< Dell'entusiasmo delle belle arti < Parte I
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Parte I - Novità Parte I - Passione

MARAVIGLIA


Le immagini nuove del Li fantasia vedute dall’anima nello stato d’elevazione Srmontan di molto e trascendono le ordinarie, onde in Jei destano P ammirazione, Ja qual cosi sì unisce, e concatena il grande e il bello, dando all’anima maggior campo ad agire e inventare. Il perchè dopo aver detto cose /nusitate soggiungo e mirabili, cioè maggiori dell’uso, della nostra aspirazione, dell’idee nostre di perfezione nel grande e nel beilo. Ecco il come. Maraviglia non nasce senza novità, ina qnesra divien famigliare e languisce insieme colla maraviglia da lei eccitata.

Dunque a farle pur vivere, a sostenerle diansi loro oggetti grandi. e belli; perchè nella grandezza tradiamo all’immensità, e pcnetriatn sempre più oltre, nella bellez-a tendiamo alla perfezione dell’oggetto, e sentiamo i; piacer sommo dell’anima, e tutto insieme è per noi maraviglioso, e ci fa beati.

Così per alcun modo j’onno ordinarsi cotali idee separandole, benchè nell’anima sian fuse insieme, e agiscano ad un sol colpo il grande e sublime, il novo e meraviglioso, il bello e perfetto, nè il primo luogo o l’ultima possa darsi in rigore ad alcuna di tali operazioni 0 facoltà nell’entusiasmo delle bell’arti. Tutte hanno affinità dipendenza influsso, tutte appoggiansi l’una all’altra, tutte in modi diversi e caratteri propri, nori ogni grande essendo sublime, ogni nuovo mirabile, opni b^llc jrfetio, e così procedendo, poichè troppo non si vuol correre pel labirinto di queste idee così astratte, ’e ben piìi siova all’intento venire ai particolari e far sentire.

C; iol dunque tati’ ¿¿l-ì i>er trarci ali’ ammirazione; non g’à una gran mole d’un semplice o^-to, na l’estensione di molti’ veduta a un n,:po stesso- e ciie un lutto divenga. Tal l’aspetto d’una campagna, d’un vasto dts.’rro, d’uri gruppo di monti, de’ijuaii non la novità o la bellezza, ma la rozza magnificenza c’incinta. Allor l’anima sente una profonda e tranquilla sorpresa, che la fa estatica, errando illimitatamente e senza impaccio in quella immensità divedute, che le presenta l’immaginazione con tanto suo gusto, con quanto pascesi l’intelletto de’pensieri d’eternità e d’infinito. A questi pure si getta avidamente l’immaginazioi$, salendo dalla magnificenza dell’opere della natura al creatore per la via de*fertili campi, de’maxi pescosi, de’boschi popolali da lui, de’cieH, li, degli astri, di tutta la macchina imraertsa concatenata da leggi semplicissime nella sua stessa immensità, e al tempo stesso in«variabili, onde giugne agli attributi infiniti, agl’immoti decreti dell’esser supremo, ripiegandosi poscia in se stessa, e in quella profondità inesauribile de’pensier, degli affetti, delle passioni sublimi, ond’è l’anima immagine della divinità. Ecco donde vien la grandezza dell’epica della tragica della.lirica piene della celeste mitologia, e che vogliono eroi da cantare, e da dipingere, azioni eccelse d’Achille, d’Enea, d’Alessandro, di Regolo, di Catone, d’Orlando, di Goffredo, e ripete i lor detti sublimi, che fanno onore al cuor umano e alia virtù.

Iti ciò qual gusto non trova l’anima al rimirare in quella grandezza di cose per se grandi quella pure dell’eccellente artista nell’ingrandirle proporzionatamente alzandosi a paro di quegli eroi, onde raddoppiasi l’ammirazione e sul grande oggetto e sul grande autore?, Allor riconosce ognor più la propria grandezza nel doppio specchio di due grand?

anime, quella dell’eroe, che s’alzò tanto su V al-l’altre coll’eroismo, e quella dei dipintore« cantore, che giurse ad adeguarne l’i’dea sublime.

Questa insieme dev’esser semplice per esser grande ed eccitare la maraviglia, come semplici sono i fatti illustri e i detti sublimi.

Un grande oggetto è la creazione della luce, per esempio, opera d’un istante; ma se non si vibra l’immagine lasciando cH’anima campo per la sorpresa e maraviglia, tutto va in nulla, e non altrimenti però dee di.

pignersi che con due parole Dio disse si faccia la luce, e la luce fu fatta ( i ). Così d’o( i ) Contrastasi a Longino il sublime dei fiat lux. Dicono che Iddio non ha preteso parlar sublime. Ma noi troviam sublime il detto’, com’è il fatto, appunto perchè a Dio tanto costò il dirlo che il farlo. Non è sublime un’espressione confacente a cosa sublime? Or che v’ha di più grande che il crear la luce a un cenno? Dunque grande è l’esprimerla divinamente, cioè nella sua semplicità, senza vane parole, senza studio. £’semplice il detto come è l’essere semplicissimo, che crea la luce.

