< Decameron < Giornata seconda
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Giornata seconda - Novella prima
Giornata seconda - Introduzione Giornata seconda - Novella seconda

[I]

Martellino, infignendosi attratto, sopra santo Arrigo fa vista di guerire, e conosciuto il suo inganno, è battuto; e poi preso ed in pericol venuto d’essere impiccato per la gola, ultimamente scampa.


Spesse volte, carissime donne, avvenne che chi altrui s’è di beffare ingegnato, e massimamente quelle cose che sono da reverire, s’è con le beffe e talvolta col danno di sé solo ritrovato; il perché, acciò che io al comandamento della reina ubidisca e principio dèa con una mia novella alla proposta, intendo di raccontarvi quello che prima sventuratamente e poi, fuori di tutto il suo pensiero, assai felicemente ad un nostro cittadino addivenisse.

Era, non è ancora lungo tempo passato, un tedesco a Trivigi chiamato Arrigo, il quale, povero uomo essendo, di portar pesi a prezzo serviva chi il richiedeva; e con questo, uomo di santissima vita e di buona era tenuto da tutti. Per la qual cosa, o vero o non vero che si fosse, morendo egli, addivenne, secondo che i trivigiani affermavano, che nell’ora della sua morte le campane della maggior chiesa di Trivigi tutte, senza essere da alcun tirate, cominciarono a sonare. Il che in luogo di miracolo avendo, questo Arrigo esser santo dicevano tutti; e concorso tutto il popolo della cittá alla casa nella quale il suo corpo giacea, quello a guisa d’un corpo santo nella chiesa maggior ne portarono, menando quivi zoppi, attratti e ciechi ed altri di qualunque infermitá o difetto impediti, quasi tutti dovessero dal toccamento di questo corpo divenir sani. In tanto tumulto e discorrimento di popolo, avvenne che in Trivigi giunsero tre nostri cittadini, de’ quali l’uno era chiamato Stecchi, l’altro Martellino ed il terzo Marchese, uomini li quali, le corti de’ signor visitando, di contraffarsi, e con nuovi atti contraffaccendo qualunque altro uomo, li veditori sollazzavano. Li quali quivi non essendo stati giá mai, veggendo correre ogni uomo si maravigliarono, ed udita la cagione per che ciò era, disiderosi divennero d’andare a vedere; e poste le lor cose ad uno albergo, disse Marchese: — Noi vogliamo andare a veder questo santo, ma io per me non veggio come noi vi ci possiam pervenire, per ciò che io ho inteso che la piazza è piena di tedeschi e d’altra gente armata, la quale il signor di questa terra, acciò che romor non si faccia, vi fa stare; ed oltre a questo la chiesa, per quello che si dica, è sí piena di gente, che quasi niuna persona piú vi può entrare. — Martellino allora, che di veder questa cosa disiderava, disse: — Per questo non rimanga, ché di pervenire infino al corpo santo troverò io ben modo. — Disse Marchese: — Come? — Rispose Martellino: — Dicolti. Io mi contraffarò a guisa d’uno attratto, e tu dall’un lato e Stecchi dall’altro, come se io per me andar non potessi, mi verrete sostenendo, faccendo sembianti di volermi lá menare acciò che questo santo mi guerisca: egli non sará alcuno che veggendoci non ci faccia luogo e lascici andare. — A Marchese ed a Stecchi piacque il modo: e senza alcuno indugio, usciti fuor dell’albergo, tutti e tre in un solitario luogo venuti, Martellino si storse in guisa le mani, le dita e le braccia e le gambe, ed oltre a questo, la bocca e gli occhi e tutto il viso, che fiera cosa pareva a vedere; né sarebbe stato alcun che veduto l’avesse, che non avesse detto, lui veramente esser tutto della persona perduto e rattratto. E preso, cosí fatto, da Marchese e da Stecchi, verso la chiesa si dirizzarono, in vista tutti pieni di pietá, umilemente e per l’amor di Dio domandando a ciascuno che dinanzi lor si parava che loro luogo facesse, il che agevolmente impetravano; ed in brieve, riguardati da tutti, e quasi per tutto gridandosi: — Fa’ luogo! fa’ luogo! — lá pervennero ove il corpo di santo Arrigo era posto, e da certi gentili uomini, che v’erano da torno, fu Martellino prestamente preso e sopra il corpo posto, acciò che per quello il beneficio della sanitá acquistasse. Martellino, essendo tutta la gente attenta a veder che di lui avvenisse, stato alquanto, cominciò, come colui che ottimamente fare lo sapeva, a far sembianti di distendere l’un de’ diti, ed appresso la mano, e poi il braccio, e cosí tutto a venirsi distendendo. Il che veggendo la gente, sí gran romore in lode di santo Arrigo facevano, che i tuoni non si sarieno potuti udire. Era per ventura un fiorentino vicino a questo luogo, il quale molto bene conoscea Martellino, ma per l’esser cosí travolto quando vi fu menato non l’avea conosciuto, il quale, veggendolo ridirizzato e riconosciutolo, subitamente cominciò a ridere ed a dire: — Domine, fallo tristo! Chi non avrebbe creduto, veggendol venire, che egli fosse stato attratto da dovero? — Queste parole udirono alcuni trivigiani, li quali incontanente il domandarono: — Come, non era costui attratto? — A’ quali il fiorentin rispose: — Non piaccia a Dio! Egli è stato sempre diritto come qualunque è l’un di noi, ma sa meglio che altro uomo, come voi avete potuto