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[VIII]
Il conte d’Anguersa, falsamente accusato, va in esilio; lascia due suoi figliuoli in diversi luoghi in Inghilterra, ed egli, sconosciuto tornando di Scozia, lor truova in buono stato; va come ragazzo nell’esercito del re di Francia, e riconosciuto innocente, è nel primo stato ritornato.
Sospirato fu molto dalle donne per li vari casi della bella donna: ma chi sa che cagione moveva que’ sospiri? Forse v’eran di quelle che non meno per vaghezza di cosí spesse nozze che per pietá di colei sospiravano. Ma lasciando questo stare al presente, essendosi da loro riso per l’ultime parole da Panfilo dette, e veggendo la reina in quelle la novella di lui esser finita, ad Elissa rivolta, impose che con una delle sue l’ordine seguitasse; la quale, lietamente faccendolo, incominciò:
Ampissimo campo è quello per lo quale noi oggi spaziando andiamo, né ce n’è alcuno che, non che uno aringo, ma diece non ci potesse assai leggermente correre, si copioso l’ha fatto la fortuna delle sue nuove e gravi cose; e per ciò, venendo di quelle, che infinite sono, a raccontare alcuna, dico che
Essendo lo ’mperio di Roma da’ franceschi ne’ tedeschi trasportato, nacque tra l’una nazione e l’altra grandissima nimistá ed acerba e continua guerra, per la quale, sí per difesa del suo Paese e sí per l’offesa dell’altrui, il re di Francia ed un suo figliuolo, con ogni sforzo del lor regno ed appresso d’amici e di parenti che far poterono, un grandissimo esercito per andare sopra i nemici ordinarono: ed avanti che a ciò procedessero, per non lasciare il regno senza governo, sentendo Gualtieri, conte d’Anguersa, gentile e savio uomo e molto loro fedele amico e servidore, ed ancora che assai ammaestrato fosse nell’arte della guerra, per ciò che loro piú alle dilicatezze atto che a quelle fatiche parea, lui in luogo di loro sopra tutto il governo del reame di Francia general vicario lasciarono, ed andarono al lor cammino. Cominciò adunque Gualtieri e con senno e con ordine l’uficio commesso, sempre d’ogni cosa con la reina e con la nuora di lei conferendo: e benché sotto la sua custodia e giurisdizione lasciate fossero, nondimeno come sue donne e maggiori l’onorava. Era il detto Gualtieri del corpo bellissimo e d’etá forse di quaranta anni, e tanto piacevole e costumato, quanto alcuno altro gentile uomo il piú esser potesse, ed oltre a tutto questo, era il piú leggiadro ed il piú dilicato cavaliere che a quegli tempi si conoscesse, e quegli che piú della persona andava ornato. Ora, avvenne che, essendo il re di Francia ed il figliuolo nella guerra giá detta, essendosi morta la donna di Gualtieri ed a lui un figliuol maschio ed una femina piccoli fanciulli rimasi di lei senza piú; che, costumando egli alla corte delle donne predette e con loro spesso parlando delle bisogne del regno, la donna del figliuolo del re gli pose gli occhi addosso e con grandissima affezione la persona di lui ed i suoi costumi considerando, d’occulto amore ferventemente di lui s’accese: e sé giovane e fresca sentendo e lui senza alcuna donna, si pensò leggermente doverle il suo disidèro venir fatto. E pensando niuna cosa a ciò contrastare se non vergogna, di manifestargliele dispose del tutto e quella cacciar via: ed essendo un giorno sola e parendole tempo, quasi d’altre cose con lui ragionar volesse, per lui mandò. Il conte, il cui pensiero era molto lontano da quel della donna, senza alcuno indugio a lei andò, e postosi, come ella volle, con lei sopra un letto in una camera tutti soli a sedere, avendola il conte giá due volte domandata della cagione per che fatto l’avesse venire, ed ella taciuto, ultimamente, da amor sospinta, tutta di vergogna divenuta vermiglia, quasi piagnendo e tutta tremante, con parole rotte cosí cominciò a dire: — Carissimo e dolce amico e signor mio, voi potete, come savio uomo, agevolmente conoscere quanta sia la fragilitá e degli uomini e delle donne, e per diverse cagioni piú in una che in altra; per che debitamente, dinanzi a giusto giudice, un medesimo peccato in diverse qualitá di persone non dée una medesima pena ricevere. E chi sarebbe colui che dicesse che non