Questo testo è completo. |
◄ | Canto III |
Tacque ciò detto, e su l’enfiate labbia
Gorgogliava un suon muto di vendetta,
3Un fremer sordo d’intestina rabbia.
E le affollate intorno ombre, “vendetta”
Gridar, “vendetta”, e la commossa riva
6Inorridita replicò “vendetta”.
I torbid’occhi il crino a lui copriva;
Fascio parea di vepri o di gramigna,
9Onde un’atra erompea luce furtiva;
Come veggiamo il sol, se una sanguigna
Nugola il raggio ne rinfrange, obbliqua
12Vibrar l’incerta luce e ferrugigna.
Ahi di Tiranni ria semenza iniqua,
De gli uomini nimica e di natura,
15Or hai pur spenta l’empia sete antiqua!
Gonfia di sangue la corrente e impura
Portò l’umil Sebeto, e de la cruda
18Novella Tebe flagellò le mura.
Tigre inumana di pietate ignuda,
Tu sopravvivi a’ tuoi delitti? un Bruto
21Dov’è? chi ’l ferro a trucidarti snuda?
Questi sensi io volgea per entro al muto
Pensier, che tutto in quell’orror s’affisse,
24Allor che venne al mio veder veduto
D’Insubria il Genio, che le luci fisse
In me tenendo, armoniosa e scorta
27Voce disciolse, e scintillando disse:
Mortal, quello che udrai là giuso porta.
Deh! gli alti detti a la mal ferma e stanca
30Mente richiama, o Musa, e mi sia scorta.
Tu la cadente poesia rinfranca,
Tu la rivesti d’armonia beata,
33E tu sostieni la virtù, che manca;
Tu l’ali al pensier presta, o Diva nata
Di Mnemosine, e fa’ che del mio plettro
36Esca la voce ai colti orecchi grata,
E spargi i detti miei d’eterno elettro.
Già, proseguiva, del real potere
39Sei sciolta, Insubria, e infranto hai l’empio scettro.
Ché gli ubertosi colli e le riviere,
Ove Natura a se medesma piace,
42No, che non son per le Tedesche fiere.
Pace altra volta tu le desti, pace,
O Tiranno, giurasti, e udir le genti
45Il real giuro, e lo credean verace.
Ma di Tiranno fede i sacramenti
Frange e calpesta, e la legge de’ troni
48Son gl’inganni, i spergiuri, i tradimenti.
Venne in fin dai settemplici trioni,
Da te chiamato, e da le fredde rupi
51Un torrente di bruti e di ladroni.
Come in aperto ovile iberni lupi,
Tal su l’Insubria si gittar quegli empi,
54Di sangue ghiotti, di rapine e strupi.
Fino i sacri vestibuli di scempi
Macchiaro e d’adulteri. Oh quali etati
57Fur mai feconde di siffatti esempi?
Ma non fur quegli insulti invendicati,
Né il vizio trionfò: l’infame tresca
60Franse il ferro e ’l valor: gli addormentati
Spirti destarsi alfin, e la Tedesca
Rabbia fu doma, e le fiaccò le corna
63La virtù Cisalpina e la Francesca.
Torna, arrogante a questi lidi, torna;
Qui roco ancor di morte il telo romba,
66Qui la tua morte appiattata soggiorna.
Qui il cavo suol de’ sepolcri rimbomba
De la tua pube, che ancor par che gema:
69Vieni in Italia, e troverai la tomba.
Altra volta scendesti avido, e scema
Ti fu l’audacia temeraria e sciocca:
72Rammenta i campi di Marengo, e trema.
Ché la fatal misura ancor trabocca;
Non affrettar de la vendetta il die,
75Il dì che impaziente è su la cocca.
Pace avesti pur anco, e questa fie
La novissima volta; in l’alemanno
78Confin le tigri tue frena e le arpie.
Ma tu, misera Insubria, d’un Tiranno
Scotesti il giogo, ma t’opprimon mille.
81Ahi che d’uno passasti in altro affanno!
Gentili masnadieri in le tue ville
Succedettero ai fieri, e a genti estrane
84Son le tue voglie e le tue forze ancille.
Langue il popol per fame, e grida: “pane”;
E in gozzoviglia stansi e in esultanza
87Le Frini e i Duci, turba, che di vane
Larve di fasto gonfia e di burbanza,
Spregia il volgo, onde nacque, e a cui comanda,
90A piena bocca sclamando: Eguaglianza;
Il volgo, che i delitti e la nefanda
Vita vedendo, le prime catene
93Sospira, e ’l suo Tiranno al ciel domanda.
De l’inope e del ricco entro le vene
Succian l’adipe e ’l sangue, onde Parigi
96Tanto s’ingrassa, e le midolle ha piene.
