< Dell'entusiasmo delle belle arti < Parte I
Questo testo è incompleto.
Parte I - Rapidità Parte I - Maraviglia

NOVITÀ


Chi risalir volesse all’interno principio dell’amor della novità proprio dell’uomo, il troverebbe in quei piacere dell’anima naturalmente avida di pensare, di conoscere, di scoprir nuove cose fuori di se, come ama dentro di se di svolgere, di paragonare le sue idee, unirle, separarle, accordarle, e porle a contrasto, e quindi trarne l’idea generale, e gratissima della sua perfezioni, eccellenza, attività, allontanane do co>: l’idea nemica’, e odiosa alla natuta nostra, l’idea, dico, e molto più la sensazione della noja, dell’ozio, dell’impotenza. Cor que* sta chiave -,i aprono molti segreti dell’.-’r ti, del.

le quali trattiamo. Intendo, perche: voglia l’anima ordine, e simmetria, trovando ella in ciò il piacer di molte nuove idee; la passata, la presente, la seguente incatenandosi, e succedendosi con triplicata sospresa e novità, e senza fatica, mentre nella confusione, e nel disordine ella dee faticarsi, nè niente distingue, e conosce, onde viene il suo tedio. Intendo, come ella ami le opposìzio:)’di i» chiaroscuro. del moto, e della «jiiure, dèi semplice, e dell’ingegnoso, che accordati insieme lei arricchiscono di due idee opposte, e di una terza dell’accordo loro; onde la somiglianza, ed uniformità dello stile, e del pensiero le riescono insulse, e spiacevoli, lasciandola nel languore delia medesima idea e sensazione. Intendo, come sia tocca sì vivamente dalle belle’./e modeste, dissimulate, e a poco a poco morirne, e crescenti in un poema, in una trago to8Novita* gedia, m 1,11 quadro, e sino in una persona avvenente, e genti!?, che pai piace infiu d’una bella; perchè questa è come il poemi condannato da Orazio, che Comincia troppe ardito, e fa veder troppo ad ufi colpo, e così non lascia luogo alle sorprese, e novità!

ed è questo quell’arcano quel non „-b che di poche opere, che tanto piacciono senztf potersene addur ragione, e di tante persone, che a prima vista dispiacciono all’occhio, e poi t’incatenano più fortemente. Tutto cìq. v.on è altro, che molriplicitri di sensazioni, e d’idee nuove destate nell’animato!

discoprir nuovi pregi, è messe di paragoni, e relazioni tra le sur idee, r.ojandosi ella dì una idea soia, perdendone il gusto poco a poco, e dimandando per deiizia le gradazioni, i confronti, i cambiamenti, che son la suà vita, come il sono del corpo il moto; l’azione, la lotta, e l’esercizio. Intendo perchè i romanzi più che la storia, la storia più che la filosofìa si gustano generalmente, cioè pel piacere di cose più nuove, ed inaspettate, onde ognun chiama più bello quel libro, che più presenta di quegli {{Pt|quello, in cui quanto più leggi, piùscuopri, ed impari, quello, che per sorprese crescenti, t sostenute ti guida alla maraviglia, delia qual siamo famelici, tanto più quanto ella è la pienezza, e la maggiore possanza della novità, e di molte novità. Intendo pure così perche la novità siala gran ruota quasi, e ia vita del mondo, e dell’uomo, per lei rotandosi i secoli, e le naiioni a risorgere, a perfezionarsi, a cadere or negli studi, or ne’ governi, or ne’costumi e nelle arti di guerre, e nelle arri di pace: e queste ognor succedendosi con vicenda dalla barbarie alia coltura, dalla coltura;illa perfezione, dalia perfezione alla qu’uic, dalla quiete alla sazietà, dalla’ sazietà al cambiamento, dal cambiamento alia decadenza, dalla decadenza al raffinamento, dal raffinamento all’eccesso, all’,enorme, alla confusione; perchè nejandosi sempre gli uomini dell’usato, e famigliare, tentano sempre nuove cose migliori. Intendo infine, come, e perche la giovine età sia propizia ili’entusiasmo j essendo a lei e per freschezza d’organi, e per bisogno di cognizioni più caia ia novità; come e pe:;hì debba } esser ma-matura la gioventù, essendo I> immaturi troppo soggetta all’ammirazione inutile, poi al disordine, all’eccesso, alla distrazione!

come e perchè I’uom troppo maturo è inetto all’entusiasmo, essendo in lui la noja, e la fiacchezza, il disinganno, e il disperare, o non cura-r di sapere, o di segnalarsi; onde niente di nuovo lo muove, è dominalo dall’assuefazione alle cose, vede il termine troppo vicino, sicchè anzi odia la novità, loda j tempi passati, ripete le cose antiche, e cerca il solo riposo per istinto suo proprio.

