< Dei delitti e delle pene (1821)
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XXXIII XXXV

§ XXXIV.


Dell'ozio politico.


I saggi governi non soffrono nel seno del travaglio e dell’industria l’ozio politico. Io chiamo ozio politico quello che non contribuisce alla società nè col travaglio, nè colla ricchezza; che acquista senza giammai perdere; che, venerato dal volgo con istupida ammirazione, è risguardato dal saggio con isdegnosa compassione per gli esseri che ne sono la vittima; che essendo privo di quello stimolo della vita attiva, ch’è la necessità di custodire o di aumentare i comodi della vita, lascia alle passioni di opinione, che non sono le meno forti, tutta la loro energia. Quest’ozio è stato confuso dagli austeri declamatori coll’ozio delle ricchezze accumulate dall’industria; e però non l’austera e limitata virtù di alcuni censori, ma le leggi debbono definire qual sia l’ozio da punirsi. Non è ozioso politicamente chi gode dei frutti de’ vizi o delle virtù dei propri antenati, e vende per attuali piaceri il pane e l’esistenza alla industriosa povertà, ch’esercita in pace la tacita guerra d’industria colla opulenza, in vece dell’incerta e sanguinosa colla forza. Quest’ozio è necessario ed utile a misura che la società si dilata, e l’amministrazione si ristringe.

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