cosa marittima omo più eccellente e prestante, giovani? Direte voi che sia quello fortunato quale sede a luogo primario della nave?

Giovani. No.

Battista. Quali adonque, saranno e’ veri primari principi in questo?

Paulo. E chi ne dubita? Questi che più conoscono, e meglio sapranno provedere a quello che bisogni.

Battista. Tu dici il vero. E così noi adestreremo ciascuno di costoro in quella eccellenza qual puote la ragione e opera dell’omo ben conseguire, e questo cercheremo, el resto speraremo. In questa causa quanto apartenga a voi, giovani, credo io basterà se al tutto vi disporrete essere fra la moltitudine per bontà nulla inferiori a qualunque prestantissimo, e pari studierete darvi primi fra quelli che siano modestissimi, culti in dottrina, e ornati in virtù, e osservantissimi della religione e de’ vostri maggiori; qual cose tutte sono tante in voi quanto voi le vorrete. In quelli che saranno per uso più periti e per età più maturi, questa cosa se io la considera pura, solo in sé, ella mi pare simile a un patrocinio e tutela onesta a chi la tratti, utile a que’ che meno sanno e meno vagliono in quello che loro si richiederebbe, e in prima molto e molto necessario alle famiglie. E a voi che ne pare?

Paulo. Parci utile certo e necessario a ogni moltitudine avere chi la governi.

Battista. Vero, e tanto che senza moderazione de’ superiori quasi sarà impossibile ch’ella possa vivere altro che dissoluta e perturbata. Se ciascuno per sé facesse el debito suo, sarebbe cosa felice, ma peccano questi per ignoranza, quelli per improbità innata, quegli altri peccano mossi da altra ragione non buona. Pertanto vi bisogna chi vi provegga. In le congregazioni civili a questo in molta parte vi provede la legge, providonvi le constituzioni publiche. In questa nostra tutto il moderamento depende dalla prudenza, diligenza e modo de’ più discreti. E porgesi questo nostro patrocinio, composto come noi dicemmo della cura domestica colla publica sollecitudine, in molte cose non simile a quella publica, civile amministrazione. E’ principati e signorie delle città non raro se acquistano con insidie, fraude, confederazione, e impeto d’arme, e sono per sé pieni di sospetti, paure, odi, difficultà, pericoli, e stanno sempre esposti a prossima ruina, e reggonsi con violenza, rapine, simulazioni, dissimulazioni, crudelità. Questo nostro continuo s’acquista con simplice e aperta bontà, e pronta benignità e facilità; porgesi iocondo, ameno, suave; rende contro le avversità molta sicurtà e difesa; reggesi con amore, carità e officiosissima gratitudine.Iterumin quello publico principato civile tutte le forze e fermezza sue sono in cose di sua natura volubili, instabili, incerte, più poste in la sequela e perfidia d’altri che in la disposizione sua. Questo nostro fondato in certa generosità d’animo virile, cupido de essere vero principe e ottimo rettore de’ movimenti suoi più che di parere agli altri eccellente, sta pieno di fede, pietà, benignità, benificenza, e vive constante, perseverante in le cose oneste e lodate. Adonque, sarà più valido e più stabile. Ecci questo forse, che quanto el nostro è più in sé elegante e degno, tanto vi bisogna modo e diligenza più escogitata.

Paulo. Qual di noi padri non prova quanta bisogni sollecitudine a chi prese aver cura e moderazione sufficiente, non dico degli altri ma solo de’ suoi? A me pare questa opera molto laboriosa, molto intricosa.

Battista. Non di sua natura, Paule, ma viene questo da’ costumi depravati co’ quali cresce la gioventù male custodita. La natura fece l’omo disciplinabile, prono ad umanità. El crescere con dissoluta licenza lo rende contumace. E nasce tanto male più dalla troppa indulgenza de’ maggiori che altronde, però che quando e’ suoi sono teneri d’età, e’ maggiori desidiosi e negligenti non curano e lascianlo’ ausarsi a costumi parte leziosi parte provani, onde imparano superare la onestà colle insolenze e caparbità. Degni di biasimo, più studio pongono in accostumare el sparviere alla venazione che in accostumare il figliuolo a virtù. Non nego a questo nostro patrocinio così come nell’altre buone arti, bisogna ragione e modo, e conviensi avere a te non tanto quello che facci allo officio tuo, quanto sapere bene adoperarlo. Altro sarà tenere in mano la squadra, la linea, lo stile; altro adattarlo bene al tuo lavoro. In teatro non si concederebbe che uno imperito in musica fusse duttore de’ danzatori. Molto più si conviene darsi a questa nostra opera con maturata professione quanto ella è molto più degna. Mai conducerai gli altri a buono diporto, se a te non sarà la via ben nota. Agiugni che forse come el pesce nato in acqua salsa richiede ancora condimento di più salina, così qui a’ precetti vulgari e noti in questa amministrazione ora per ora bisogna adattarvi nuovo temperamento.Preterea,quando ben fusse questa provincia laboriosa, non dovete però voi omini ottimi recusarla. Fuggire la cura de’ suoi perché ella è faticosa, viene da lentezza d’animo desidioso; e recusarla forse perché ella viene senza utilità, sentirebbe di villania e sarebbe inumanità. Degnissimo ricordo quello de’ nostri maggiori: richieggono e’ tempi da te fatica, non la recusare; prendesti questa sollecitudine, reggila con tolleranza e fermezza d’animo, e modera tutto con buon consiglio. Quello che per te gioverà a costui o a quest’altro, ben sai gioverà a tutta la famiglia; e quello che giovi a tutta la famiglia, certo gioverà ancora a te, e in prima el premio dell’opera resulterà proprio a te. Né sarà poco acquisto a uno animo generoso riconoscere ch’e’ suoi sono obligati a portarli amore perché fu officioso verso di loro. Ma se tutti insieme sequiranno e’ ricordi quali io racconterò, sarà opera più iocunda che difficile.