¿’ogni fatto e detto eroico vuoi esser conci, sa l’espressione per non distrar l’anima assorta nella sua contemplazione. Tai sono i ritratti di Giove» che col ciglio move tutto l’universo, che ad un cenno scuoti /’o/impo, e dell’uom giusto, che impavido cade se il inondo ruma su lui, che sembra tolto dal salmo, ove allo sconvolger la terra, e cadere in mar Is montagne ei sol dice non temerti, e degli altri siffatti, ove l’uomo da un iato sì debole si fa dall’altro sì forte da contrapporsi al mondo intero, il che divien piìi mirabile in una donna, come il celebre le di Medea nella tragedia, o quel di Cristina di Svezia nella medaglia, nel cui rovescio è il globo terracqueo e intorno: Nc mi basta, nè mi bisogna. Così ogni fatto o detto eroico vuoisi esprimerlo con brevità per non distrar l’anima assorta in quella contemplazione elevata all’ammirazione. Contraria a questa è l’amplificazione, e l’ornato, cioè lo smembramento a dir così dell’idea sublime in accessorie idee, che sona inciampi e legami all’anima nel suo lanciarsi a quella primaria, al comprenderla tutta, ad immergersi in Tomo III. K es-essa estaticamente. Il che tanto è vero, chi ¿1 silenzio talora è più sublime d’ogni parola, come là nell’elisio quel di Didone al pregar sì patetico e forte d’Enea: Gli occhi fissi al suol tenne senza far motto, e poi?

Proripuit se se: Come Giocasta dopo intesa I’orribil serie de’fatti, che tutto scopre, ammutolisce, parte, s’uccide. Il velo sul volto al padre presente al sagrifizio della figlia, la faccia tranquilla di Giove nel fulminare i giganti nella sala del T. a Mantova dipinta da Giulio Romano, quella di S. Michele con Lucifero sotto a’ piedi fremente nel quadro di Rafaello a Versailles, e simili.

tratti de’gran, poeti, e pittori, che uniti in- sierr.e dal semplice e dal sublime dan molto a pensar all’anima, maravigliando la grandezza degli oggetti ad un tempo e quella degl’ingegni eccellenti, che fanno stupire della possanza dell’arte, e dell’artefice. Par* ^ 10 sempre dell’ammirazione degl’intelligenti, perch’essi misurano quella possanza, mentre 11 volgo ammira ignorando, o nulla sente.

La semplicità di Rafaello il fà più grande parere in quella tranquillità di lavoro dottissimo, ino, ma nascosto: i suoi quadri non bari chiamata, e dirò quasi nulla pretendono a prima vista per ¡sfoggio d’ornati, fracasso di personaggi, d’architetture, e sbattimenti d’ombre, come i veneti, ma purità gastigarezza ordine, e* composizione d’un accordo inimitabile: ecco il sublime il grande il mirabile, che ha trovato nella semplicità.

Riderti frattanto, che bisogna un’anima grande » portata naturalmente a quello per giugnere a taj sublime. Ve n’ha di tempra incapace ad elevarsi così. Chi propende alla satira e al riso faccia commedie, o cari* cature, chi è paziente e minuto diasi al didascalico, o alla miniatura, il dilicato sra fiorista, o anacreontico, ognuno studi se stesso e pesi le sue forze; niente invita minerva riesce; non a tutti è dato il gl’ire x Corinto j tutto non portano tutte le tetre; son sentenze già note.

Quindi son piccole cose le antitesi, i concetti, i periodi studiati, le figure rettoriche ricercate e opposte alia grande semplicità-, perchè indizj di spirito lieve, d’ingegno m‘nuto in correr dietro alie bagattelle de’puerili rili nrtiiìcj dell’ingegno. Le acutezze dì Seneca in mezzo ai grandi oggetti tragici che nausea non fanno; son lampi e fuochi fatui, che abbagliano a un punto e si dileguano.

Già non parlo di quelle antitesi o contrap.

posti, che dan forza e riverbero ad una gran verità, ad un eroico sentimento, che movono ed istruiscono a un colpo, che ripercotono l’ammirazione sublime. Le troviamo insin nella semplicità più antica de’profeti, ( i ) e d’Omero. Gli uni e l’altro ci presentano inoltre una grandezza reale ne’loro sistemi di religione, che in ogni gente grandeggia sopra tutti gli oegetti. Ma per non mischiare ia falsa colla vera, la qualeèd’a!-tro argomento ben degna, che non di quel- 3 Io delle bell’arti, e mettendoci a tempi d’Omero e a que’ costumi ed opinioni, ben sap^ piamo oltre il detto qual grandezza egli faccia j ( I ) Exaltabuntur cornua just:, camita peccatonim confringam.

