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Giornata ottava - Conclusione
Giornata ottava - Novella decima Giornata nona

Come Dioneo ebbe la sua novella finita, cosí Lauretta, conoscendo il termine esser venuto oltre al quale più regnar non dovea, commendato il consiglio di Pietro del Canigiano, che apparve dal suo effetto buono, e la sagacitá di Salabaetto, che non fu minore a mandarlo ad esecuzione, levatasi la laurea di capo, in testa ad Emilia la pose, donnescamente dicendo: — Madonna, io non so come piacevole reina noi avrem di voi, ma bella la pure avrem noi: fate adunque che alle vostre bellezze l’opere sien rispondenti. — E tornossi a sedere.

Emilia, non tanto dell’esser reina fatta quanto del vedersi cosí in publico commendare di ciò che le donne sogliono esser piú vaghe, un pochetto si vergognò, e tal nel viso divenne quali in su l’aurora son le novelle rose; ma pur, poi che tenuti ebbe gli occhi alquanto bassi ed ebbe il rossor dato luogo, avendo col suo siniscalco de’ fatti pertenenti alla brigata ordinato, cosí cominciò a parlare:

Dilettose donne, assai manifestamente veggiamo che, poi che i buoi alcuna parte del giorno hanno faticato sotto il giogo ristretti, quegli esser dal giogo alleviati e disciolti, e liberamente dove lor piú piace, per li boschi, lasciati sono andare alla pastura: e veggiamo ancora non esser men belli, ma molto piú, i giardini di varie piante fronzuti che i boschi ne’ quali solamente querce veggiamo; per le quali cose io estimo, avendo riguardo quanti giorni sotto certa legge ristretti ragionato abbiamo, che, sí come a bisognosi, di vagare alquanto, e vagando riprender forze a rientrar sotto il giogo, non solamente sia utile ma opportuno. E per ciò quello che domane seguendo il vostro dilettevole ragionar sia da dire, non intendo di ristrignervi sotto alcuna spezialtá, ma voglio che ciascuno secondo che gli piace ragioni, fermamente tenendo che la varietá delle cose che si diranno non meno graziosa ne fia che l’avere pur d’una parlato; e cosi avendo fatto, chi appresso di me nel reame verrá, sí come piú forti, con maggior sicurtá ne potrá nell’usate leggi ristrignere. — E detto questo, infino all’ora della cena libertá concedette a ciascuno.

Commendò ciascun la reina delle cose dette, sí come savia; ed in piè dirizzatisi, chi ad un diletto e chi ad uno altro si diede: le donne a far ghirlande ed a trastullarsi, i giovani a giucare ed a cantare; e cosí infino all’ora della cena passarono, la quale venuta, intorno alla bella fontana con festa e con piacer cenarono, e dopo la cena al modo usato, cantando e ballando, si trastullarono. Alla fine la reina, per seguire de’ suoi predecessori lo stilo, nonostanti quelle che volontariamente avean dette piú di loro, comandò a Panfilo che una ne dovesse cantare; il quale liberamente cosí cominciò:

     Tanto è, Amore, il bene
ch’io per te sento, e l’allegrezza e ’l gioco,
ch’io son felice ardendo nel tuo foco.
     L’abbondante allegrezza ch’è nel core
dell’alta gioia e cara
nella qual m’hai recato,
non potendo capervi, esce di fore,
e nella faccia chiara
mostra ’l mio lieto stato:
ch’essendo innamorato
in cosí alto e ragguardevol loco,
lieve mi fa lo star dov’io mi coco.
     Io non so col mio canto dimostrare
né disegnar col dito,
Amore, il ben ch’io sento;
e s’io sapessi, mel convien celare:
ché, s’el fosse sentito,
torneria in tormento;
ma io son sì contento,
ch’ogni parlar sarebbe corto e fioco
pria n’avessi mostrato pure un poco.
     Chi potrebbe estimar che le mie braccia
aggiugnesser giá mai
lá dov’io l’ho tenute,
e ch’io dovessi giugner la mia faccia
lá dov’io l’accostai
per grazia e per salute?
Non mi sarien credute
le mie fortune: ond’io tutto m’infoco,
quel nascondendo ond’io m’allegro e gioco.

La canzone di Panfilo aveva fine; alla quale quantunque per tutti fosse compiutamente risposto, niun ve n’ebbe che, con piú attenta sollecitudine che a lui non apparteneva, non notasse le parole di quella, ingegnandosi di quello volersi indovinare che egli di convenirgli tener nascoso cantava: e quantunque vari varie cose andassero imaginando, niun per ciò alla veritá del fatto pervenne. Ma la reina, poi che vide la canzon di Panfilo finita e le giovani donne e gli uomini volentier riposarsi, comandò che ciascuno se n’andasse a dormire.




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