Paulo. Io intrapresi essere interprete per questi giovani. Ecco, quant’io vedo, el frutto dell’opera perviene a noi più attempati. E piacemi. Seguita.

Battista. Non è dubbio che secondo la natura a que’ che più sanno sta come debito curare e conducere que’ che sono meno instrutti. Che così sia tuttora vediamo, che noi uniti da innata carità, pronti e non senza imperio, revochiamo quello e quell’altro incauto quale via sotto la ruina del tetto o contro la offensione di qualche fera malefica, e mostrànli el periculo quale esso non scorgeva. E per questo pare che da natura l’officio del moderare la moltitudine stia ne’ vecchi, non perché e’ siano vivuti molto, ma perché l’uso ed esperienza delle cose qual abisogna non s’acquista senza spazio e processo di tempo ed età. Cosa ridicula in uno omo, se non mostra del vivere suo tratto altro che solo el numero degli anni consumati. Testimone de’ giorni bene adoperati voglio che siano la grande cognizione di molte cose, e la maturità, gravità e prudenza acquistata a sé, e insieme l’opere dello ingegno produtte a utilità degli altri. E se questo officio del reggere sarà degnissimo colui qual sarà supremo agli altri nelle cose prestantissime, certo e’ buoni e virtuosi in prima saranno attissimi. Nulla si trova prestante sopra la virtù, e per questo ben fu instituito in alcune onoratissime republiche presso de’ passati che ’l summo magistrato e imperio s’accomandassi a’ virtuosi e integri, e sforzassergli ad essequirlo. Quello onde consentirono e’ populi a stare sotto la iuridizione di chi gli regga, fu per vivere insieme senza iniurie e fruttare le cose sue con libertà quieta. A questo potrà niuno conferire più che l’omo savio e virtuoso. Ma qui bisogna che in la famiglia sia non tanto chi mostri e regga con ragione quanto chi pronto ubbidisca senza contumacia. Converrà che questo moderatore si presti tale ch’e’ meriti riverenza, e ch’e’ suoi lo iudichino degno d’essere ascoltato e ubbidito. Via espeditissima a inducermi ch’io ti ubbidisca sarà che tu mi commandi cosa quale io,etiamsenza precetto d’altro, farei e volentieri, se io la conoscessi. E questa qual sarà? Saranno tutte quelle cose quali io intenderò che conferiscano alla salute mia, alla onestà, utilità e contentamento mio, o quelle che tu, omo grave, prudente, integro, amorevole, curioso del ben mio, quale io per amore e carità verso di me reputo in luogo di padre, mi dirai. Crederotti, seguirò ricordi, consigli e amonimenti tuoi, ubbidirotti. E queste medesime cose, benché a me utili e commodissime, se tu le comandassi con temerità e acerbità e con imperiosa arroganza, e dove e quando non si convenisse, forse le ricuserei per non ricevere a me subiezione indegna e servile. Sì che adonque mi pare bisognerà che in questo nostro precettore sia buona cognizione delle cose utili e necessarie a vivere bene e beato, e siavi studio e diligenza in osservare tempi e luoghi atti e oportuni alle faccende, e siavi autorità e bontà e modo acetto a chi lui si porgerà moderatore e direttore. E sopra tutto in costui desidero che sia vero amore e carità verso de’ suoi. Non mi basterà s’egli ama te e quello e quegli altri quanto per sé merita ciascuno, ma voglio ami quanto più possa effundere la pietà d’uno vero buono omo. Le condizioni d’uno omo buono, giovani, sono queste: sempre con tutti in ogni movimento suo s’adopera in bene; ama, favoreggia, aiuta e’ simili a sé, e studia in ogni modo essere principio e motore e dar ragione agli altri a diventar pur buoni e a perseverare ne’ buoni costumi; supplisce dove bisogna; non resta inducere quelli che lo ascoltano a vivere secondo la virtù con buona grazia; mostra, insegna, apre ogni addito e via di pervenire a onore e felicità; augmenta in bene ciascuno quanto sia in sé; concerta con gli altri e seco stessi in fare ciò che può, sì ch’e’ suoi provino e conoscano che la carità sua verso di loro nulla può esser maiore; né desidera essere dissimile dagli altri se non quanto l’opera sua possa molto giovare benificando a tutti. Questo così fatto, quando colla sua vigilanza e circunspezione provederà quello che sia utile e accommodato a qualunque de’ suoi, e quando collo studio, diligenza, ello assiduo cercherà rendere beati e’ suoi, che dite, giovani, che vi pare, arà costui in sé meriti condegni a quello principato quale voi desiderate? Quello sarà ottimo principato quale contenti e’ suoi sudditi tale che non lo chiederebbono migliore.

Paulo. O beata quella città dove in qualunque famiglia sua fusse uno omo tale!

Niccolò. E quanto beata! E se questa nostra republica un tanto numero avesse omini simili, pur dieci, pur sei... Non dico più...