Quomodo seder scia Civitas piena papulo >= Domina geriti um faiìa est sub tributo &c, eia sentire in que’concilj degli Dei, in quella maestà di Giove, in quelle battaglie celesti e terrene, intrecciando a maggiore magnilicenza gl; eroi co’numi. Dissi mettendoci a que’ tempi e costumi, perchè omai sembra venir meno ne’nostri, e impiccolirsi quel maraviglioso antico per la differenza de’ tempi, de’costumi, e degli studi cosi lontani.

Non ( 1 ) però cambierem mai quell’istinto, che portaci ad ammirare il grande e il sublime; sia per la lusinga segreta d’ingrandire noi stessi con quegli oggetti, sia per i’ opposizione tra quella grandezza e la nostra picciolezza, o sia piuttosto che Iddio ci abbia impresso il sentimento d’appartenere a lui, e d’aspirare a possederlo, onde l’opere della natura c’innalzano a quella suprema grandezza creatrice sovrana eterna infinita. E non è egli vero, che ci troviamo impediti e ristretti nella vita cittadinesca tra piccoli oggetti uniformi dell’arte e della necessità, e che allargasi quasi l’anima e si distende nelle vaste ( 1 ) Nota 10.

ste campagne, su gli alti gioghi, nel gran teatro aperto della natura, ne’cieli, nel mar, nella terra? Non ci par quivi ampliarsi ad un certo modo la nostra forza, ed attività interna, e spaziar l’anima emulatrice di quella immensità, onde aman tanto i poeti l’arduo de’monti, il soiingo de’boschi, e de’deserti, come dicon per mille Virgilio e Orazio ( i )? Negli oggetti dell’arte non troviain mai quel disegno augusto, e magnifico, che mostra la man del padrone della natura. Presto scorre la fantasia per l’architettura d’un jeal palagio, e d’un giardino, e dimanda di più; ma ne’ campi della natura scorre per ogni parte, nè mai trova limiti e intoppi alle immagini variate all’infinito, eallot sentiam quel fremito, quel ribrezzo a pochi noto della( I ) Sed me Parnassi deserta per ardua dulcís Reptat amor Ignotis errare locis, ignota vidtre ilumina gauàebat Scriptorum chorus omnis amat nemus & fugit urbes.

Maraviglia. i$<j >a sublime ammirazione. Pur quando P arte accostandosi ed imitandola gare ggia quasi co!» la natura allor ci trae in ammirazione. Così avviene in que’ vasti giardini cinesi ove una intera provincia è racchiusa parte’ colta, e parte nò, monti e valli, boschi e torrenti, campi e messi, edifizj e ruine, orti e deserti, erbe fiori boschetti ruscelli casini tempietti ponti ed archi peschiere uccelliere e gabinetti verdure vernici e dorature, tutto insieme vario e vasto e contrapposto in gran distanze fa ben altra grandezza e maraviglia, che i nostri compartimenti, parterri, fontane, e lavori affettati sino a ragliar gli alberi sì maestosi nella lor forma campestre in forme e figure di piramidi, di vasi, di ventagli, e insin d’uomini e d’animali, che pelò tanto s’impiccioliscono ed anzi deturpami iceschinamente. Quale stupor non sentiamo all’opposto immaginando quelle magnificenze babilonesi di mure, di torri, di templi, e dì giardini con una altissima rupe in figura di Semiramide, ed altre minori rappresentanti i re suoi vassalli, e una conca, ove tutto l’Eufrate entrava, donde usciva un labirinto imK 4 men-menso con cento templi, e palagi, que)[e {lj_ ramidi, e tutte l’altre che han nome di maraviglie si giustamente nella storia? Se a |e?

non crediamo basta a convincerne la gran muraglia tra la Cina, e la Tartaria ognor esistente, e le terme, e gli acquedotti, e le vie remane, che a noi sembrano quasi incredibili, benchè in parte serbare, perchè non vediam più que’milioni d’uomini, che le innalzarono, e abbiam solo idea delle nostre sì scarse popolazioni e dominj, e dominatori.