dovesse molto piú esser da riprendere un povero uomo o una povera femina a’ quali con la loro fatica convenisse guadagnare quello che per la vita loro lor bisognasse, se da amore stimolati fossero e quello seguissero, che una donna la quale fosse ricca ed oziosa ed a cui niuna cosa che a’ suoi disidèri piacesse, mancasse? Certo io non credo niuno. Per la quale ragione io estimo che grandissima parte di scusa debban fare le dette cose in servigio di colei che le possiede, se ella per ventura si lascia trascorrere ad amare: ed il rimanente debba fare l’avere eletto savio e valoroso amadore, se quella l’ha fatto che ama. Le quali cose, con ciò sia cosa che ammendune, secondo il mio parere, sieno in me, ed oltre a queste, piú altre le quali ad amare mi debbono inducere, sí come è la mia giovanezza e la lontananza del mio marito, ora convien che surgano in servigio di me alla difesa del mio focoso amore nel vostro cospetto; le quali se quel vi potranno che nella presenza de’ savi debbono potere, io vi priego che consiglio ed aiuto in quello che io vi domanderò mi porgiate. Egli è il vero che, per la lontananza di mio marito non potendo io agli stimoli della carne né alla forza d’amor contrastare, le quali sono di tanta potenza, che i fortissimi uomini, non che le tenere donne, hanno giá molte volte vinti e vincono tutto il giorno, essendo io negli agi e negli ozi ne’ quali voi mi vedete, a secondare li piaceri d’amore ed a divenire innamorata mi sono lasciata trascorrere: e come che tal cosa, se saputa fosse, io conosca non essere onesta, nondimeno, essendo e stando nascosa, quasi di niuna cosa essere disonesta la giudichi, pur m’è di tanto Amore stato grazioso, che egli non solamente non m’ha il debito conoscimento tolto nell’elegger l’amante, ma me n’ha molto in ciò prestato, voi degno mostrandomi da dovere da una donna fatta come sono io essere amato; il quale, se il mio avviso non m’inganna, io reputo il piú bello, il piú piacevole ed il piú leggiadro ed il piú savio cavaliere che nel reame di Francia trovar si possa: e si come io senza marito posso dire che io mi veggia, cosí voi ancora senza mogliere. Per che io vi priego, per cotanto amore quanto è quello che io vi porto, che voi non neghiate il vostro verso di me e che della mia giovanezza v’incresca, la qual veramente come il ghiaccio al fuoco si consuma per voi. — — A queste parole sopravvennero in tanta abbondanza le lagrime, che essa, che ancora piú prieghi intendeva di porgere, piú avanti non ebbe poter di parlare, ma bassato il viso e quasi vinta, piagnendo, sopra il seno del conte si lasciò con la testa cadere. Il conte, il quale lealissimo cavaliere era, con gravissime riprensioni cominciò a mordere cosí folle amore ed a sospignerla indietro, che giá al collo gli si voleva gittare, e con saramenti ad affermare che egli prima sofferrebbe d’essere squartato che tal cosa contro all’onore del suo signore né in sé né in altrui consentisse. Il che la donna udendo, subitamente dimenticato l’amore ed in fiero furore accesa, disse: — — Adunque sarò io, villan cavaliere, in questa guisa da voi del mio disidèro schernita? Unque a Dio non piaccia, poi che voi volete me far morire, che io voi o morire o cacciar del mondo non faccia. — — E così detto, ad una ora messesi le mani ne’ capelli e rabbuffatigli e stracciatigli tutti, ed appresso nel petto squarciandosi i vestimenti, cominciò a gridar forte: — — Aiuto aiuto, che il conte d’Anguersa mi vuol far forza! — — Il conte, veggendo questo e dubitando forte piú della ’nvidia cortigiana che della sua coscienza, e temendo, per quella, non fosse piú fede data alla malvagitá della donna che alla sua innocenza, levatosi, come piú tosto potè della camera e del palagio s’uscí e fuggissi a casa sua, dove, senza altro consiglio prendere, pose i suoi figliuoli a cavallo, ed egli montatovi altressí, quanto piú tosto potè n’andò verso Calese. Al romor della donna corsero molti, li quali, vedutala ed udita la cagione del suo gridare, non solamente per quello dieder fede alle sue parole, ma aggiunsero, la leggiadria e l’ornata maniera del conte per potere a quel venire essere stata da lui lungamente usata. Corsesi