Battista. Or sì, lasciamo le cose publice. Seguiamo el proposito nostro. Di questo nostro, — come lo chiameremo? Pogniàngli nome tolto da’ Greci, iciarco: vuol dire supremo omo e primario principe della famiglia sua, — l’officio suo, insumma, sarà avere cura di ciascuno per sé, e intendere quanto ciascuno vaglia e quanto possa ciascuno solo e quanto con gli altri, e indi provedere alla salute, quiete, e onestamento di tutta la famiglia. E sarà sua impresa dare ogni opera d’essere in questo superiore agli altri primi. Quelli saranno qui nel numero de’ primi quali sanno e vogliono essere utilissimi a’ suoi, e con studio e diligenza curano il bene di tutti gli altri. Adonque, el nostro iciarco riceverà a sé questo obligo, di fare sì che amando e benificando e’ suoi, tutti amino lui, e tutti lo reputino e osservino come padre. E porgerassi tale ch’e’ suoi aranno lui non solo instruttore e duttore, ma tutti lo miraranno con reverenza, e rallegrarannosi avere costui domestico essemplo a imitarlo per molto meritar colla sua virtù. E in faccenda veruna con più diletto, con più pensiere, con più assiduità e diligenza s’adoperarà, che solo in far gli altri simili a sé, ottimi, costumatissimi, dottissimi e ornatissimi. L’arme ben pulite e le superficie de’ corpi tersi bene e mundi d’ogni rozzura rendono splendore, e danno lume apertissimo, diffusissimo. Contro, dell’acqua e vetro sordido e fecciosa non si effunde el razzo illustrissimo del sole. Così l’animo dell’omo puro e ben composto sparge buona grazia, e produce buono effetto; e certo l’animo sordido e turbolento da’ suoi vizi, mai potrà in altri quello che non può in sé stessi. Quelli sono fabri che fanno l’opere fabrili, e buoni quando e’ le fanno bene. Qualunque non stultissimo facesse professione d’esser musico, a costui diletterebbe adoperarsi in musica, e vorrebbe quanto in sé fusse al tutto esser non inferiore a’ musici buoni. Così chi vorrà esser riputato padre buono, integro, e simili, farà l’opere dovute a’ padri buoni, integri, e simili. Sarebbe sciocco, inetto, chi credesse che solo il nome facesse me essere padre. L’essere padre sta in avere in sé le cose dovute a’ padri, e in aoperarsi come padre. In questa nostra iciarchia la intenzione nostra sarà più circa informare omini dati a noi dalla natura, che circa riceverli datici dalla mamma. Dirà quello da’ suoi piccini nati in casa babbo: «costui è mio figliuolo». E io dirò: «vero; ma tu lo facesti simile agli altri animali nati con due piedi, io lo feci simile per virtù a uno dio terrestre». Voi giovani, a chi diresti che costui così ornato da me fusse più obligato, al babbo o a me vero e ottimo padre? E non dubitate che mai niuno scalderà te ad amarlo come padre, se in lui non arderanno princìpi di vero amore paterno. E simile con quella ottima ragione qual tu proponesti a te per acquistar virtù, con questa medesima facile conducerai gli altri ad imitarti.

Ma torniamo a proposito. Dicemmo in genere qual sia el nostro iciarco, e quanto si convenga allo officio suo. Ora diremo el modo e opera circa le cose più particulari. La prima cura sua sarà che la famiglia sia senza niuna discordia unitissima. Non esser unita la famiglia circa le cose onde sequiti detrimento, giova, non lo nego; ma non esser unita circa quelle che giovano, nuoce sopra modo molto. E massime alle famiglie sono le domestiche contenzioni ultimo esterminio. Quinci hanno e’ nimici a pieno quello che desiderano in te; e tanto più questo, quanto gli amici hanno meno addito a interporvi l’opera sua. L’inimico nostro porgerà favore e aiuto a te, a me conterrassi, quanto e’ vedrà poterci nuocere. L’amico nostro comune, quella impresa che pigliarebbe per me contro a uno meno suo familiare, quella medesima fuggirà tentarla contro a te, e stimerà più utile non imminuire la benivolenza tua che raffermare la mia, quando così sia che male possa omo favoreggiare la causa mia senza offendere te, mio avversario. E videsi più volte in più luoghi chè la conspirazione e confederazione di pochi superò e condusse lo stato d’una città secondo e pensieri e voglie loro, contro la volontà di tutti gli altri non bene uniti. Questa coniunzione e consenso alle famiglie fa che ciascuno di loro sta simile a quello Briareo vostro, giovani, quale e’ poeti fingono che avea molte mani, molti occhi, qual cosa dissi ch’io desiderava a me. E simile goderò sia l’uno pell’altro in voi. Credo dire el vero, e così affermo: se questa famiglia vostra, giovani, sarà per voi in tempo quello ch’io spero, voi arete tal luogo in questa republica che tutti e’ buoni cittadini si rallegreranno della felicità vostra. Mai niuno potrà disturbare lo stato vostro più che voi stessi.