Roma è tutto ciò ch’è romano, gli eroi, le guerre, i trionfi, i monumenti, e gli avvallai medesimi del Colosseo, de;>li archi,de’templi benchè diroccati piacciono all’oratore, ai poeta, al pittore, all’architetto, perchè ricordano la maestà del popol romano e la sua potenza, perchè tutto il grandioso imprime tema e rispetto, ed ha quasi una intima simpatia colla grandezza dell’anima. Che se la mole o l’oggetto in se stesso non è magnifico, esserlo può la maniera con cui viene rappresentato dall’arte, e alior produce un effetto non differente, perchè nella sua forma ed apparenza le proporzioni e la simmetria Maraviglia.ìj7’tria ¡’ingrandiscono, come il riconosciamo in S. Pietro di Roma, e nel Panteon, nel Gladiatore, e nell’Èrcole, ne’quadri d’Alessandro, o degli apostoli Pietro, e Paolo, benchè fossero per natura non grandi, o come immaginiamo Achille Enea Orlando nel leggere que’ poemi, in cui tutto è di grande maniera, e di stile sontuoso. Al contrario v’ha degli stili e delle maniere, che presentando forme comuni, e inarmoniche fan parer piccole le gran moli e persone, come le chiese gotiche quasi tutte, assai statue gigantesche da me vedute in Germania, assai dipinture di gran volte e cupole in Francia; i caratteri degli eroi nelle storie, nelle poesie, ne’panegirici del gusto di Seneca, e di Q.

Curzio, del Bartoli e del Marini. Ciò nasce dalla comparazione, che facciam subito tra le idee. che gli oggetti originali svegliano in noi, con quelle che riceviamo dalla loro rappresentazione in quadri, e statue, e suoni, e descrizioni, onde l’anima è tratta all’ammirazione. Se allor trova ella proporzione ed accordo tra l’une e l’altre, ammira l’oggetto nella sua grandezza, se ci vede esagerazio-zione, e frastuono si sdegna, n’ha noia, e Pha in conto d’ignobile, e piccolo, benchè grandissimo in se stesso. Troppo a dirsi sarebbe del bello, che a par del grande rapi, sce l’anima in ammirazione. Certo è ch’eila riceve da quello il più grato esercizio di sua attività, e il sentimento più vivo di sua perfezione. Perciò molto n’abbiam parlato sot.

io il titolo di bellezza ideale,’per cui Parti e le lettere diconsi belle, e professano non solamente di ricopiar le bellezze dilla natura, ma d’abbellire lei stessa accostandosi a quella beltà, che uscita sarebbe dalla mano onnipotente, se nel sol bello si fosse ella occupata. Ma perchè altre mire ella ebbe creando le cose, oltre quelle della bellezza, e forse di lei più importanti, e fini più alti, e più generali, perciò lasciolla imperfetta nel bello, onde all’uom toccò in sorte di supplir quasi all’artificio del creatore, e d’abbellire l’opere sue, come dicemmo.

Egli è queste il bello, di cui è autore, ed inventor l’entu iasmo per fòrza dei l’elevazione, visione, ammirazione dell’anima coll’immaginazione sua ministra, belio che non esi-ste in alcun luogo, non pub definirsi o ingegnarsi. Non sono parti, non proporzioni, nè regole, %me, o modelli d’alcuna beltà, ma un estratto un composto di moire, qual lo trovano i gran maestri nelle statue greche, ne5quadri di Rafaello, del Coreggio,df Guido, nelle immagini e descrizioni di Virgilio e del Petrarca, e di pochi altri che hanno una bellezza del tutto, un complesso d’unione, e d’intreccio, certe linee, certi tocchi, certi tratti indefinibili, universali, indipendenti dall’arte, che sono sparsi per tutto, che son nel tutto, che accordano e avvivano ed ornano rutto, nè qui può dirsi, nè!1 che risiedano. Un tal bdlo si crea nell’intimo di certe anime, che raccolte avendo le più nobili idee dell’opere di natura, o di i’.ran maestà bene studiate le combinano le fomentano le trasfondono insieme, e ne traggono una compiuta idea rublime con Panima creatrice. In questa idea risiede fors* anche la grazia, quella che vien chiamata un non so che di bello spontaneo, dissimulato, nativo, ma iasiem nobile, ga;o, decente, co& , come quel di Tribullc ( i ), che chiamollo decoro furtivo, e fa il bello più delizioso nelle bell’arti, onde Je grazie furori dai greci divinizzate, ed ebbero colle muse comune il tempio. Cariti le appellarono dalla gioja che spirano; vergini perchè l’intatto pudore più alletta e va al cuore; giovani vivacissime snelle leggere, sempre in festa, e sempre ia danza, perchè tutto languisce senza letizia; tre sole esse furono perchè nè stan ben solitarie, nè per troppo numero tumultuose, infili senza velo, perchè niun difetto hanno a coprire; tutti simboli delia perfezione della bellezza in se stessa, e del bello nelle bell’arti. Quindi Pindaro anch’esso, benchè quasi a loro straniero le invoca, e alla poesia ¿a nome di giardin delie grazie, per nulla dire d’Anacreonte lor favorito.