adunque a furore alle case del conte per arrestarlo: ma non trovando lui, prima le rubâr tutte ed appresso infino a’ fondamenti le mandâr giuso. La novella, secondo che sconcia si diceva, pervenne nell’oste al re ed al figliuolo, li quali, turbati molto, a perpetuo esilio lui ed i suoi discendenti dannarono, grandissimi doni promettendo a chi o vivo o morto loro il presentasse. Il conte, dolente che d’innocente, fuggendo, s’era fatto nocente, pervenuto senza farsi conoscere o essere conosciuto, co’ suoi figliuoli, a Calese, prestamente trapassò in Inghilterra ed in povero abito n’andò verso Londra, nella quale prima che entrasse, con molte parole ammaestrò i due piccoli figliuoli, e massimamente in due cose: prima, che essi pazientemente comportassero lo stato povero nel quale senza lor colpa la fortuna con lui insieme gli aveva recati, ed appresso, che con ogni sagacitá si guardassero di mai non manifestare ad alcuno onde si fossero né di cui figliuoli, se cara avevan la vita. Era il figliuolo, chiamato Luigi, di forse nove anni, e la figliuola, che nome avea Violante, n’avea forse sette; li quali, secondo che comportava la loro tenera etá, assai bene compresero l’ammaestramento del padre loro, e per opera il mostrarono appresso. Il che acciò che meglio fare si potesse, gli parve da dover loro i nomi mutare; e cosí fece, e nominò il maschio Perotto e Giannetta la femina: e pervenuti poveramente vestiti in Londra, a guisa che far veggiamo a questi paltonier franceschi, si diedero ad andar la limosina addomandando. Ed essendo per ventura in tal servigio una mattina ad una chiesa, avvenne che una gran dama, la quale era moglie dell’un de’ maliscalchi del re d’Inghilterra, uscendo della chiesa, vide questo conte ed i due suoi figliuoletti che limosina addomandavano; il quale ella domandò donde fosse e se suoi erano quegli figliuoli. Alla quale egli rispose che era di Piccardia e che, per misfatto d’un suo maggior figliuolo, ribaldo con quegli due, che suoi erano, gli era convenuto partire. La dama, che pietosa era, pose gli occhi sopra la fanciulla, e piacquele molto, per ciò che bella e gentilesca ed avvenente era, e disse: — Valente uomo, se tu ti contenti di lasciare appresso di me questa tua figliuoletta, per ciò che buono aspetto ha, io la prenderò volentieri, e se valente femina sará, io la mariterò a quel tempo che convenevole sará in maniera che stará bene. — Al conte piacque molto questa domanda, e prestamente rispose del sí, e con lagrime gliele diede e raccomandò molto. E cosí avendo la figliuola allogata e sappiendo bene a cui, diliberò di piú non dimorar quivi, e limosinando traversò l’isola e con Perotto pervenne in Gales non senza gran fatica, sí come colui che d’andare a piè non era uso. Quivi era uno altro de’ maliscalchi del re, il quale grande stato e molta famiglia tenea, nella corte del quale il conte alcuna volta, ed egli ed il figliuolo, per aver da mangiare, molto si riparavano. Ed essendo in essa alcun figliuolo del detto maliscalco ed altri fanciulli di gentili uomini, e faccendo cotali pruove fanciullesche, sí come di correre e di saltare, Perotto s’incominciò con loro a mescolare ed a fare cosí destramente, o piú, come alcuno degli altri facesse ciascuna pruova che tra lor si faceva. Il che il maliscalco alcuna volta veggendo, e piacendogli molto la maniera ed i modi del fanciullo, domandò chi egli fosse. Fugli detto che egli era figliuolo d’un povero uomo il quale alcuna volta per limosina lá entro veniva. A cui il maliscalco il fece addomandare, ed il conte, sí come colui che d’altro Iddio non pregava, liberamente gliel concedette, quantunque noioso gli fosse il da lui dipartirsi. Avendo adunque il conte il figliuolo e la figliuola acconci, pensò di piú non volere dimorare in Inghilterra, ma come il meglio poté se ne passò in Irlanda, e pervenuto a Stanforda, con un cavaliere d’un conte paesano per fante si pose, tutte quelle cose faccendo che a fante o a ragazzo possono appartenere: e quivi, senza esser mai da alcuno conosciuto, con assai disagio e fatica dimorò lungo tempo. Violante, chiamata Giannetta, con la gentil donna in Londra venne crescendo ed in