E non sono divise le famiglie solo per le contenzioni e discordie, né saranno unite solo per lo abitare insieme. Alcune altre cose utili a intenderle, danno alle famiglie unione meno che non si converrebbe. Pare che da natura siano le voglie de’ giovani dissimili da quelle de’ vecchi. E così come la similitudine de’ costumi, instituti e studi porge addito prontissimo alla benivolenza, così la dissimilitudine proibisce e recusa quella compiuta unione quale si richiede nel vero amore. S’e’ giovani in tutto instituissero essere in ogni costume simili a’ vecchi, e contro, e’ vecchi pigliassero abito e movimenti giovinili, sarebbe all’uno e all’altro impresa difficile e non ben condegna. Ecci al bisogno nostro questa adattezza competente e conveniente all’uno e all’altro, ch’e’ vecchi si ritrovino spesso co’ giovani in lieta familiarità, massime alle cene. Non so donde sia che questo trastullo del motteggiare in mensa concili tanta grazia e domestichezza. E qui basterà s’e’ giovani aranno quanta modestia richieggono e’ buoni costumi e reverenza de’ maggiori, e s’e’ vecchi deponeranno quella severa gravità loro e porgerannosi umani, facili, affabili, quanto indi apparisca che degnino aguagliarsi alla gioventù senza levità. Meno fatica sarà a uno di noi, Paule, in questa età maturi, repetere la ilarità e festività qual fu in noi in quel fiore della gioventù, massime dove la suavità de’ buoni costumi in questi giovani c’inviti a pigliarne voluttà e recrearci, che non sarebbe a questi giovani deponere el gaudio e letizia giovenile e fingere in sé la durezza e tristezza della vecchiaia. Come la osservanza loro verso di noi eccita in noi più ardore di carità, così el fronte, la affabilità, facilità, benignità nostra alletterà questi ad amarci. E dobbiamo desiderare da loro più molto d’esser amati che temuti. Se tu donandomi insegni a me referirti cortesia e merito, certo dandoti a me benigno, ossequente, trattevole e amichevole, riceverai domestichezza pari e amorevolezza. Saranno e’ ragionamenti de’ vecchi alla gioventù ne’ conviti lascivi nulla, ma ben iocosi, ameni, consentani a’ diletti iuvenili. Racconteremo casi rari accaduti in la venazione; diremo de’ cavagli, de’ cani, dello uccello rapace, della piscazione, natazione; loderemo chi si portò nel certame publico in arme con virilità e fermezza; ascolteremo poeti e musici, approveremoli senza assentazione; interporremo qualche discettazione atta a movere onesto riso; reciteremo qualche degna istoria de’ tempi nostri. Nel resto darete voi padri ogni indizio ch’e’ vostri studi passati vi fecero dotti, l’uso periti, la diligenza cauti circa le cose del vivere. Ma sopra tutto daran più opera e’ vecchi in essere conosciuti amorevoli, pieni di fede e di bontà, che di parere molto pesati e circunspetti. Ultimo, cureremo ch’e’ minori d’età ardiscano teco esplicare e’ pensieri loro e consigliarsi sperando che la fede tua gli giovi non meno che la perizia e sagacità. E tu indi in quelle cose quali e’ potrà per sé, li mostrerai reggersi colla ragione e buona discrezione. Quelle che saranno in arbitrio della fortuna vi consiglierete insieme col tempo, e ne’ casi dubbi vi reggerete con prudenza. Nelle avversità confermerete all’animo fortitudine; in le cose seconde e prospere adatterete gesti, fatti e parole che siano da ogni parte modestissimi. Egli è molto più difficile reggersi bene nelle cose prospere senza modestia, che nelle avverse colla virtù. Diffiniscono la modestia ch’ella sia certa scienza circa ordinare e collocare detti e fatti a luogo e tempo con ragione. Tale adonque saranno e’ vecchi in adattarsi colla gioventù a domestica familiarità. E’ giovi qui, Niccolò, dico, e a te, Paulo, giovi motteggiar con questi. E sarà quasi come essemplo atto a questo proposito, massime quando così sia che le cure amatorie siano a questa età molto adiudicate. L’amore, giovani, ha in sé due voluttà e due dolori: l’uno dura breve tempo, e questo mi pare sia el coruccio, e dicesi le risse degli amanti rinuovano l’amore; l’altro dolore dura troppo, e questo si è la gelosia. Delle voluttà, quella quando soli insieme satisfanno al desiderio, dura molto poco; ma quella festività e amenità per quale s’incende el desiderio, porge sollazzo quanto e’ buoni costumi e la modestia ben retta gli governa.

Paulo. Eia! E che ridete voi giovani?

Niccolò. Quale eleggeresti voi, o quella breve voluttà, o questo diuturno sollazzo?

Battista. Penseretevi. Or sì, e dicesi spesso: fammi l’uno ricco, l’altro povero, e arai divisa fra loro l’amicizia. Questo, s’e’ giovani saranno allevati con disciplina e costumi racconti da noi, e s’e’ padri della gioventù adopereranno quanto si richiede, non interverrà nella famiglia, primo perché la povertà non abita se non con la desidia, coll’ozio e inerzia, poi arà in loro più forza la bontà a mantenere l’amore e raffermare el vincolo della confraternità, che non arà forza la inumanità a fastidirsi e odiarsi insieme. Omo allevato con industria e buona civilità non vedo che possa per età esser povero. E dove sarà lo amore, ivi sarà comune ogni altra cosa. Chi desiderasse ricchezza per non benificare a persona, sarebbe peggio ch’una fera immanissima. Le bestie crudelissime quello che avanza loro lo cedono agli altri. E tu a che fine vorresti avere ricchezze se non per bene adoperarle benificando, e a chi vorresti far bene prima che a’ tuoi, massime fatti da te simili a te in bontà e virtù? Ma niuna dissimilitudine, niuna disgregazione e alienazione d’animi e volontà mai sarà da natura maiore quanto de’ buoni virtuosi mansueti contro a’ viziosi ambiziosi rapaci. Gli studi, le voglie, le deliberazioni al tutto fra questi sono opposite e repugnante.

Niccolò. Mala cosa la improbità d’uno, massime concitato da ambizione o da avarizia e cupidità. Quinci le invidie, le iniustizie, risse e ogni perversità.