Qui pur deve applicarsi a proporzione ciò che dicemmo della ^implicita necessaria a! sublime grandioso. Anche il bello per esser sublime deve esser semplice e naturale. Tai so( l ) Componit furtim subscquìturquc decor.

sono i bei tratti, le belle forme delle bell’ar-r ri greche principalmente cioè que’tratti ed espressioni semplicissime che troviamo nell’antologia, in molti distici ed epigrammi, e quindi più belle, che non quelle d’altre nazioni; e quelle forme non meno semplici della Venere Medici, e dell’altre sue compagne, e del Cupido di Prassitele, e della Madonna della seggiola di Rafaello, e delia ’Maddalena di Coreggio. Qui la semplicità cresce la bellezza, come nel grande cresce il sublime, e nell’una e nell’altro conduce all’ammirazione per la via del rispetto nella grandezza, e per via dell’affètto nella bellezza; ivi la dignità, la potenza, la maestà, l’estensione più s’esprimono colla semplicità, e ci assoggettano; e cui la bontà, l’innocenza, il candore campeggiano, e ci allettano; e tanto dee questa semplicità trovarsi colla bellezza, che guai se ci sospettiamo la minima intenzione di parer bella una deliberazione di voler allettare, un disegno o pretensione, che già ci disgusta la stessa beltà, diviene affettazione, ci par malizia, e smorza la nostra ammirazione; laddove una cer-r/j2Maraviglia, certa negligenza o spensieratezza de’suoi prei gf, onde nulla in lei sia di ricercato ed’artificioso, tutto spontaneamente bello senza pènsarvi e senza volerlo, tutto ciò ne rapisce soavemente senza pur che noi vi pensiamo, e ci fa sentire una interiore eccellenza sotto a quell’esterna bellezza, che la fa dei gna d’amore, e ¿’ammirazione.

Quindi è che anche in brt! componimenti Anacreonte, Tibullo, Petrarca, Catullo, Cornelio Nipote, Frugoni, ed altri sono in pregio al par di Virgilio e d’Omero, di Livio e dell’Ariosto, perchè tutti eccellenti in lor genere e perfetti. I bambini dell’Albani e di Coreggio, un carneo antico di Dioscoride o di Pirgotele, un ritratto di Leonardo da Vinci, i casini di Palladio a Vicenza, di Giulio a Mantova, il tempietto di Bramante a S. Pier in Montorio, un basso rilievo greco, una medaglia de’primi Cesari, ed altre opere in picciolo spazio,c’incantano riconoscendo la verità, l’evidenza, la grazia, la perfezione dell’arte, e dell’artefice quanto più le consideriamo ed allarghianl colla nostra immaginazione contenta e maravigliata il picco-.colo oggetto. Il restringere l’entusiasmo in così stretto lavoro, e il far sentir tanta passione con sì brevi tratti di mano e in tanta semplicità fa che gli ammiriamo più ancora che i grandi, che in lor sentiamo la vita e l’anima e l’evidenza più fortemente, lasciando al volgo frattanto l’ammirare i minuti lavori della pazienza, dello sforzo, della man faticosa neil’iliade contenuta in una noce, nell’evangelio scritto in sul nocciolo d’una cilegia, e in altre tali maraviglie del microscopio, e delle dita e dei ferri, che norf dicono nulla all’ingegno e alla fantasia. Ma un pittore e scultore eccellente sa far sentire ancor sol ne’capelli d’un fanciul di Coreggio, nella barba del Mosè di Michelangelo, nella chioma arruffata dell’indemoniato di Rafaello, nel nero ciglio di Giove, o nel cinto di Venere d’Omero, infine in un guardo, in una lagrima, in un passo di madonna Laura pub far trovare il sublime, il patetico, il bello col grande animati dall’entusiasmo ammiratore.

Con ciò viene a farsi il mirabili, di cui parliamo. Non ì mio imentu, il ripeto, a-nalizzare ogni, parte, e la novità colla maraviglia, e questa colla bellezza la grandezza la semplicità partire in linee geometricamente. Basta che, noi sentiam tutto questo, benchè confusamente, e che come a capi riduciam tutta la sensazione all’inusitato, e al maraviglioso, sinchè venga un metafisico di professione, e tagli più sottilmente così che faccia uno scheletro, da cui abborriamo. Par non so come, che il beilo e il nuovo s’adombrino, il grande e il sublime s’impiccioliscano a voler troppo mirarli e maneggiarli d’appresso.