anni ed in persona ed in bellezza ed in tanta grazia e della donna e del marito di lei e di ciascuno altro della casa e di chiunque la conoscea, che era a vedere maravigliosa cosa; né alcuno era che a’ suoi costumi ed alle sue maniere riguardasse, che lei non dicesse dovere esser degna d’ogni grandissimo bene ed onore. Per la qual cosa la gentil donna che lei dal padre ricevuta avea, senza aver mai potuto sapere chi egli si fosse altramenti che da lui udito avesse, s’era proposta di doverla onorevolmente, secondo la condizione della quale estimava che fosse, maritare. Ma Iddio, giusto riguardatore degli altrui meriti, lei nobile femina conoscendo, e senza colpa penitenza portar dell’altrui peccato, altramenti dispose: ed acciò che a mano di vile uomo la gentil giovane non venisse, si dée credere che quello che avvenne egli per sua benignitá permettesse. Aveva la gentil donna con la quale la Giannetta dimorava un solo figliuolo del suo marito, il quale ed essa ed il padre sommamente amavano, sí perché figliuolo era e sí ancora perché per vertú e per meriti il valeva, come colui che piú che altro e costumato e valoroso e pro’ e bello della persona era. Il quale, avendo forse sei anni piú che la Giannetta e lei veggendo bellissima e graziosa, sí forte di lei s’innamorò, che piú avanti di lei non vedea. E per ciò che egli imaginava lei di bassa condizion dovere essere, non solamente non ardiva addomandarla al padre ed alla madre per moglie, ma temendo non fosse ripreso che bassamente si fosse ad amar messo, quanto poteva il suo amore teneva nascoso; per la qual cosa troppo piú che se palesato l’avesse, lo stimolava: laonde avvenne che per soverchio di noia egli infermò, e gravemente. Alla cura del quale essendo piú medici richesti, ed avendo un segno ed altro guardato di lui e non potendo la sua infermitá tanto conoscere, tutti comunemente si disperavano della sua salute; di che il padre e la madre del giovane portavano sí gran dolore e malinconia, che maggiore non si saria potuta portare: e piú volte con pietosi prieghi il domandavano della cagione del suo male, a’ quali o sospiri per risposta dava, o che tutto si sentia consumare. Avvenne un giorno che, sedendosi appresso di lui un medico assai giovane, ma in iscienza profondo molto, e lui per lo braccio tenendo in quella parte dove essi cercano il polso, la Giannetta, la quale, per rispetto della madre di lui, lui sollecitamente serviva, per alcuna cagione entrò nella camera nella quale il giovane giacea. La quale come il giovane vide, senza alcuna parola o atto fare, sentí con piú forza nel cuore l’amoroso ardore, per che il polso piú forte cominciò a battergli che l’usato; il che il medico sentí incontanente e maravigliossi, e stette cheto per vedere quanto questo battimento dovesse durare. Come la Giannetta uscì della camera, ed il battimento ristette, per che parte parve al medico avere della cagione della ’nfermitá del giovane: e stato alquanto, quasi d’alcuna cosa volesse la Giannetta addomandare, sempre tenendo per lo braccio lo ’nfermo, la si fe’ chiamare. Al quale ella venne incontanente: né prima nella camera entrò che il battimento del polso ritornò al giovane, e lei partita, cessò. Laonde, parendo al medico avere assai piena certezza, levatosi e tratti da parte il padre e la madre del giovane, disse loro: — La sanitá del vostro figliuolo non è nell’aiuto de’ medici, ma nelle mani della Giannetta dimora, la quale, sí come io ho manifestamente per certi segni conosciuto, il giovane focosamente ama, come che ella non se n’accorga, per quello che io veggia. Sapete ornai che a fare v’avete, se la sua vita v’è cara. — Il gentile uomo e la sua donna, questo udendo, furon contenti, in quanto pure alcun modo si trovava al suo scampo, quantunque loro molto gravasse che quello di che dubitavano fosse desso, cioè di dover dare la Giannetta al loro figliuolo per isposa. Essi adunque, partito il medico, se n’andarono allo ’nfermo, e dissegli la donna così: — Figliuol mio, io non avrei mai creduto che da me d’alcun tuo disidèro ti fossi guardato, e spezialmente veggendoti tu, per non aver quello, venir meno, per ciò che tu dovevi esser certo e