E i tuoi figli? I tuoi figli abbietti e ligi
Strisciangli intorno in atto umile e chino.
99E tal di risse amante e di litigi
D’invido morso addenta il suo vicino,
Contra il nemico timido e vigliacco,
102Ma coraggioso incontro al cittadino.
Tal ne’ vizj s’avvolge, come ciacco
Nel lordo loto fa; soldato esperto
105Ne’ conflitti di Venere e di Bacco.
E tal di mirto al vergognoso serto
Il lauro sanguinoso aggiunger vuole,
108Ricco d’audacia, e povero di merto.
Tal pasce il volgo di sonanti fole:
Vile! e di patrio amor par tutto accenso,
111E liberal non è che di parole.
E questi studio d’allargare il censo
Avito rode, e quel tal altro brama
114Di farsi ricco di tesoro immenso.
Senti costui, che “morte, morte” esclama,
E le vie scorre, furibonda Erinni,
117Di sangue ingordo, e dove può si sfama.
Vedi quei, che sua gloria nei concinni
Capei ripone. Oh generosi Spirti
120Degni del giogo estranio e de’ cachinni!
Odimi, Insubria. I dormigliosi spirti
Risveglia alfine, e da l’olente chioma
123Getta sdegnosa gli Acidalj mirti.
Ve’ come t’hanno sottomessa e doma,
Prima il Tedesco e Roman giogo, e poi
126La Tirannia, che Libertà si noma.
Mira le membra illividite e i tuoi
Antichi lacci; l’armi, l’armi appresta,
129Sorgi, ed emula in campo i Franchi Eroi.
E a l’elmo antico la dimessa cresta
Rimetti, e accendi i neghittosi cori,
132E stringi l’asta ai regnator funesta;
Come destrier, che fra l’erbette e i fiori,
Placido, in diuturno ozio recuba,
135Sol meditando vergognosi amori,
Scote nitrendo la nitente giuba,
Se il torpido a ferirlo orecchio giugne
138Cupo clangor di bellicosa tuba,
E stimol fiero di gloria lo pugne,
Drizza il capo, e l’orecchio al suono inchina,
141E l’indegno terren scalpe con l’ugne.
Contra i Tiranni sol la cittadina
Rabbia rivolgi, e tienti in mente fiso,
144Che fosti serva, ed or sarai reina.
Disse e tacque, raggiandomi d’un riso,
Che del mio spirto superò la forza,
147Così ch’io ne restai vinto e conquiso.
Mi scossi, e la rapita anima a forza,
Come chi tenta fuggire e non puote,
150Cacciata fu ne la mortale scorza.
Io restai come quel che si riscote
Da mirabile sogno, che pon mente
153Se dorme o veglia, e tien le ciglia immote.
O Pieride Dea, che ’l foco ardente
Ispirasti al mio petto, e i sempiterni
156Vanni ponesti a la gagliarda mente,
Tu, Dea, gl’ingegni e i cor reggi e governi,
E i nomi incidi nel Pierio legno,
159Che non soggiace al variar de’ verni.
Tu l’ali impenni al Ferrarese ingegno,
Tu co’ suoi divi carmi il vizio fiedi,
162E volgi l’alme a glorioso segno.
Salve, o Cigno divin, che acuti spiedi
Fai de’ tuoi carmi, e trapassando pungi
165La vil ciurmaglia, che ti striscia ai piedi.
Tu il gran Cantor di Beatrice aggiungi,
E l’avanzi talor; d’invidia piene
168Ti rimiran le felle alme da lungi,
Che non bagnar le labbia in Ippocrene,
Ma le tuffar ne le Stinfalie fogne,
171Onde tal puzzo da’ lor carmi viene.
Oh limacciosi vermi! Oh rie vergogne
De l’arte sacra! Augei palustri e bassi;
174Cigni non già, ma Corvi da carogne.
Ma tu l’invida turba addietro lassi,
E le robuste penne ergendo, come
177Aquila altera, li compiangi, e passi.
Invano atro velen sovra il tuo nome
Sparge l’invidia, al proprio danno industre,
180Da le inquiete sibilanti chiome.
Ed io puranco, ed io, Vate trilustre,
Io ti seguo da lunge, e il tuo gran lume
183A me fo scorta ne l’arringo illustre.
E te veggendo su l’erto cacume
Ascender di Parnaso alma spedita,
186Già sento al volo mio crescer le piume.
Forse, oh che spero! io la seconda vita
Vivrò, se a le mie forze inferme e frali
189Le nove Suore porgeranno aita.
Ma dove mi trasporti, estro? mortali
Son le mie penne, e periglioso il volo,
192Alta e sublime è la caduta; l’ali
Però raccogli, e riposiamci al suolo.