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Decennale secondo
Decennale primo





DECENNALE SECONDO


GLi alti accidenti, e fatti furiosi,
     Che in dieci anni seguenti sono stati,
     3Poichè tacendo la penna riposi:
Le mutazion de’ Regni, Imperj, e Stati,
     Successe pur per l’Italico sito,
     6Dal consiglio divin predestinati,
Canterò io; e di cantare ardito
     Sarò fra molto pianto, benchè quasi
     9Sia per dolor divenuto smarrito.
Musa, se mai di te mi persuasi,
     Prestami grazia, che il mio verso arrivi
     12Alla grandezza de’ seguiti casi;
E dal tuo fonte tal grazia derivi
     Di cotanta virtù, che il nostro canto
     15Contenti almanco quei che sono or vivi.
Era sospeso il mondo tutto quanto,
     Ognun teneva le redine in mano
     18Del suo destrier affaticato tanto;
Quando Bartolommeo detto d’Alviano,
     Con la sua compagnia, partì del Regno,
     21Non ben contento del gran Capitano;
E per dar loco al bellicoso ingegno,
     O per qualunque altra cagion si fosse,
     24D’entrar in Pisa avea fatto disegno.

E benchè seco avesse poche posse,
     Pur non di manco del futuro gioco
     27Fu la prima pedina, che si mosse.
Ma voi volendo spegner questo fuoco,
     Vi preparaste bene, e prestamente;
     30Talchè il disegno suo non ebbe loco.
Che giunto dalla Torre a San Vincente
     Per la virtù del vostro Giacomino
     33Fu prosternata, e rotta la sua gente;
Il qual, per sua virtù, per suo destino
     In tanta gloria e tanta fama venne,
     36Quant’altro mai privato cittadino.
Questo per la sua patria assai sostenne,
     E di vostra milizia il suo decoro
     39Con gran giustizia gran tempo mantenne.
Avaro dell’onor, largo dell’oro,
     E di tanta virtù visse capace,
     42Che merita assai più ch’io non l’onoro.
E or negletto e vilipeso giace
     In le sue case, pover, vecchio, e cieco:
     45Tanto a fortuna chi ben fa dispiace!
Dipoi, se a mente ben tutto mi reco,
     Giste contro a’ Pisan, con quella speme,
     48Che quella rotta avea recata seco.
Ma perchè Pisa poco, o nulla teme,
     Non molto tempo il campo vi teneste,
     51Che fu principio d’assai tristo seme.
E se i danar, ed onor vi perdeste,
     Seguitando il parere universale,
     54Al voler popolar satisfaceste.
Ascanio intanto mort’era, col quale
     S’eran levati gran Principi a gara
     57Per renderli il suo Stato naturale.

Mort’era Ercole Duca di Ferrara,
     Mort’era Federico, e di Castiglia
     60Elisabetta Regina preclara.
Onde che ’l Gallo per partito piglia
     Far pace con Fernando e li concesse
     63Per sua consorte di Fois la figlia;
E la sua parte di Napoli cesse
     Per dote di costei, e ’l Re di Spagna
     66Li fece molto larghe le promesse.
In questo l’arciduca di Bretagna
     S’era partito, che con seco ducea
     69Condotta molta gente della Magna.
Perchè pigliar il governo volea
     Del Regno di Castiglia, il quale a lui,
     72E non al Suocer suo, si appartenea.
E come in alto mar giunse costui,
     Fu dai venti l’armata combattuta,
     75Tanto che si ridusse in forza altrui;
Che la sua nave da’ venti sbattuta,
     Applicò in Inghilterra, la quale fue
     78Pel Duca di Soffolch male veduta.
Indi partito con le genti sue,
     In Castiglia arrivò la sua persona,
     81Dove Fernando non istette piue;
Ma ridotto nel regno d’Aragona,
     Per ir di Puglia il suo stato a vedere,
     84Partì con le galee da Barzalona.
In questo, Papa Giulio più tenere
     Non possendo il feroce animo in freno,
     87Al vento diede le sacre bandiere.
E d’ira natural, e furor pieno,
     Contro gli occupator d’ogni sua terra
     90Sparse prima il suo primo veleno.

E per gettarne ogni tiranno a terra,
     Abbandonando la sua santa soglia,
     93A Bologna, e Perugia ei mosse guerra.
Ma cedendo i Baglioni alla sua voglia
     Restorno in casa, e sol del Bolognese
     96Cacciò l’antica Casa Bentivoglia.
In questo poi maggior fuoco s’accese
     Per certo greve disparer, che nacque
     99Fra gli Ottimati e ’l popol Genovese.
Per fieri acquisti al Re di Francia piacque
     Passar i monti, e favorir la parte,
     102Che per suo amor prostrata, e vinta giacque;
E con ingegno, e con forza, e con arte
     Lo Stato Genovese ebbe ridutto
     105Sotto le sue bandiere in ogni parte.
Poi per levar ogni sospetto in tutto
     A Papa Giulio, che non l’assalisse,
     108Si fu in Savona subito condutto;
Ove aspettò che Fernando venisse,
     Ch’a governar Castiglia ritornava,
     111Laddove poco innante dipartisse;
Perchè quel Regno già tumultuava,
     Sendo morto Filippo, e nel tornare
     114Parlò con Francia, dove l’aspettava.
Lo’mperio intanto volendo passare,
     Secondo ch’è la lor antica usanza,
     117A Roma, per volersi coronare,
Una dieta avea fatto in Costanza
     Di tutti i suoi Baron, dove del Gallo
     120Mostrò l’ingiurie e de’ baron di Franza;
E ordinò che ognun fusse a cavallo
     Con la sua gente d’arme, e fanteria,
     123Per ogni modo il giorno di san Gallo.