dèi che niuna cosa è che per contentamento di te far potessi, quantunque meno che onesta fosse, che io come per me medesima non la facessi: ma poi che pur fatto l’hai, è avvenuto che Domenedio è stato misericordioso di te piú che tu medesimo, ed acciò che tu di questa infermitá non muoi, m’ha dimostrata la cagione del tuo male, la quale niuna altra cosa è che soperchio amore il quale tu porti ad alcuna giovane, qual che ella si sia. E nel vero, di manifestar questo non ti dovevi tu vergognare, per ciò che la tua etá il richiede: e se tu innamorato non fossi, io ti reputerei da assai poco. Adunque, figliuol mio, non ti guardare da me, ma sicuramente ogni tuo disidèro mi scuopri, e la malinconia ed il pensiero il quale hai, e dal quale questa infermitá procede, gitta via, e confortati e renditi certo che niuna cosa sará, per sodisfacimento di te, che tu m’imponghi, che io a mio poter non faccia, sí come colei che te piú amo che la mia vita. Caccia via la vergogna e la paura, e dimmi se io posso intorno al tuo amore adoperare alcuna cosa: e se tu non truovi che io a ciò sia sollecita e ad effetto tel rechi, abbimi per la piú crudel madre che mai partorisse figliuolo. — Il giovane, udendo le parole della madre, prima si vergognò, poi, seco pensando che niuna persona meglio di lei potrebbe al suo piacer sodisfare, cacciata via la vergogna, cosí le disse: — Madama, niuna altra cosa mi v’ha fatto tenere il mio amor nascoso quanto l’essermi nelle piú delle persone avveduto che, poi che attempati sono, d’essere stati giovani ricordar non si vogliono. Ma poi che in ciò discreta vi veggio, non solamente quello di che dite vi siete accorta, non negherò esser vero, ma ancora di cui vi farò manifesto: con cotal patto, che effetto seguirá alla vostra promessa a vostro potere, e cosí mi potrete aver sano. — Al quale la donna, troppo fidandosi di ciò che non le doveva venir fatto nella forma nella quale giá seco pensava, liberamente rispose che sicuramente ogni suo disidèro l’aprisse, ché ella senza alcuno indugio darebbe opera a fare che egli il suo piacere avrebbe. — Madama, — disse allora il giovane — l’alta bellezza e le laudevoli maniere della nostra Giannetta ed il non poterla fare accorgere, non che pietosa, del mio amore ed il non avere ardito mai di manifestarlo ad alcuno m’hanno condotto dove voi mi vedete: e se quello che promesso m’avete o in un modo o in uno altro non segue, state sicura che la mia vita fia brieve. — La donna, a cui piú tempo da conforto che da riprensioni parea, sorridendo disse: — Ahi! figliuol mio, adunque per questo t’hai tu lasciato aver male? Confòrtati e lascia fare a me, poi che guerito sarai. — Il giovane, pieno di buona speranza, in brevissimo tempo di grandissimo miglioramento mostrò segni; di che la donna contenta molto si dispose a voler tentare come quello potesse osservare che promesso avea: e chiamata un dí la Giannetta, per via di motti assai cortesemente la domandò se ella avesse alcuno amadore. La Giannetta, divenuta tutta rossa, rispose: — Madama, a povera damigella e di casa sua cacciata, come io sono, e che all’altrui servigio dimori, come io fo, non si richiede né sta bene l’attendere ad amore. — A cui la donna disse: — E se voi non l’avete, noi ve ne vogliamo donare uno, di che voi tutta giuliva viverete e piú della vostra biltá vi diletterete, per ciò che non è convenevole che cosí bella damigella, come voi siete, senza amante dimori. — A cui la Giannetta rispose: — Madama, voi dalla povertá di mio padre togliendomi, come figliuola cresciuta m’avete, e per questo ogni vostro piacere far dovrei: ma in questo io non vi piacerò già, credendomi far bene. Se a voi piacerá di donarmi marito, colui intendo io d’amare, ma altro no; per ciò che dell’ereditá de’ miei passati avoli niuna cosa rimasa m’è se non l’onestá, quella intendo io di guardare e di servare quanto la vita mi durerá. — Questa parola parve forte contraria alla donna a quello a che di venire intendea per dovere al figliuolo la promessa servare, quantunque, sí come savia donna, molto seco medesima ne commendasse la damigella; e disse: — Come, Giannetta, se monsignor lo re, il quale è giovane