Battista. Sì, ma non cade questa nequizia negli animi maturi e ben composti, massime fra coniunti. Quale stolto non sente che lo onore e lume posto in qualunque suo propinquo, risplende ancora a sé? Quella emulazione per quale tu cerchi meritar fama e gloria sopra gli altri, viene da prestanza d’ingegno e generosità d’animo, e acquistila non con malignità, ma solo con virtù quale sede in te. E ben disse colui: in che sarà il re de’ Persi maiore omo di me, se io sarò iusto più di lui? Brutta iniustizia rapire ad altri quello che tu non li possa restituire. Se ’l nostro iciarco, omo bono e dotto, arà le condizioni richieste in lui, tutti lo ameranno, tutti seguiranno e’ vestigi suoi. Niuna invidia vi si avolgerà, niuna mala contenzione vi insurgerà: solo concerteranno a gratificarsi e benificarsi insieme. Questo farà che a ciascuno per sé qualunque degli altri sarà in luogo di padre e di fratello. E tanto sarà nella famiglia questo imperio glorioso quanto chi comanderà, e pari chi ubbidirà sarà migliore.

Niccolò. Non volsi interrumpere il dir tuo. Ed è vero: dove sia integro amore, ivi sarà comune ogn’altro bene. Pur cosa più facile a ragionarne che a ritrovarla oggi fra’ nostri costumi. E in tanta dissimilitudine quanta interviene fra questo buono e quello altrove vizioso, concedoti non può essere amore né vincolo fra loro comune che gli contenga in ferma benivolenza: non si può negare. E dicesti quello che doverebbono e’ maggiori, e quello che tornerebbe utilissimo a’ minori, e molto mi piacque. Ma vediamo; sequi, a fare che niuno de’ miei senta povertà, questo che tu contasti, Battista.

Battista. Io e più volte e non poco pensai a questo. E forse affermeresti ch’egli è difficile colla sola bontà superare la fortuna, sì che tu non senta le molestie sue; e vedesi che molti omini pur buoni per vari casi si levorono poveri quali erano posati a letto ricchi. A me veniva questo in mente: s’egli è bello in una famiglia vederli che nel vestire e’ paiano fratelli, molto più sarà quando con ogni officio di benivolenza si porgeranno coniuntissimi. E sarebbe indi forse non meno da lodarli quando e’ volessero ancora colle cose della fortuna aversi l’uno all’altro pari. El carico delle ricchezze tutto posto da un lato si porta con molto male assetto; e quando le ricchezze pervengono a pochi, raro che questi non diventino superchiosi e contumeliosi. Non però mi pare da privarne chi le possiede. Dicono che quanto io indugio a farti bene, tanto non voglio. Non però manca ch’io non possa domani quel che oggi non volsi. Ma se modo ci è da provedere alla instabilità de’ tempi contro la volubilità della fortuna, sarà forse fra gli altri questo: quando la famiglia si trovi in stato fortunato, bisogna provedere quanto sia in te a quello che sogliono apportare e’ casi impremeditati. Adonque a me piacerà se tutti insieme constituiranno tanta casa dentro la terra fra’ suoi, e tanto terreno altrove in luogo sicuro, che indi si pasca e riposi chi altronde potesse meno.