Che se pur alcuno vuol meco sentire più distintamente una certa grandezza maravigliosa e non ben conosciuta dell’entusiasmo, facciamo un cenno della forza, dell’ardimento, della terribilità, che quì sembra opportuno d’aggiugnere alle gran sensazioni e movimenti dell’anima. Veggiam negli uomini anche rozzi una vivacità, un’audacia entusiastica in certe occasioni. Sin ne’ rustici e ne’ popolari v’ha dell’anime grandi, dell’indoli fiere e risolute, che fan tentativi nelle lor arti, e mestieri, affrontan pericoli, imprendon ar-ardui affari, e confidano di riuscirne. Il pe ricolo/stesso par gl’ingrandisca, e sollevi, le persone d’alto rango pajono piccole al lor confronto per la timidità, e l’intrepidezza ) fJi quelli in faccia a queste mostra bene chi ha un’anima imbelle e volgare malgrado ai pregiudici- dell’inegual condizione, E più da vicino parlando della terribilità udiam Longino, che dice — Una grandezza straordinaria non ha là esattezza del mediocre, ma il grande per la sua propria grandezza è lubrico, e pericoloso, come le alte cime dei monti. Noi non ammiriamo una piccola fiamma, che serbi; luce ognor pura, ma si am fatti pitt.

attoniti dalle due gran lampe del cielo quando sono oscurate da ecclissi, e non troviamo nella natura più stupendo spettacolo di quelle fornaci dell’Etna, che talor gittano dal profondo de’ loro abissi i macigni in mezzo ai torrenti di fuoco. Il qual detto s’accorda colla mia stessa sperienza di cui fò parte a{ lettore sperando farmi’con ciò meglio intender da lui, che in altro modo ( 1 ).

Or ( 1 ) Nota undecima.

Tomo III, L Or non è certo la materiale grandezza e vastità di tali oggetti, che un tanto effetto produca, non è l’idea della misura e dell’estensione. Perchè v* ha egli più vasta mole del cielo o del mare? Eppur l’uno e l’altro ci lasciano indifferenti, e il mar veduto eziandio la prima volta se non è altro che il mar che veggo, non mi commove poi tanto. Ma ogni volta che il veggio in tempesta, e vi miro od immagino di vedere come fo sempre ahcor non pensando una nave agitata ed ia pericolo, ogni volta che il del s’annera, lampeggia, e tuona, e in mente vienimi, come stfol d’ordinario, il fulmine presto act accendersi e a piombar già su la terra, allor sento il terrore e l’orrore scuotermi l’anima e il sangue. Così l’idee de’sepolcri, degli antri, d’una boscaglia oscura, del silenzio notturno e della solitudine, cnde sorgono P altre idee di fiere affamate, o d’assassini, o di qualunque mortai pericolo t tutto ciò ne comprende d’un fremito P ossa, e nell’anima attonita ed atterrita fa sorgere spettri ed immagini altrettanto possenti, quanto terribili, e però grandi e sublimi. Sia poi que-questo ps! timor ck’^ pericolo immaginato e quas: presente, o per l’esclusione del vero pericolo, o per altre ragioni altri dicanlo pure; certo che da questo principalmente trassero i gran pittori e poeti un entusiasmo sublime; quale espresser Virgilio ed Orazio con que’ lor terrori end’erano investiti pingendo e cantando (1), come il cercavano ai lidi del mare i! Tempesta, che dall’evidenza de’suoi quadri burrascosi prese il nome, o quell’altro, che il prese dalle battaglie, o quel francese che in faccia al vicin naufragio gridava eh bello oh grande, inteso tutto all’idea pittoresca, mentre ognuno temea la morte. Andate a Roma,. o poeti, e vi giuro, che sentirete, com’io senti, l’anima vostra palpitare, ingrandirsi, rapirsi alla contemplazione più estatica non tra le fabbriche, e le pompe moderne, ma tra le ruine magnifiche dell1 antica signora del mondo, nel(1) Recenti mens trèpidât metti... jais is terronbus implet.... Fera corda tument; Bacchntur ea frana furenti.... Conçutit & stimulas sub peBore vtrtit Apollo &c, nelle parti sue solitarie, tra quegli avanzi di tanti secoli, che sapete esservi passati sopra calpestando come voi fate in silenzio le generazioni sepolte, le ceneri di que’ dominatori della terra, i gran marmi svelti dai palagi immensi, e fatti per l’eternità. L’erba che li ricopre, l’armento, che vi pasce, il pastore seduto su quelle colonne rovesciate, sotto quegli archi mezzo infranti, che neppur sa cosa siano stati, che canta e corre ove avrebbe tremato d’inoltrar da lontano, il diserto tutto intorno, l’acque stagnanti, e putride, i rari e taciti passaggeri, dove ben vi ricorda esser trascorsi milioni d’abitatori, esser passati cocchi trionfali, e re incatenati, esser sorti anfiteatri, e templi, e fori, e statue, e piramidi; mille pensieri di grandezza, e d’orrore, una compiacenza forse segreta di sopravvivere a tanta strage, di ritrovarvi solo qui salvo dalla forza desoJatrice del tempo, di premer col piede tanti occulti tesori, tanta superbia e potenza atterrata, qual tremito in cuore, quale scossa alla fantasia, qual estro audace non vi desta nell’anima » sublimi immagini, ad invenzioni ni elevate, a rapidissimi voli poetici? Cfcn robustezza di stile, che nervo d’eloquenza} che indipendenza da rime, da regole, da servili imitazioni, da periodi studiati, da vana armonia? Darete allora al vostro scrivere quell’aria accigliata, e maestosa delle ruine* della caducità, della morte.

