< Dei delitti e delle pene (1821)
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XXXVII XXXIX

§ XXXVIII.


False idee di utilità.


Una sorgente di errori e d’ingiustizie sono le false idee di utilità che si formano i legislatori. Falsa idea di utilità è quella che antepone gl’inconvenienti particolari all’inconveniente generale; quella che comanda ai sentimenti invece di eccitarli, che dice alla logica, servi. Falsa idea di utilità è quella che sacrifica mille vantaggi reali per un inconveniente o imaginario, o di poca conseguenza; che toglierebbe agli uomini il fuoco perchè incendia, e l’acqua perchè annega; che non ripara ai mali, che col distruggere. Le leggi che proibiscono di portar le armi, sono leggi di tal natura: esse non disarmano che i non inclinati, nè determinati ai delitti; mentre coloro che hanno il coraggio di poter violare le leggi più sacre della umanità, e le più importanti del codice, come rispetteranno le minori, e le puramente arbitrarie, e delle quali tanto facili ed impuni debbon essere le contravvenzioni, e l’esecuzione esatta delle quali toglie la libertà personale, carissima all’uomo, carissima all’illuminato legislatore, e sottopone gli innocenti a tutte le vessazioni dovute ai rei? Queste peggiorano la condizione degli assaliti, migliorando quella degli assalitori; non iscemano gli omicidii, ma gli accrescono, perchè è maggiore la confidenza nell’assalire i disarmati, che gli armati. Queste si chiamano leggi non ovviatrici, ma paurose dei delitti, che nascono dalla tumultuosa impressione di alcuni fatti particolari, non dalla ragionata meditazione degli inconvenienti ed avvantaggi di un decreto universale. Falsa idea di utilità è quella che vorrebbe dare a una moltitudine di esseri sensibili la simmetria e l’ordine che soffre la materia bruta e inanimata; che trascura i motivi presenti, che soli con costanza e con forza agiscono sulla moltitudine, per dar forza ai lontani, de’ quali brevissima e debole è l’impressione, se una forza d’immaginazione, non ordinaria nella umanità, non supplisce coll’ingrandimento alla lontananza dell’oggetto. Finalmente è falsa idea di utilità quella che, sacrificando la cosa al nome, divide il ben pubblico dal bene di tutti i particolari. Vi è questa differenza dallo stato di società allo stato di natura, che l’ uomo selvaggio non fa danno altrui, che quanto basta per far bene a se stesso; ma l’uomo sociabile è qualche volta mosso dalle male leggi a offender altri senza far bene a se. Il dispotico getta il timore e l’abbattimento nell’animo de’ suoi schiavi, ma ripercosso ritorna con maggior forza a tormentare il di lui animo. Quanto il timore è più solitario e domestico, tanto è meno pericoloso a chi ne fa lo stromento della sua felicità ma quanto è più pubblico, ed agita una moltitudine più grande di uomini, tanto è più facile che vi sia o l’imprudente, o il disperato, o l’audace accorto che faccia servire gli uomini al suo fine, destando in essi sentimenti più grati, e tanto più seducenti, quanto il rischio della intrapresa cade sopra un maggior numero; ed il valore che gl’infelici danno alla propria esistenza, si sminuisce a proporzione della miseria che soffrono. Questa è la cagione per cui le offese ne fanno nascere delle nuove; che l’odio è un sentimento tanto più durevole dell’amore, quanto il primo prende la sua forza dalla continuazione degli atti, che indebolisce il secondo.

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