vedere, far queste ciance di contraffarsi in qualunque forma vuole. — Come costoro ebbero udito questo, non bisognò piú avanti; essi si fecero per forza innanzi, e cominciarono a gridare: — Sia preso questo traditore e beffatore di Dio e de’ santi, il quale, non essendo attratto, per ischernire il nostro santo e noi, qui a guisa d’attratto è venuto! — E cosí dicendo, il pigliarono e giú del luogo dove era il tirarono, e presolo per li capelli e stracciatigli tutti i panni indosso, gl’incominciarono a dare delle pugna e de’ calci; né parea a colui essere uomo che a questo far non correa. Martellin gridava: — Mercé per Dio! — e quanto poteva s’aiutava, ma ciò era niente: la calca gli multiplicava ognora addosso maggiore. La qual cosa veggendo Stecchi e Marchese, cominciarono tra sé a dire che la cosa stava male, e di se medesimi dubitando non ardivano ad aiutarlo, anzi con gli altri insieme gridando ch’el fosse morto, avendo nondimeno pensiero tuttavia come trarre il potessero delle mani del popolo. Il quale fermamente l’avrebbe ucciso, se uno argomento non fosse stato il qual Marchese subitamente prese: che, essendo ivi di fuori la famiglia tutta della signoria, Marchese, come piú tosto potè, n’andò a colui che in luogo del podestá v’era, e disse: — Mercé per Dio! Egli è qua un malvagio uomo che m’ha tagliata la borsa con ben cento fiorin d’oro; io vi priego che voi il pigliate, sí che io riabbia il mio. — Subitamente, udito questo, ben dodici de’ sergenti corsero lá dove il misero Martellino era senza pettine carminato, ed alle maggiori fatiche del mondo rotta la calca, loro tutto pesto e tutto rotto il trassero delle mani e menaronnelo a palagio; dove molti seguitolo che da lui si tenevano scherniti, avendo udito che per tagliaborse era stato preso, non parendo loro avere alcuno altro piú giusto titolo a fargli dare la mala ventura, similmente cominciarono a dir ciascuno, da lui essergli stata tagliata la borsa. Le quali cose udendo il giudice del podestá, il quale era un ruvido uomo, prestamente da parte menatolo, sopra ciò lo ’ncominciò ad esaminare. Ma Martellino rispondea motteggiando, quasi per niente avesse quella presura; di che il giudice turbato, fattolo legare alla colla, parecchie tratte delle buone gli fece dare con animo di fargli confessare ciò che color dicevano, per farlo poi appiccar per la gola. Ma poi che egli fu in terra posto, domandandolo il giudice se ciò fosse vero che coloro incontro a lui dicevano, non valendogli il dir di no, disse: — Signor mio, io son presto a confessarvi il vero, ma fatevi a ciascun che m’accusa dire quando e dove io gli tagliai la borsa, ed io vi dirò quello che io avrò fatto e quel che no. — Disse il giudice: — Questo mi piace. — E fattine alquanti chiamare, l’un diceva che gliele avea tagliata otto dí eran passati, l’altro sei, l’altro quattro, ed alcuni dicevano quel dí stesso. Il che udendo Martellino, disse: — Signor mio, essi mentono tutti per la gola: e che io dica il vero, questa pruova ve ne posso fare, che cosí non fossi io mai in questa terra entrato come io mai non ci fui se non da poco fa in qua, e come io giunsi, per mia disavventura andai a veder questo corpo santo, dove io sono stato pettinato come voi potete vedere; e che questo che io dico sia vero, ve ne può far chiaro l’uficial del signore il quale sta alle presentagioni, ed il suo libro, ed ancora l’oste mio. Per che, se cosí trovate come io vi dico, non mi vogliate ad istanza di questi malvagi uomini straziare ed uccidere. — Mentre le cose erano in questi termini, Marchese e Stecchi, li quali avevan sentito che il giudice del podestá fieramente contro a lui procedeva e giá l’aveva collato, temetter forte, seco dicendo: — Male abbiam procacciato; noi abbiamo costui tratto della padella, e gittatolo nel fuoco. — Per che, con ogni sollecitudine dandosi attorno, e l’oste loro ritrovato, come il fatto era gli raccontarono; di che esso ridendo, gli menò ad un Sandro Agolanti, il quale in Trivigi abitava ed appresso al signore aveva grande stato, ed ogni cosa per ordine déttagli, con loro insieme il pregò che de’ fatti di Martellino gli tenesse. Sandro, dopo molte risa andatosene al signore, impetrò che per Martellino fosse mandato; e cosí fu. Il quale coloro che per lui andarono trovarono ancora in camiscia dinanzi al giudice e tutto smarrito e pauroso forte, per ciò che il giudice niuna cosa in sua scusa voleva udire: anzi, per avventura avendo alcuno odio ne’ fiorentini, del tutto era disposto a volerlo fare impiccar per la gola ed in niuna guisa rendere il voleva al signore, infino a tanto che costretto non fu di renderlo a suo dispetto.

Al quale poi che egli fu davanti, ed ogni cosa per ordine déttagli, porse prieghi che in luogo di somma grazia via il lasciasse andare, per ciò che infino che in Firenze non fosse sempre gli parrebbe il capestro aver nella gola. Il signore fece grandissime risa di cosí fatto accidente, e fatta donare una roba per uomo, oltre alla speranza di tutti e tre di cosí gran pericolo usciti, sani e salvi se ne tornarono a casa loro.

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