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Giornata quarta - Novella decima
Giornata quarta - Novella nona Giornata quarta - Conclusione

[X]

La moglie d’un medico per morto mette un suo amante, adoppiato, in un’arca, la quale con tutto lui due usurieri se ne portano in casa; questi si sente; è preso per ladro; la fante della donna racconta alla signoria, sé averlo messo nell’arca dagli usurieri imbolata, laonde egli scampa dalle forche ed i prestatori d’avere l’arca furata son condannati in denari.


Solamente a Dioneo, avendo giá il re fatta fine al suo dire, restava la sua fatica; il quale ciò conoscendo, e giá dal re essendogli imposto, incominciò:

Le miserie degl’infelici amori raccontate, non che a voi, donne, ma a me hanno giá contristati gli occhi ed il petto, per che io sommamente disiderato ho che a capo se ne venisse. Ora, lodato sia Iddio, che finite sono, salvo se io non volessi a questa malvagia derrata fare una mala giunta, di che Iddio mi guardi, senza andar piú dietro a cosí dolorosa materia, da alquanto piú lieta e migliore incomincerò, forse buono indizio dando a ciò che nella seguente giornata si dèe raccontare.

Dovete adunque sapere, bellissime giovani, che ancora non è gran tempo che in Salerno fu un grandissimo medico in cirugía il cui nome fu maestro Mazzeo della Montagna, il quale, giá all’ultima vecchiezza venuto, avendo presa per moglie una bella e gentil giovane della sua cittá, di nobili vestimenti e ricchi e d’altre gioie e tutto ciò che ad una donna può piacere meglio che altra della cittá la teneva fornita; vero è che ella il piú del tempo stava infreddata, sí come colei che nel letto era male dal maestro tenuta coperta. Il quale, come messer Riccardo di Chinzica, di cui dicemmo, alla sua insegnava le feste, cosi costui a costei mostrava che il giacere con una donna una volta si penava a ristorar non so quanti dí, e simili ciance; di che ella viveva pessimamente contenta: e sí come savia e di grande animo, per potere quel di casa risparmiare, si dispose di gittarsi alla strada e voler logorar dell’altrui, e piú e piú giovani riguardati, nella fine uno ne le fu all’animo, nel quale ella pose tutta la sua speranza, tutto il suo animo e tutto il ben suo. Di che il giovane accortosi, e piacendogli forte, similmente in lei tutto il suo amor rivolse. Era costui chiamato Ruggeri d’Aieroli, di nazion nobile ma di cattiva vita e di biasimevole stato, intanto che parente né amico lasciato s’avea che ben gli volesse o che il volesse vedere: e per tutto Salerno di ladronecci e d’altre vilissime cattivitá era infamato; di che la donna poco curò, piacendole esso per altro. E con una sua fante tanto ordinò, che insieme furono: e poi che alquanto diletto preso ebbero, la donna gli cominciò a biasimare la sua passata vita ed a pregarlo che, per amor di lei, di quelle cose si rimanesse; ed a dargli materia di farlo, lo ’ncominciò a sovvenire quando d’una quantitá di denari e quando d’un’altra. Ed in questa maniera perseverando insieme assai discretamente, avvenne che al medico fu messo tra le mani uno infermo il quale aveva guasta l’una delle gambe, il cui difetto avendo il maestro veduto, disse a’ suoi parenti che, dove uno osso fracido il quale aveva nella gamba non gli si cavasse, a costui si convenia del tutto o tagliar tutta la gamba o morire: ed a trargli l’osso potrebbe guerire, ma che egli altro che per morto nol prenderebbe; a che accordatisi coloro a’ quali apparteneva, per cosí gliele diedero. Il medico, avvisando che l’infermo senza essere adoppiato non sosterrebbe la pena né si lascerebbe medicare, dovendo attendere in sul vespro a questo servigio, fe’ la mattina d’una sua certa composizione stillare un’acqua la