Ma torniamo al proposito nostro. Sono gli animi e mente degli omini vari e differenti; alcuni sùbiti al coruccio; alcuni più facili a misericordia; alcuni acuti, suspiziosi; alcuni creduli, puri; alcuni sdegnosi, provani, acerbi; alcuni umani, trattevoli, ossequiosi; alcuni festerecci, aperti, goditori; alcuni subdoli, solitari, austeri; alcuni amano esser lodati, soffrano esser ripresi; alcuni contumaci, ostinati a ubbidire niuno altro che la legge; duri nel comandare, crudeli nello sdegno, effeminati ne’ pericoli, e simili: sarebbe prolisso raccontarli. Conviene che ’l nostro prudente iciarco esplori, tenti, ricognosca ora per ora costumi, vita e fatti di ciascuno de’ suoi, e a ciascuno adoperi ottima e accomodata ragione di comandare. Adonque userà non sempre, non con tutti quello uno medesimo moderamento, ma adatterà la varietà degli imperi alla varietà degli animi. Gl’imperi e ragioni del comandare agli omini si vede palese che sono differenti. E al padre dicono ch’egli ha sopra e’ figlioli imperio domestico iusto simile a un re. E confessasi che ’l comandare sia proprio officio del padre, e al figliolo sta debito ubbidire. A’ fratelli conviensi il consigliare: el marito impera alla moglie, el precettore a’ discipuli, el fratello ancora a’ minori; e allo amico par licito in qualche modo comandare. L’architetto comanda a’ suoi operari fabbri, el nocchiero in mare agli altri ministri della nave, el medico allo infermo, el duttore dello essercito a’ suoi armati, el magistrato a’ cittadini. Que’ che ubbidiscono a costoro soffrano quella subiezione non per uno solo, ma per vari rispetti. E’ figliuoli allevati sotto quella ubbidienza imparon da piccioli ubbidire el padre. La moglie ubbidisce in prima per non imminuire l’amore e grazia del marito. Al precettore, quanto el discipulo più sarà cupido d’imparare, tanto più lo ubbidirà circa le cose onde e’ diventi più dotto. E quest’altro, quanto e’ più conoscerà essere amato dal fratello o dallo amico, tanto più l’ascolterà e seguirà e’ suoi ricordi e amonimenti, massime se crederà che sia bene esperto. Gli operari sono obligati al premio per susservire. Questi altri in mare fanno quanto dice el nocchiero per non pentirsi navigando e per conducersi in porto con secura navigazione. E questi per liberarsi dalle lassitudini e raffermarsi a sanità ubbidiscono al medico. La disciplina militare può sopra e’ suoi armati: la severità delle leggi impone maiestà e venerazione al principe. Tutti questi imperi bisogna che ’l nostro iciarco sappi adoperare in tempo. Di questi niuno da natura perfetto più che ’l paterno. E quando dallo iciarco si richiede, come noi dicemmo, che sia per amore padre a tutti, converrà si porga tale che meriti reverenza paterna. Adonque sarà maturo, grave, moderato; fuggirà ogni suspizione di lascivia, però ch’e’ vizi benché minimi sono molto notati negli omini degni; comanderà non come a’ servi, ma ecciteralli, comoveralli come carissimi figliuoli a fare quelle cose onde e’ siano salvi e beati; e’ cercherà in tutti e’ modi essere amato da loro, e riceverne in tempo consolazione di vederli per sua opera fatti felici. A questo nulla gioverà quanto farli amatori della onestà e studiosi delle cose lodate. Tanto sarà ogni imperio perfetto, quanto el principe farà bene a’ suoi e quanto e’ suoi ameranno lui. E tu, quanto chi t’è figliuolo sarà migliore, tanto lo amerai più, e lui pari a te retribuirà vero amore. Con quegli che saranno aspri e ritrosi ed elati, forse perché e’ sono più fortunati che gli altri, — qual vizio suole abitare insieme colla improbità femminile, — tu iciarco userai lo imperio del marito, e seguirai mitigando con blandizie più che con rigore di parole, e conducera’li con lusinghe più che con precetti, e aiutera’li mitigare que’ suoi costumi inurbani, persuadera’gli che la facilità e umanità, l’essere ossequioso rapporta più utile che l’essere riputato abbiente e potente. A quelli che saranno ventosi e cupidi d’essere appellati splendidi e godono essere acerchiati da molti assentatori, e’ dotti e periti nella ragion del vivere mostrerannno col raccontare gl’incommodi sequiti agli altri simili malconsigliati, che la vera gloria e degna fama non s’acquista con prodigalità e vane ostentazioni, ma con moderare sé stessi e curare più d’essere iusto, buono, temperato, officioso, che di essere portato in voce de’ fabulatori. Con quelli che troppo atribuiscono alle voglie sue e troppo stimano el proprio iudizio suo e sentenza, useremo la licenza concessa a chi te ama: favellaremo aperto, libero, in modo che s’avederanno quanto ci piacerebbe che seguissero instituti e via più atta a intendere el vero delle cose da’ suoi princìpi in acquistar prudenza e sapienza. Con questi simili ingegni voglio quanto sia in te usi ogni diligenza circa e’ princìpi onde succedano a’ giovani corruttele e alle famiglie perturbazioni. Dicono che ’l principio di molto male sta in permettere ch’e’ fanciugli e le femmine s’ausino a mantenere le voglie sue. Da questa dissoluta libertà nasce la insolenza e intemperanza: vizi pessimi, pestiferi alla gioventù. L’omo intemperato e dedicato alla voluttà in molti modi nuoce a sé e nuoce agli altri, e consumando nelle voluttà il suo, non solo rimane inutile a sé e a’ suoi, ma seguene che impulso dalle necessità impara appetire gli altri, e diventa iniurioso e dannoso a tutta la famiglia. E può tanto la intemperanza che sendo in uno solo, ella facile vizierà tutto il resto della gioventù quale conversi seco. Adonque bisogna ne’ primi cenni e indizi usarvi ogni arte e ragione in eradicarli. Meno faccenda sarà contenere chi ora cominci a correre, che opporsegli nello impeto e furor del corso.

Agli omini liberi dicono che le lode e le vituperazioni sono gli stimoli a concitarli, e in luogo di busse a gastigarli. Di natura sono certe faville nell’animo dell’omo pronte a illuminare la mente co’ radi della ragione. Troverai niuno a chi non piaccia el bello e non appetisca il bene. Nulla si trova invero per sé bello quanto la virtù; nulla in tutta la vita comodo quanto la bontà. E agli omini per età non ancora infusi d’alcuna mala impressione, facile s’accenderà voglia e ardore ad acquistare lode e buona fama, quando tu assiduo lo ecciterai a mirare e riconoscere la carità e splendore che insurge dalla virtù. Adonque in ogni ragionamento, presente e’ giovani, si vuol con laude ponere in cielo quello e quell’altro virtuoso e accendere in loro cupidità di gloria. E contro, bisogna insistere mostrando quanto sia brutto, dannoso, detestabile el vizio. Chi impara odiare el vizio acquista in sé in molta parte virtù. Ma quando per la varietà degl’ingegni bisogni adoperare imperio più severo, useremo rimedi simili al medico, quale adopera al bisogno medicamenti mordaci, e saremo, quanto patirà el bisogno delle cose, ancora simili al duttore dello essercito, rigidi osservatori della disciplina atta a’ buoni costumi: porgeremo in tempo el fronte imperioso e pieno di maiestà religiosa. Non ogni pianta si può domesticare, né ogni fera si può far mansueta. Questo argentario con questi instrumenti, con questo medesimo artificio e modo non può d’una medesima massa d’oro stampare monete tutte simili finite e da ogni parte perfette. E se vi sarà forse qualcuno quale tu nulla potrai renderlo migliore con arte tua e diligenza, almeno cureremo che non diventi piggiore. Quello che stia prono a ruina e non si può reggere, di necessità perirebbe se qualche opposta forza non li resistesse. Questi tali incorretti si vogliono esterminare lungi dagli altri, non dove e’ vivano miseri e abbandonati, ma dove e’ dimentichino le delizie e depongano e’ vezzi e interlassino le lascivie, e intendino quanto possa la industria a riporgli in miglior vita e stato; e sarà questo non escluderli a servitù, ma sarà un revocarli a salute. E doveratti meno dolere che in mensa sia de’ tuoi testé uno meno a numero, che vederlo inutile e da meno che non se li conviene. E sarà molto salutifero in questo modo levarli e alienarli dalla conversazione de’ voluttuosi, immodesti, petulanti, insolenti, arroganti, rissosi, temerari, temulenti, però che con questi diventerebbono ogni dì più dannosi a sé, molesti a’ suoi, perniziosi alla patria sua.