Questa prima mia riflessione sul grande ne chiama un’altra sul bello, onde compiesi il rnaraviglioso di cui parliamo. La riflessione sì è che ¡11 quel bello, a cui scende l’entusiasmo, ei trova non si si come anche il giudizio, k ragione, la verità, cioè il buon gusto Sì: boi sinora non abbiamo parlato di questo, perchè a rigore non appartiene all’entusiasmo il giudicare, ¡1 regolare, che spettano propriamente al buon gusto. L’elevazione, che non è naturale, la visione, ch’è necessaria. la rapidità, ch’è impetuosa, il nuovo, il grande, ¡^sublime, il mirabile, che sono sopra le leggi e l’uso, e sino al bello, ch’è ideale più, o men sempre, tutte queste proprietà, che abbiam riconosciute nell’entusiasmo, e la passione molto più, qual la riconosceremo, e ch’è un sen.

ti« X50iviARAVICLI*, tlmento, comandano tutte, e signoreggiano tanto sovranamente, che non può II Ipr fuo-r co, l’ardire, la novità, la libertà, la forza, ed il volo restringersi, limitarsi, frenarsi dal ragionevole, dal sensato, da! riflessivo, dal proporzionato, dal vero, che sono le proprietà del giudizio, e del buon gusto; due classi diverse lontane, separate fra loro, e spesso ni mie he, e contraddienti., e talora irreconciliabili, quanto l’arte ^ la natura.

Per questo nulla abbism detto parlando de!P entusiasmo esclusivamente e propriamente filosofando sopra di lui, e molto più volendo farlo sentire più che conoscere, nulla abbiam detto del gusto, come cosa d’altro argomento, e trattato.

Eppur l’entusiasmo si vede spesso con4 giunto ancora col gusto, e le più belle produzioni di quello non van senza questo, e da questo ricevono, o danno a questo l’impronta più certa dell’immortalità. Or egli sembra, che se in altro mai, certo ne! bello si «riconcilino questi rivali, e diansi ia mano amica più volentieri. Non par, che nel grande, nel forte, nel rapido, nell’ardito, che sono sono di lor natura veementi, ed indocili, e spesso difformi possano insieme incontr..rsi, ma par, che nel bello e quegl’indocili si raffrenino, e si riformino que’ difformi, e rutti s’uniscano poco a poco ad una misura, ed accordo, ed alleanza or pacifica, or violenta, sicchè ne sorgano proporzione, armonia, regolarità, un tutto infine tutto degno del nome di bello. Così l’estro, che non ha un gusto suo proprio, lo trova nel beilo » perchè essendo di questo propria forma ed essenza l’unità, per lei va l’estro alle proporzioni, all’ordine, alla simmetria, cioè al gusto, ed è perciò, che le opere massima-, mente dei greci sono gli archetipi, ed esemplari di quel, che oggi diciamo buon gusto, perchè eglino hanno un senso, ed un gusto del bello quasi senza esame, o riflessione trovato, cioè supremamente.

Lungo sarebbe il mostrar questa verità cogli esempli, e colle csservazioni sugli autori, e gli artisti, ne’ quali può riscontrarsi per le varie loro bellezze e doti il vario effetto or del gusto, or dell’entusiasmo predominante, e secondo il più, e il meno di que, L 4 sto, Sto, o di quello la loro eccellenza mjggiore o minore, sinchè nel perfetto equilibrio, e’ nel grado più eccelso trovandosi l’uno, e l’altro, si trova l’opera e l’autore nel pii.

mo posto di fama e di gloria, perchè giunto al bello supremo. Allora può dirsi l’entusiasmo siccome il sole dell’anima, unendo insieme il fuoco, la luce, e il corso più rapido senza traviamento, ed applicarvi quel fi!

Virgilio Chi ostra il sole accusar di menzogna (i)? Son desji allora i poeti, pittori, oratori, che divengon modelli, e maestri del.

gusto medesimo, e da loro si tolsero leggi e precetti, ch’essi mai non aveana conosciuti; tanto è chiaro, che il vero entusiasmo r.on puh dipendere da magisteri, e chi è sopra le osservazioni, poichè fi’_è la sorgente. Giunge insino colla sovrana possanza del bello suo proprio, ed originale, ed intrinseco a far comparir belli e lodevoli i suoi difetti medesimi, non sci traendo da se la belìi) Solem quis dicere falsum audeat? Virg Georg.

bellèzza, ma facendola nascer dalla bruttezza. Pittori e scultori, poeti e oratori ne porgono esempli di questa loro possanza in alcune irregolarità, o sconvenevolezze, le quali abbelliscon le loro opere, e tolte le quali, come dicea Guido d’una sua, guasterebbero l’opera tutta; o sia, che sappiano risarcire il difetto con altrettanto valore, o che lo coprano * e facciano dimenticare in quella luce lor prepotente, o che gli uomini sedotti, incantati, innamorati dell’opera, e dell’artefice sospettino e trovino una ragione un ingegno un segreto in lui, onde non sol gli perdonino, ma l’ammirin per quello. Così veggiamo che gli occhi d’un amante affascinato trasformano in grazie e bellezze i diferti e le sproporzioni d’una persona e d’un volto, che gli par bello.