quale l’avesse, bevendola, tanto a far dormire quanto esso avvisava di doverlo poter penare a curare: e quella fattasene venire a casa, nella sua camera la pose, senza dire ad alcuno ciò che si fosse. Venuta l’ora del vespro, dovendo il maestro andare a costui, gli venne un messo da certi suoi grandissimi amici d’Amalfi che egli non dovesse lasciar per cosa alcuna che incontanente lá non andasse, per ciò che una gran zuffa stata v’era, di che molti v’erano stati fediti. Il medico, prolungata nella seguente mattina la cura della gamba, salito in su una barchetta, n’andò ad Amalfi; per la qual cosa la donna, sappiendo lui la notte non dovere tornare a casa, come usata era, occultamente si fece venir Ruggeri e nella sua camera il mise, e dentro il vi serrò infino a tanto che certe altre persone della casa s’andassero a dormire. Standosi adunque Ruggeri nella camera ed aspettando la donna, avendo o per fatica il dí durata o per cibo salato che mangiato avesse o forse per usanza una grandissima sete, gli venne nella finestra veduta questa guastadetta d’acqua la quale il medico per lo ’nfermo aveva fatta, e credendola acqua da bere, a bocca postalasi, tutta la bevve: né stette guari, che un gran sonno il prese, e fussi addormentato. La donna come prima potè nella camera se ne venne, e trovato Rugger dormendo lo ’ncominciò a tentare ed a dire con sommessa voce che su si levasse, ma questo era niente: egli non rispondeva né si movea punto; per che la donna, alquanto turbata, con piú forza il sospinse, dicendo: — Leva su, dormiglione, ché, se tu volevi dormire, tu te ne dovevi andare a casa tua, e non venir qui. — Ruggeri, cosí sospinto, cadde a terra d’una cassa sopra la quale era, né altra vista d’alcun sentimento fece che avrebbe fatto un corpo morto; di che la donna alquanto spaventata, il cominciò a voler rilevare ed a menarlo piú forte ed a prenderlo per lo naso ed a tirarlo per la barba, ma tutto era nulla: egli aveva a buona caviglia legato l’asino. Per che la donna cominciò a temere non fosse morto, ma pure ancora gl’incominciò a strignere agramente le carni ed a cuocerlo con una candela accesa, ma niente era; per che ella, che medica non era come che medico fosse il marito, senza alcun fallo lui credette esser morto, per che, amandolo sopra ogni altra cosa come facea, se fu dolorosa non è da domandare: e non osando far romore, tacitamente sopra lui cominciò a piagnere ed a dolersi di cosí fatta disavventura. Ma dopo alquanto, temendo la donna di non aggiugnere al suo danno vergogna, pensò che senza alcuno indugio da trovare era modo come lui morto si traesse di casa, né a ciò sappiendosi consigliare, tacitamente chiamò la sua fante, e la sua disavventura mostratale, le chiese consiglio. La fante, maravigliandosi forte e tirandolo ancora ella e strignendolo, e senza sentimento veggendolo, quel disse che la donna dicea, cioè veramente lui esser morto, e consigliò che da metterlo fuori di casa era. A cui la donna disse: — E dove il potrem noi porre, che egli non si suspichi, domattina quando veduto sará, che di qua entro sia stato tratto? — A cui la fante rispose: — Madonna, io vidi questa sera al tardi di rimpetto alla bottega di questo legnaiuolo nostro vicino un’arca non troppo grande, la quale se il maestro non ha riposta in casa, verrá troppo in concio a’ fatti nostri, per ciò che dentro vel potrem mettere, e dargli due o tre colpi d’un coltello, e lasciarlo stare. Chi in quella il troverá, non so perché piú di qua entro che d’altronde vi sel creda messo; anzi si crederá, per ciò che malvagio giovane è stato, che, andando a fare alcun male, da alcun suo nemico sia stato ucciso e poi messo nell’arca. — Piacque alla donna il consiglio della fante, fuor che