cavaliere, e tu se’ bellissima damigella, volesse del tuo amore alcun piacere, negherestigliele tu? — Alla quale essa subitamente rispose: — Forza mi potrebbe fare il re, ma di mio consentimento mai da me se non quanto onesto fosse aver non potrebbe. — La dama, comprendendo qual fosse l’animo di lei, lasciò star le parole e pensossi di metterla alla pruova: e cosí al figliuolo disse di fare, come guerito fosse, di metterla con lui in una camera e che egli s’ingegnasse d’avere di lei il suo piacere, dicendo che disonesto le pareva che essa, a guisa d’una ruffiana, predicasse per lo figliuolo e pregasse la sua damigella. Alla qual cosa il giovane non fu contento in alcuna guisa, e di subito fieramente peggiorò; il che la donna veggendo, aperse la sua intenzione alla Giannetta, ma piú costante che mai trovandola, raccontato ciò che fatto aveva al marito, ancora che grave loro paresse, di pari consentimento diliberarono di dargliele per isposa, amando meglio il figliuolo vivo con moglie non convenevole a lui che morto senza alcuna; e cosí, dopo molte novelle, fecero. Di che la Giannetta fu contenta molto e con divoto cuore ringraziò Iddio che lei non avea dimenticata: né, per tutto questo, mai altro che figliuola d’un piccardo si disse. Il giovane guerí e fece le nozze piú lieto che altro uomo, e cominciossi a dar buon tempo con lei. Perotto, il quale in Gales col maliscalco del re d’Inghilterra era rimaso, similmente crescendo venne in grazia del signor suo, e divenne di persona bellissimo e pro’ quanto alcuno altro che nell’isola fosse, intanto che né in tornei né in giostre né in qualunque altro atto d’arme niuno v’era nel paese che quello valesse che egli; per che per tutto, chiamato da loro Perotto il piccardo, era conosciuto e famoso. E come Iddio la sua sorella dimenticata non avea, cosí similmente d’aver lui a mente dimostrò: per ciò che, venuta in quella contrada una pistilenziosa mortalitá, quasi la metá della gente di quella se ne portò: senza che, grandissima parte del rimaso per paura in altre contrade se ne fuggirono, di che il paese tutto pareva abbandonato. Nella quale mortalitá il maliscalco suo signore e la donna di lui ed un suo figliuolo e molti altri e fratelli e nepoti e parenti tutti morirono, né altro che una damigella giá da marito di lui rimase, e con alcuni altri famigliari Perotto. Il quale, cessata alquanto la pestilenza, la damigella, per ciò che prod’uomo e valente era, con piacere e consiglio d’alquanti pochi paesani vivi rimasi, per marito prese, e di tutto ciò che a lei per ereditá scaduto era il fece signore; né guari di tempo passò, che udendo il re d’Inghilterra il maliscalco esser morto, e conoscendo il valor di Perotto il piccardo, in luogo di quello che morto era il sostituí, e fecelo suo maliscalco. E cosí brievemente avvenne de’ due innocenti figliuoli del conte d’Anguersa, da lui per perduti lasciati. Era giá il dieceottesimo anno passato poi che il conte d’Anguersa, fuggendo, di Parigi s’era partito, quando a lui dimorante in Irlanda, avendo in assai misera vita molte cose patite, giá vecchio veggendosi, venne voglia di sentire, se egli potesse, quello che de’ figliuoli fosse addivenuto. Per che, del tutto della forma della quale esser solea veggendosi trasmutato e sentendosi per lo lungo esercizio piú della persona atante che quando giovane, in ozio dimorando, non era, partitosi assai povero e male in arnese da colui col quale lungamente era stato, se ne venne in Inghilterra e lá se n’andò dove Perotto avea lasciato: e trovò lui essere maliscalco e gran signore, e videlo sano ed atante e bello della persona; il che gli aggradì forte, ma farglisi conoscere non volle infino a tanto che saputo non avesse della Giannetta. Per che, messosi in cammino, prima non ristette che in Londra pervenne: e quivi, cautamente domandato della donna alla quale la figliuola lasciata avea e del suo stato, trovò la Giannetta moglie del figliuolo, il che forte gli piacque, ed ogni sua avversitá preterita reputò piccola poi che vivi aveva ritrovati i figliuoli ed in buono stato. E disideroso di poterla vedere, cominciò come povero uomo a ripararsi vicino alla casa di lei, dove un