Niuna cosa tanto pestifera ed eccidiosa a una città quanto sono e’ suoi propri cittadini improbi e malcorretti. E sopra tutti e’ vizi, se tu lo vedi dedicato e adiudicato a quella bruttissima pravità del giuoco, ponvi rimedio. E bench’ella sia cura più da non la recusare che da sperare sanità, tu pure con ogni arte, studio, diligenza, industria, ancora e ancora e senza intermissione osserva e’ gesti e le compagnie sue, cura che si rammendi e ritraisi da tanta perversità. Detestabile cosa el giuoco! Vita inquietissima quella del giucatore, sentina di vizi abominevoli! Non so vedere che ’l giuoco venga altronde che da miserabile avarizia. Gli altri sono avari per serbare e sé e il suo contro a’ casi della fortuna: el giucatore con arte buone e non buone, anzi con ogni scellerata malizia e fraude rapisce quello d’altri per esporlo in albitrio del caso qual può venire nella volubilità d’un dado. E cresce in loro dalla avarizia el furore e rabbia del giucare, e dal giuoco arde l’avarizia. Che maraviglia adonque se uno giucatore s’ausa essere decettore, rubatore, perfido, se non cura la grazia di persona, se non stima onore, s’ello intrapreende ogni biasimo per avere luogo fra gli altri simili a sé, senza e’ quali né sa né può vivere né ben contento né mal contento?

Con questi adonque useremo ogni severità coniunta con buona modestia. Del resto bisognerà che tu adatti te allo ingegno di costui quale tu curi. Alcuno metallo si conduce meglio caldo che freddo, alcuno soffera più e più battiture freddo. Dicono che l’altre virtù sono comuni con molti: la prudenza sta propria virtù dovuta al presidente. Qui sarà, come allo artefice, prudenza non solo conoscere la natura della materia in quale e’ pone l’opera sua, quanto sarà bene conoscere da sé il modo de adoperarvi gli strumenti suoi. Del nostro iciarco gli strumenti atti alla opera sua sono le parole e autorità. Nulla porge tanta autorità presso la moltitudine quanto essere conosciuto buono e degno d’essere onorato. Manterrete adonque autorità e gravità, ma adatterete le parole e gesti a tempo in modo che non possano riceverle a contumelia, e, quasi come trattassi simile a’ fanciugli, abbino da pigliarne da sé sdegno. Non cerco che te ubbidischino come servi, ma che te ascoltino senza fastidio, senza contumacia, e osservino pari a’ detti tuoi a sanificar l’error suo, quanto essi osserverebbono e’ precetti del medico a sanificare el corpo. Né a te il fine di questa impresa sarà come volere comandando essere al tutto obbedito quasi come solo per satisfare a te; ma el fine dove concorreranno tutte le cure tue sarà in aducere onestà in costui quale tu ami, e indi fermare dignità a tutta la famiglia. E sarà questa cura piena di carità e amore paterno, presa con buona circunspezione, dedutta con prudenza e maturità, condutta con diligenza e perseveranza. Moveremoli adonque persuadendo, e convinceremoli colle ragioni aperte e accommodate. Castigamento severissimo a chi non ubbidisce sarà mostrarli e persuaderli cose onde esso si penta quando e’ non le fece. Non però nelle faccende voglio ti commuova sdegno a essere molto austero verso di lui. Quello sviamento qual molto gli piacque non ti credendo, forse ora per l’avvenire gli dispiacerà conoscendo quanto e’ sia dannoso. Né con tutti, né sempre, né in ogni luogo, né per ogni cosa si concede alterarsi; sì bene, quando presso de’ giovani possa la reverenza e pudore verso e’ suoi maggiori, non biasimeremo chi amonendo ed emendando si porgerà contro gli errori meno tollerabili più rigoroso. E forse qualche volta sarà meglio dissimulare e fingere di non vedere che non correggere. E dobbiamo considerare che se in questo sviato fusse più ragione, sarebbe meno lascivia. Ultimo a tutto non mi piace la durezza, né lodo la troppa suspizione. Ben dico che ’l buon medico cessa mai di ovviare e contrastare al male se non quando e’ perde ogni speranza dell’arte sua. Noi con molto sforzo consoliamo nel merore gli animi aflitti per imminuire loro el dolore. Per levarli dal vizio dobbiamo con più diligenza affaticarci, e saracci concesso usarvi in tempo qualche obiurgazione e veemenza di reprensione. Ma in noi sarà el fronte, el volto, el spirito delle parole pacato, vacuo d’ogni indizio d’animo perturbato. Più cureremo mostrare che a noi dolga el biasimo suo, che cercare che a lui dolgano le morsure tue. E saranno le nostre reprensioni in secreto senza testimoni; saranno brevissime, più per circuizioni dette e irronia che alla scoperta; saranno non iterate, né più volte repetite, quasi come chi voglia ritrattando la ferita inducervi dolore. Anzi vi agiugneremo qualche scusa in mitigare el concitamento intimo onde egli di fuori troppo arrossisce. Forse sarà chi responderà qualche parola inconsiderata, fastidiosa. Molte cose più fetide e stomacose tratta chi cura el corpo non sano, e ricevene lodo e grazia. Vuolsi quasi non udendo attutare el fervore della sua impazienza e concederli ch’ello sfoghi el bollimento dell’animo onde e’ s’infiamma. Raro si coruccia omo se no’gli pare avere ragione. Pertanto saranno più da sofferire le parole dette in qualche sdegno, ch’e’ fatti degli insolenti e simili alla bestie perduti nelle voluttà. A comprimere e ritenere la superfluità de’ prodighi effessori e gittatori della roba presertim in golosità e lascivia, se li converrà qualche volta esser infesto e molesto riprenditore, ma tutto, come dicemmo, senza cruccio. Ottima e necessaria virtù ne’ superiori omini e presidenti sempre fu la pazienza.