di dargli alcuna fedita, dicendo che non le potrebbe per cosa del mondo sofferir l’animo di ciò fare: e mandolla a vedere se quivi fosse l’arca dove veduta l’avea; la qual tornò e disse di sí. La fante adunque, che giovane e gagliarda era, dalla donna aiutata, sopra le spalle si pose Ruggeri, ed andando la donna innanzi a guardar se persona venisse, venute all’arca, dentro vel misero, e richiusala, il lasciarono stare. Erano di quei di alquanto piú oltre tornati in una casa due giovani li quali prestavano ad usura, e volonterosi di guadagnare assai e di spender poco, avendo bisogno di masserizie, il dí davanti avean quella arca veduta ed insieme posto che, se la notte vi rimanesse, di portamela in casa loro. E venuta la mezzanotte, di casa usciti, trovandola, senza entrare in altro ragguardamento, prestamente, ancora che lor gravetta paresse, ne la portarono in casa loro ed allogaronla allato ad una camera dove lor femine dormivano, senza curarsi d’acconciarla troppo appunto allora; e lasciatala stare, se n’andarono a dormire. Ruggeri, il quale grandissima pezza dormito avea e giá aveva digesto il beveraggio e la vertú di quel consumata, essendo vicino a matutin si destò: e come che rotto fosse il sonno ed i sensi avessero la loro vertú recuperata, pur gli rimase nel cerebro una stupefazione la quale non solamente quella notte, ma poi parecchi dí il tenne stordito; ed aperti gli occhi e non veggendo alcuna cosa e sparte le mani in qua ed in lá, in questa arca trovandosi, cominciò a smemorare ed a dir seco: — Che è questo? Dove sono io? Dormo io o son desto? Io pur mi ricordo che questa sera io venni nella camera della mia donna, ed ora mi pare essere in un’arca. Questo che vuol dire? Sarebbe il medico tornato o altro accidente sopravvenuto, per lo quale la donna, dormendo io, qui m’avesse nascoso? Io il credo, e fermamente cosí sará. — E per questo cominciò a star cheto e ad ascoltare se alcuna cosa sentisse: e cosí gran pezza dimorato, stando anzi a disagio che no nell’arca, che era piccola, e dolendogli il lato in sul quale era, in su l’altro volger volendosi, sí destramente il fece, che, dato delle reni nell’un de’ lati dell’arca, la quale non era stata posta sopra luogo iguali, la fe’ piegare ed appresso cadere: e cadendo fece un gran romore, per lo quale le femine che ivi allato dormivano si destarono ed ebber paura, e per paura tacettono. Ruggeri per lo cader dell’arca dubitò forte, ma sentendola per lo cadere aperta, volle avanti, se altro avvenisse, esserne fuori che starvi dentro. E tra che egli non sapeva dove si fosse, ed una cosa ed un’altra, cominciò ad andar brancolando per la casa, per sapere se scala o porta trovasse donde andarsene potesse. Il qual brancolare sentendo le femine, che deste erano, cominciarono a dire: — Chi è lá? — Ruggeri, non conoscendo la voce, non rispondea; per che le femine cominciarono a chiamare i due giovani, li quali, per ciò che molto vegghiato aveano, dormivan forte né sentivano d’alcuna di queste cose niente. Laonde le femine, piú paurose divenute, levatesi e fattesi a certe finestre, cominciarono a gridare: — Al ladro, al ladro! — Per la qual cosa per diversi luoghi piú de’ vicini, chi su per li tetti e chi per una parte e chi per un’altra, corsono ed entrar nella casa, ed i giovani similmente, desti a questo romor, si levarono. E Ruggeri, il quale quivi veggendosi, quasi di sé per maraviglia uscito, né da qual parte fuggirsi dovesse o potesse vedea, preso dierono nelle mani della famiglia del rettor della terra, la qual quivi giá era al romor corsa: e davanti al rettore menatolo, per ciò che malvagissimo era da tutti tenuto, senza indugio messo al martorio, confessò nella casa de’ prestatori essere per imbolare