giorno veggendol Giachetto Lamiens, che cosí era chiamato il marito della Giannetta, avendo di lui compassione per ciò che povero e vecchio il vide, comandò ad un de’ suoi famigliari che nella sua casa il menasse e gli facesse dare da mangiar per Dio; il che il famigliare volentier fece. Aveva la Giannetta avuti di Giachetto giá piú figliuoli, de’ quali il maggiore non avea oltre ad otto anni, ed erano i piú belli ed i piú vezzosi fanciulli del mondo; li quali, come videro il conte mangiare, cosí tutti quanti gli fur dintorno e cominciarongli a far festa, quasi da occulta vertù mossi avesser sentito costui loro avolo essere. Il quale, suoi nepoti conoscendoli, cominciò loro a mostrare amore ed a far carezze; per la qual cosa i fanciulli da lui non si volean partire, quantunque colui che al governo di loro attendea, gli chiamasse. Per che la Giannetta, ciò sentendo, uscì d’una camera e quivi venne lá dove era il conte, e minacciògli forte di battergli, se quello che il lor maestro volea non facessero. I fanciulli cominciarono a piagnere ed a dire che essi volevano stare appresso a quel prod’uomo, il quale piú che il lor maestro gli amava; di che e la donna ed il conte si rise. Erasi il conte levato, non miga a guisa di padre ma di povero uomo, a fare onore alla figliuola sí come a donna, e maraviglioso piacere veggendola avea sentito nell’animo. Ma ella né allora né poi il conobbe punto, per ciò che oltre modo era trasformato da quello che esser soleva, sí come colui che vecchio e canuto e barbuto era, e magro e bruno divenuto, e piú tosto uno altro uomo pareva che il conte. E veggendo la donna che i fanciulli da lui partire non si voleano, ma volendonegli partir piagnevano, disse al maestro che alquanto gli lasciasse stare. Standosi adunque i fanciulli col prod’uomo, avvenne che il padre di Giachetto tornò, e dal maestro loro sentí questo fatto; per che egli, il quale a schifo avea la Giannetta, disse: — Lasciagli star con la mala ventura che Dio déa loro, ché essi fanno ritratto da quello onde nati sono: essi son per madre discesi di paltoniere, e per ciò non è da maravigliarsi se volentier dimoran co’ paltonieri. — Queste parole udí il conte, e dolfergli forte, ma pure, nelle spalle ristretto, cosí quella ingiuria sofferse come molte altre sostenute n’avea. Giachetto, che sentita aveva la festa che i figliuoli al prod’uomo facevano, quantunque gli dispiacesse, nondimeno tanto gli amava, che, avanti che piagner gli vedesse, comandò che, se il prod’uomo ad alcun servigio lá entro dimorar volesse, che egli vi fosse ricevuto. Il quale rispose che vi rimanea volentieri, ma che altra cosa far non sapea che attendere a’ cavalli, di che tutto il tempo della sua vita era usato. Assegnatogli adunque un cavallo, come quello governato avea, al trastullare i fanciulli intendea. Mentre che la fortuna in questa guisa che divisata è il conte d’Anguersa ed i figliuoli menava, avvenne che il re di Francia, molte triegue fatte con gli alamanni, morí, ed in suo luogo fu coronato il figliuolo, del quale colei era moglie per cui il conte era stato cacciato. Costui, essendo l’ultima triegua finita co’ tedeschi, rincominciò asprissima guerra; in aiuto del quale, sí come nuovo parente, il re d’Inghilterra mandò molta gente sotto il governo di Perotto suo maliscalco e di Giachetto Lamiens, figliuolo dell’altro maliscalco, col quale il prod’uomo andò, e senza essere da alcuno riconosciuto, dimorò nell’oste per buono spazio a guisa di ragazzo: e quivi, come valente uomo, e con consigli e con fatti, piú che a lui non si richiedea, assai di bene adoperò. Avvenne durante la guerra che la reina di Francia infermò gravemente, e conoscendo ella se medesima venire alla morte, contrita d’ogni suo peccato, divotamente si confessò dall’arcivescovo di Ruem, il quale da tutti era tenuto un santissimo e buono uomo, e tra gli altri peccati gli narrò ciò che per lei a gran torto il conte d’Anguersa ricevuto avea: né solamente fu a lui contenta di dirlo, ma davanti a molti altri valenti uomini tutto come era stato raccontò, pregandogli che col re operassono che il conte, se vivo fosse, e se non, alcun de’ suoi figliuoli nel loro