Ma Francia e Marco, che questo sentìa
     Uniron le lor genti, e sotto Trento
     126Uniti insieme gli chiuser la via.
Nè Marco alle difese stè contento,
     Ferillo in casa, ed all’Imperio tolse
     129Gorizia con Triesti in un momento.
Onde Massimilian far tregua volse,
     Veggendo contro ai suoi tanto contrasto,
     132E le due terre d’accordo si tolse;
Le quali dipoi si furon quel pasto;
     Quel rio boccon, quel velenoso cibo,
     135Che di San Marco ha lo stomaco ha guasto.
Perchè l’Imperio, sì come io scribo,
     Sut’era offeso, ed al buon Re de’ Galli
     138Parve de’ Viniziani esser corribo.
Così perchè il disegno a Marco falli,
     Il Papa, e Spagna insieme tutti due
     141S’uniron con l’Imperio, e gigli Galli.
Nè steron punto de’ patti infra due,
     Ma subito convennero in Cambrai,
     144Che ognun s’andasse per le cose sue.
In questo voi provedimenti assai
     Avevi fatti, perchè verso Pisa
     147Tenevi gli occhi volti sempre mai,
Non potendo posare in nulla guisa,
     Se non l’avevi; e Ferrando, e Luigi
     150V’avien d’averla la via intercisa.
E li vostri vicini, i lor vestigi
     Seguen, facendo lor larga l’offerta,
     153Movendovi ogni dì mille litigi.
Talchè, volendo far l’impresa certa,
     Bisognò a ciascuno empier la gola
     156E quella bocca che teneva aperta.

Dunque sendo rimasta Pisa sola,
     Subitamente quella circundaste,
     159Non vi lasciando entrar, se non chi vola.
E quattro mesi intorno ivi posaste
     Con gran disagi, e con assai fatica,
     162E con assai dispendio l’affamaste.
E benchè fusse ostinata nimica,
     Pur, da necessità costretta, e vinta
     165Tornò piangendo alla catena antica.
Non era in Francia ancor la voglia estinta
     Di muover guerra, e per l’accordo fatto
     168Una ha gran gente in Lombardia sospinta.
E Papa Giulio ancor ne venne ratto
     Con le genti in Romagna, e Berzighella
     171Assaltò, e Faenza innanzi tratto.
Ma poichè a Trievi, e cert’altre Castella
     Fra Marco, e Francia alcun leggier assalto
     174Fu, or con trista, or con buona novella;
Alfin Marco rimase in su lo smalto,
     Poscia che a Vailà misero salse,
     177Cascò del grado suo, ch’era tant’alto.
Che fia degli altri, se questo arse, ed alse
     In pochi giorni e se a cotanto impero
     180giustizia, e forza, ed union non valse?
Gite superbi, omai con viso altiero
     Voi, che li scettri, e le corone avete,
     183Che del futuro non sapete il vero.
Tanto v’accieca la presente sete,
     Che grosso tienvi sopra gli occhi un velo,
     186Che le cose discosto non vedete.
Di quinci nasce che il voltar del Cielo
     Da questo a quello i vostri stati volta
     189Più spesso, che non muta il caldo e ’l gielo.

Che se vostra prudenzia fusse volta
     A cognoscere il male, e rimediarvi,
     192Tanta potenzia al Ciel sarebbe tolta.
Io non potrei sì presto raccontarvi,
     Quanto sì presto poi de’ Viniziani
     195Dopo la rotta quello Stato sparve.
La Lombardia il gran Re de’ Cristiani
     Occupò mezza, e quel resto, che tiene,
     198Col nome solo il Seggio de’ Romani;
E la Romagna al gran Pastor si diene
     senza contrasto, e ’l Re de’ Ragonesi
     201Anch’ei per le sue terre in Puglia viene.
Ma non sendo il Tedesco in que’ paesi
     Ancor venuto, da San Marco presto
     204E Padova, e Trivigi fur ripresi.
Onde Massimilian sentendo questo
     Con grande assembramento venne poi
     207Per pigliar quello, e non perdere il resto.
E benchè fuss’ajutato da voi,
     E da Francia, e da Spagna, nondimanco
     210Fe’ questo come gli altri fatti suoi:
Ch’essendo stato con l’animo franco
     A’ Padova alcun giorno molto afflitto,
     213Levò le genti affaticato e stanco;
E dalla Lega essendo derelitto,
     Di ritornarsi nella Magna vago
     216Perdè Vicenza per maggior despitto.



Fine de’ Decennali.

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