entrato; per che il rettore pensò di doverlo senza troppo indugio fare impiccar per la gola. La novella fu la mattina per tutto Salerno che Ruggeri era stato preso ad imbolare in casa de’ prestatori; il che la donna e la sua fante udendo, di tanta maraviglia e di sì nuova fûr piene, che quasi eran vicine di far credere a se medesime che quello che fatto avevan la notte passata non l’avesser fatto, ma avesser sognato di farlo: ed oltre a questo, del pericolo nel quale Ruggeri era la donna sentiva sì fatto dolore, che quasi n’era per impazzare. Non guari appresso la mezza terza il medico, tornato da Amalfi, domandò che la sua acqua gli fosse recata, per ciò che medicare voleva il suo infermo: e trovandosi la guastadetta vota, fece un gran romore che niuna cosa in casa sua durar poteva in istato. La donna, che da altro dolore stimolata era, rispose adirata dicendo: — Che direste voi, maestro, d’una gran cosa, quando d’una guastadetta d’acqua versata fate si gran romore? Non se ne truova egli piú al mondo? — A cui il maestro disse: — Donna, tu avvisi che quella fosse acqua chiara; non è cosi, anzi era un’acqua lavorata da far dormire — e contolle per che cagion fatta l’avea. Come la donna ebbe questo udito, cosí s’avvisò che Ruggeri quella avesse bevuta e per ciò loro fosse paruto morto, e disse: — Maestro, noi noi sapevamo; e per ciò rifatevi dell’altra. — Il maestro, veggendo che altro esser non poteva, fece far della nuova. Poco appresso la fante, che per comandamento della donna era andata a saper quello che di Rugger si dicesse, tornò e dissele: — Madonna, di Rugger dice ogni uom male, né, per quello che io abbia potuto sentire, amico né parente alcuno è che per aiutarlo levato si sia o si voglia levare; e credesi per fermo che domane lo stradicò il fará impiccare. Ed oltre a questo, vi vo’ dire una nuova cosa, che egli mi pare aver compreso come egli in casa de’ prestator pervenisse: ed udite come. Voi sapete bene il legnaiuolo, di rimpetto al quale era l’arca dove noi il mettemmo: egli era testé con uno, di cui mostra che quell’arca fosse, alla maggior quistion del mondo, ché colui domandava i denari dell’arca sua, ed il maestro rispondeva che egli non aveva venduta l’arca, anzi gli era la notte stata imbolata; al quale colui diceva: — Non è cosi, anzi l’hai venduta alli due giovani prestatori, sí come essi stanotte mi dissero quando in casa loro la vidi allora che fu preso Ruggeri. — A cui il legnaiuolo disse: — Essi mentono, per ciò che mai io non la vendei loro, ma essi questa notte passata me l’avranno imbolata; andiamo a loro. — E sí se n’andarono di concordia a casa i prestatori, ed io me ne son qui venuta; e come voi potete vedere, io comprendo che in cotal guisa Ruggeri, lá dove trovato fu, trasportato fosse: ma come quivi si risuscitasse, non so vedere io. — La donna allora, comprendendo ottimamente come il fatto stava, disse alla fante ciò che dal medico udito aveva, e pregolla che allo scampo di Ruggeri dovesse dare aiuto, sí come colei che, volendo, ad una ora poteva Ruggeri scampare e servare l’onor di lei. La fante disse: — Madonna, insegnatemi come, ed io farò volentieri ogni cosa. — La donna, sí come colei alla quale strignevano i cintolini, con subito consiglio avendo avvisato ciò che da fare era, ordinatamente di quello la fante informò. La quale primieramente se n’andò al medico, e piagnendo gl’incominciò a dire: — Messere, a me conviene domandarvi perdono d’un gran fallo il quale verso di voi ho commesso. — Disse il maestro: — E di che? — E la fante, non restando di lagrimar, disse: — Messer, voi sapete che giovane Ruggeri d’Aieroli sia, al quale, piacendogli io, tra per paura e per amor mi convenne uguanno divenire amica: e