stato restituiti fossero; né guari poi dimorò, che, di questa vita passata, onorevolmente fu sepellita. La quale confessione al re raccontata, dopo alcun doloroso sospiro delle ’ngiurie fatte al valente uomo a torto, il mosse a fare andare per tutto l’esercito, ed oltre a ciò in molte altre parti, una grida, che chi il conte d’Anguersa o alcuno de’ figliuoli gli rinsegnasse, maravigliosamente da lui per ognuno guiderdonato sarebbe, con ciò fosse cosa che egli lui per innocente di ciò per che in esilio andato era l’avesse, per la confessione fatta dalla reina, e nel primo stato ed in maggiore intendeva di ritornarlo. Le quali cose il conte in forma di ragazzo udendo, e sentendo che cosí era il vero, subitamente fu a Giachetto ed il pregò che con lui insieme fosse con Perotto, per ciò che egli voleva loro mostrare ciò che il re andava cercando. Adunati adunque tutti e tre insieme, disse il conte a Perotto, che giá era in pensiero di palesarsi: — Perotto, Giachetto che è qui, ha tua sorella per mogliere, né mai n’ebbe alcuna dota; e per ciò, acciò che tua sorella senza dota non sia, io intendo che egli e non altri abbia questo beneficio che il re promette così grande per te, e ti rinsegni sí come figliuolo del conte d’Anguersa, e per la Violante, tua sorella e sua mogliere, e per me, che il conte d’Anguersa e vostro padre sono. — Perotto, udendo questo e fiso guardandolo, tantosto il riconobbe, e piagnendo gli si gittò a’ piedi ed abbracciollo dicendo: — Padre mio, voi siate il molto ben venuto! — Giachetto, prima udendo ciò che il conte detto avea e poi veggendo quello che Perotto faceva, fu ad una ora da tanta maraviglia e da tanta allegrezza soprappreso, che appena sapeva che far si dovesse: ma pur, dando alle parole fede e vergognandosi forte di parole ingiuriose giá da lui verso il conte ragazzo usate, piagnendo gli si lasciò cadere a’ piedi ed umilmente d’ogni oltraggio passato domandò perdonanza, la quale il conte assai benignamente, in piè rilevatolo, gli diede. E poi che i vari casi di ciascuno tutti e tre ragionati ebbero, e molto piantosi e molto rallegratosi insieme, volendo Perotto e Giachetto rivestire il conte, per niuna maniera il sofferse, ma volle che, avendo prima Giachetto certezza d’avere il guiderdon promesso, cosí fatto ed in quello abito di ragazzo, per farlo piú vergognare, gliele presentasse. Giachetto adunque col conte e con Perotto appresso venne davanti al re ed offerse di presentargli il conte ed i figliuoli, dove, secondo la grida fatta, guiderdonare il dovesse. Il re prestamente per tutti fece il guiderdon venire maraviglioso agli occhi di Giachetto, e comandò che via il portasse, dove con veritá il conte ed i figliuoli dimostrasse come promettea. Giachetto allora, voltatosi indietro e davanti messisi il conte suo ragazzo e Perotto, disse: — Monsignore, ecco qui il padre ed il figliuolo; la figliuola, che è mia mogliere e non è qui, con l’aiuto di Dio tosto vedrete. — Il re, udendo questo, guardò il conte, e quantunque molto da quello che esser solea trasmutato fosse, pur dopo l’averlo alquanto guardato il riconobbe, e quasi con le lagrime in su gli occhi lui che inginocchione stava levò in piede ed il basciò ed abbracciò, ed amichevolmente ricevette Perotto: e comandò che incontanente il conte di vestimenti, di famiglia e di cavalli e d’arnesi rimesso fosse in assetto, secondo che alla sua nobiltá si richiedea; la qual cosa tantosto fu fatta. Oltre a questo, onorò il re molto Giachetto e volle ogni cosa sapere di tutti i suoi preteriti casi. E quando Giachetto prese gli alti guiderdoni per l’avere insegnati il conte ed i figliuoli, gli disse il conte: — Prendi cotesti dalla magnificenza di monsignor lo re, e ricordera’ti di dire a tuo padre che i tuoi figliuoli, suoi e miei nepoti, non son per madre nati di paltoniere. — Giachetto prese i doni e fece a Parigi venir la moglie e la suocera, e vennevi la moglie di Perotto: e quivi in grandissima festa furono col conte, il quale il re avea in ogni suo ben rimesso, e maggior fattolo che fosse giá mai; poi ciascuno con la sua licenza tornò a casa sua, ed esso infino alla morte visse in Parigi piú gloriosamente che mai.