Non preterirò qui quello che mi viene in mente circa la suntuosità de’ giovani. Officio de’ maggiori sarà curare che delle ricchezze si spenda in le cose private e domestiche nulla meno che richiegga el vivere civile, ma tutto con parsimonia e buona moderazione. In le cose onde seguiti onore alla patria, alla famiglia, ameremo esser conosciuti splendidi, magnifici, prontissimi. Ma in questo e in tutte le cose osserveremo che nulla sia troppo in questa o in quella parte, e possa niuno prudente desiderarvi più moderamento. Circa simili errori della gioventù o nel modo racconto o in altro modo qual meglio paresse a’ più dotti e prudenti di me, saranno curiosi e operosi direttori e gastigatori quelli della famiglia omini per sapienza e autorità maggiori.

Suole intervenire ch’e’ padri fra loro sono in mala concordia, disturbo alle famiglie dannosissimo. Affermano e’ fisici che le malattie nate ne’ mesi dell’anno atti a sanità vengono da cagione molto potente, e per questo sono di sua natura gravi e quasi incurabili. Così fra gli omini per età maturi non pare che tanto male possa intervenire se non da offensione intollerabile. In simile causa pensai e provai più volte più cose per proibir le gare e revocar l’impeto delle contenzioni. Non so bene donde poco succedesse ogni mio sforzo. Dicesi che la discordia forse giova in quelle cose ove succederebbe danno alla famiglia se tutti consentissero alla voluntà d’uno solo. E pare a’ prudenti che in questo bisogni ritrarsi e discordare e repugnare, quando così sia che in qualunque modo uno omo solo potrà più che gli altri, sì la republica, sì la famiglia rimanerà né libera né salva. Ma nell’altre cose sarà molto meglio concordarsi tutti a far bene, che discordarsi per non fare male. Nelle dissensione e contenzioni de’ tuoi consigliano alcuni che tu nulla pigli a te altro più che solo el studio di conciliarli e rendere fra loro concordia; e pare a loro più degno in ogni causa esservi come iudicatore che esservi come parte, e meglio conservarsi dignità che imporsi nuova sollecitudine. Gli altri affermano che l’omo virile nato per esser utile a molti, in tutti e’ modi debba obsistere alle iniustizie e darsi defensore a chi sia, massime de’ suoi, con iniuria oppresso: prima questo per non parere che gli diletti starsi quasi come a uno spettaculo ridendo le miserie altrui, e riputare solo beato sé quando gli altri suoi diventino per quello conflitto loro miseri, dove tanta infelicità doverrebbe, come agli altri buoni, così molto a lui dolere; poi perché l’omo virile, integro, dedicato a magnanimità, sente che l’officio suo aspetta da lui altro che ozio e timidità desidiosa, e richiede che s’adoperi nelle imprese degnissime e pugni per ottenerle e mantenerle. E sono in prima dignissime e sacrosantissime fra’ mortali la iustizia e la verità. E quanto la iniustizia sarà maiore, tanto con più fervore l’omo magnanimo aiuterà e difenderà chi sia offeso, e stimerà la roba sua, el sudore, el sangue, la vita, meno che la onestà. Cosa scellerata non resistere alla disonestà ove tu possa reprimerla. E chi permette in altri la iniustizia, in sé non è iusto. E sarà niuna iniustizia maiore quanto molestare e perturbare la quiete di chi ama e osserva mansuetudine e vive contento della industria e parsimonia sua. Tutte le virtù, figliuoli, pugnano per la mansuetudine, massime la integrità e fortitudine. Apresso di niuno abita la felicità quanto presso a’ buoni e mansueti. Dio ha cura e tutela de’ buoni, favoreggia e’ iusti, aiuta e’ mansueti.

Dissivi, figliuoli, con che ragione e modo possiate diventare primari, onoratissimi e felicissimi omini. Dissivi quale fia l’officio di questo primario e massimo moderator degli altri, quale vi confesso, persino da quella età che questi mie’ capelli eron biondi, persino a questa che ora sono canuti e bianchi, sempre desiderai, sempre quanto in me fu ingegno e attitudine, con ogni studio, fatiche, vigilanza, cercai de essere: non questo tanto per darmivi duttore, quanto per essere in me atto a tanto vostro bene.

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