sappiendo egli iersera che voi non c’eravate, tanto mi lusingò, che io in casa vostra nella mia camera a dormir meco il menai, ed avendo egli sete né io avendo ove piú tosto ricorrere o per acqua o per vino, non volendo che la vostra donna, la quale in sala era, mi vedesse, ricordandomi che nella vostra camera una guastadetta d’acqua aveva veduta, corsi per quella e sì gliele diedi bere, e la guastada riposi donde levata l’avea; di che io truovo che voi in casa un gran romor n’avete fatto. E certo io confesso che io feci male: ma chi è colui che alcuna volta mal non faccia? Io ne son molto dolente d’averlo fatto; nonpertanto, per questo e per quello che poi ne segui, Ruggeri n’è per perdere la persona, per che io quanto piú posso vi priego che voi mi perdoniate e mi diate licenza che io vada ad aiutare, in quello che per me si potrá, Ruggeri. — Il medico, udendo costei, con tutto che ira avesse, motteggiando rispose: — Tu te n’hai data la perdonanza tu stessa, per ciò che, dove tu credesti questa notte un giovane avere che molto bene il pilliccion ti scotesse, avesti un dormiglione: e per ciò va’ procaccia la salute del tuo amante, e per innanzi ti guarda di piú in casa non menarlo, ché io ti pagherei di questa volta e di quella. — Alla fante per la prima taroccata parendo aver ben procacciato, quanto piú tosto potè se n’andò alla prigione dove Ruggeri era, e tanto il prigionier lusingò, che egli la lasciò a Rugger favellare. La quale, poi che informato l’ebbe di ciò che risponder dovesse allo stradicò se scampar volesse, tanto fece che allo stradicò andò davanti. Il quale, prima che ascoltarla volesse, per ciò che fresca e gagliarda era, volle una volta attaccar l’uncino alla cristianella di Dio, ed ella, per essere meglio udita, non ne fu punto schifa; e dal macinío levatasi, disse: — Messere, voi avete qui Ruggeri d’Aieroli preso per ladro, e non è cosí il vero. — E cominciatasi dal capo, gli contò l’istoria infino alla fine, come ella, sua amica, in casa il medico menato l’avea e come gli avea data bere l’acqua adoppiata, non conoscendola, e come per morto l’avea nell’arca messo; ed appresso questo, ciò che tra il maestro legnaiuolo ed il signor dell’arca aveva udito gli disse, per quello mostrandogli come in casa i prestatori fosse pervenuto Ruggeri. Lo stradicò, veggendo che leggèr cosa era a ritrovare se ciò fosse vero, prima il medico domandò se vero fosse dell’acqua, e trovò che così era stato; ed appresso, fatti richiedere il legnaiuolo e colui di cui stata era l’arca ed i prestatori, dopo molte novelle trovò li prestatori la notte passata aver l’arca imbolata ed in casa messalasi. Ultimamente mandò per Ruggeri, e domandatolo dove la sera dinanzi albergato fosse, rispose che dove albergato si fosse non sapeva, ma ben si ricordava che andato era ad albergare con la fante del maestro Mazzeo, nella camera della quale aveva bevuta acqua per gran sete che avea: ma che poi di lui stato si fosse, se non quando in casa i prestatori destandosi s’era trovato in un’arca, egli non sapea. Lo stradicò, queste cose udendo e gran piacer pigliandone, ed alla fante ed a Ruggeri ed al legnaiuolo ed a’ prestatori piú volte ridirle fece. Alla fine, conoscendo Ruggeri essere innocente, condannati i prestatori che imbolata avevan l’arca in diece once, liberò Ruggeri; il che quanto a lui fosse caro, niun ne domandi: ed alla sua donna fu carissimo oltre misura. La qual poi con lui insieme e con la cara fante, che dare gli aveva voluto delle coltella, piú volte rise ed ebbe festa, il loro amore ed il loro sollazzo sempre continuando di bene in meglio; il che vorrei che cosí a me avvenisse, ma non d’esser messo nell’arca.

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