A restrignere molte riflessioni sul gusta diremo, ch’esso decide del bello, o del contrario in un istante senza bisogno d’un lento giudirio, e che risulta dalla prontissima percezione dell’anima unita alla finissima tempra dei sensi, e quindi ha per oggetto ed alimento suo proprie le lettere, e P arti; che ij4Mar.avici.ia, che in esse cerca e gode il bello della natura e della sua imitazione; cbe s’inebbria d’idee sublimi, e d’affetti patetici, che in tutto va all’eccellente, ma naturale insieme, cioè più caro all’umana natura, al ve.

ro insomiTi^senza il quale nulla è grato, nulla è bello, nulla è eccellente per 1: uoin di gusto, anzi rutto è falso gusto, sforzo d’ingegno, abbaglio di concetti, errore e sviamento dallo scopo prefisso, seduzione della moltitudine ignara, essendovi appena tra mille un’uom capace di ben sentire, e ben rappresentare il bello e il vero.

Ma prima ci kvar la penna da questo argomento, risponderò ad una giusta dimanda, E come dunque, parmi dire alcun saggio, e come voi sinor m’avete raccomandata l’imitazione delle statue, e de’ poemi, lo studio e l’opere degli antichi, come soli esem, plari infallibili del buon gusto, se qui poi P accordate all’entusiasmo, all’ispirazione, alla natura? Ma quegli esemplari son fatti dall’arte, si fondano in leggi, nacquero dallo studio, e studio e leggi ed arte ci vogliono ad imitarli. Non par egli che voi mettia-rute il buon gusto sulle nuvole, e ne fac- ciste una negromanzia, che al celino della magica verga fa nascer quadri, poemi, edifizj miracolosi? Dobbiam dunque lasciare i precetti, i maestri, i modelli, e abbandonarci alla natura? No, io rispondo, e basta inten derci brevemente. L’opposizione, che io trovo tra?’entusiasmo t il ^uo:i gusto, tra 1* arte e la natura è pur troppo vera prendendo il,lignificato loro precisamente, e a rigore, come io lo prendo aflfin d’inculcare Je gran verità generali, e primitive. Ma venendo all’applicazione è chiaro, che s’uniscono e si aiutano insieme nelle bell’arti.

Dunque in- primo luogo fissiamo la necessiti ii’; una felice natura, cioè d’un indole ben, disposta a riuscirvi, e senza cui nessun’arte pon vale. Posta quella, ch’io chiamo ispira zior.e, entusiasmo, creazione, allor venga pur l’arte, lo studio, la sptrienza, cioè l’imitazione. Ma queste non legate a precetti ordinari, e servili, mi guidate da regole generali e primitive, che ci presentano i gran maestri e modelli. Essi ci guidano, è vero, ma ma non per mano come fanciulli, ci spirane il lor fuoco, ci traggono alla lor luce, e cf trasformano in loro sressi talor sino a superarli. Studiando l’antichità noi pur diveniamo antichi, imitandoli imitiam la natura, e la natura imitando con loro siamo originali.

Quanto pii) respiriamo quell’aria, a dir così, e sediamo a quella mensa, tanto più si trasfonde in noi della lor sostanza del loró spirito del Jor gusto, e di molti cibi eccellenti componiamo un temperamento perfetto.

Ecco un’arte, che divien natura, ecco una natura, che non par più arte. Lo studio può dirsi ispirazione,’e questa vien dallo studio, il gusto fondasi nella natura, ma la natura prevenne, e senti quasi il gusto; infine l’entusiasmo ha giudicio, e il giudicio è sempre in seno all’entusiasmo. Or tutto questo edi-.

ficio e composto de’ materiali sinor da noi preparati, e ben insieme accozzandoli troveremo compiuta la fabbrica dall’elevazione, dalla visione, dalla novità, dal mirabile per grandezza, e bellezza, a cui mette il colmo, e il compimento l’entusiasmo. Gosj parrai trat--Marìviclìa.1S7 I rat tara abbastanza Ja prima parte, che spetra all’immaginazione. Tempo è di venire alla seconda, che sensibilità chiamai.

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