La novità è dunque fedel compagna dell’entusiasmo, cioè nasce da quell’elewazione, da quelle visioni, da quella rapidità dell’anima da essa investita. La novità, come ognnn sà, produce ammirazione, e questa in fatti va scemando col divenirci le cose famigliari, perdendo esse la grazia, la bellezza, la forza, quando noi perdiam quel piacere, che ci commuove colla sorpresa. Ed ecco, perche poesia non altro significhi, che creazione, e perchè senza novità non vi sia gloria poetica, sicchè tutte l’arti perciò riduconsi a lei, prendendo nel suo Ietterai senso quella {{Pt|tola, poichè la pittura, l’eloquenza, la musica, l’architettura, la danza inventar debbono, e crear nuove cose, non men che quella.. v Crea dunque l’entusiasmo, e basta vedere di che è composto il mondo poetico, (che k poi anche il mondo pirtorico ) apparizioni, spiriti, deità, idoli, personaggi, che esistono, e nascono solo in mente al poeta, e per sua virtù. Egli si è fatto un nuovo cielo, un nuovo inferno. Egli ama errare per nuove rerre non conosciute, come quel d’Ovidio (i) e scorrere nuovi fiumi. Chi non ha entusiasmo, ripete, combina, imita, e copia;, nò mai però sorprende, ed incanta; laddove ¡’estro, che le rrovò in se stesso senza esempio, e senza ajuro, le trasse egli dal niente, e ne fu verissimo creatore. Diceva Chiabrera, che la poesìa i obbligata di far inarcar le ciglia; nè ciò può farsi, che colla sorpresa, e la novità. Chi prende in ( I ) Ignotis errare locis ignota videre Fiumi na gaudebat, Metam, lib. } 4-in inailo uu poeta, par che dimandi leggenco, ed abbia diritto di dimandar nuove cose, e sorprendenti. Qual però meraviglia?

se i pensieri ordinari, e ricercati a stento’ e presi spesso d’altrui facciano sdegno? Che si preferisca una prosa naturale, e semplice ad una poesia, la qual va a finire in suono di voci, in immagini triviali, in vuota armonia? E questa è la nausea, che muovono tanti servili imitatori del Petrarca, e dei Ialini, che ripetono sempre le stesse frasi, r.on che i pensieri, e che debbono la stessa armonia alla lingua, di cui si servono, non al loro valore, e prendono altronde questo piacere medesimo, che è l’ultimo in poesia, se pur v’ha piacere in tanto abuso, ed abbondanza di versi sonori, ma inanimati.

Al contrario giova perciò ai poeti, ai pittori arricchirsi la mente d’idee, spaziare in campi, e vie non battute, e raccogliendo quanto v’ha di piy raro, e pellegrino nelle scienze, nell’arti, nella natura, e nelle na?

zioni, onde stendere i confini della necessaria invenzione, di cui tanti han posto piede, e come ia una selva tutti hanno corso, e fai-fatto caccia; sicchè un angolo più non ri, mingavi, ove quel veltro generoso dell’estro, ’come altri il disse, giunto non sia, e non v’abbia nel lor covil più riposto fiutare, e scosse le fiere più rintanate. Così vien ricco il poeta di gran suppellettile, la qual poi nel bisogno, e nell’agitazione delle sue idee fiammanti distribuita, 0 combinata, e di quì; e di là bene accordata veste d’inusitati abbigliamenti le sue figure, di color nuovi, di fregi, di lumi, di grazie le ammanta, e fa belle; nè rade volte ne tragge a nuova vira nuove persone, nuovi attori, e nuove scene intere. Quindi nasce quella sentenza si poco intesa, e sì mal seguita, che il poeta, il pittore ec. esser devon filosofi, e che lo studio d’ogni scienza, e sapienza è necessario alla poesia principalmente ( 1 ). Consiglia 3 f* que( 1 ) Chi tra moderni poeti intende abbast;;nzà i versi d’Orazio, che tanto grave cosa e reverenda esser mostrano la poesia?

Scribend: reBe sopire est & principium -&fons.

Rem tibi socratica poterunt estendere chartie....

Tomo III. I Re.

questo proposito Io spettatore inglese di visitare!e corti asiatiche, e vederne la barbara pompa, e la magnificenza, viaggiare fra gli stranieri, e ne’paesi più incogniti, conoscere nuovi costumi, e geni* e climi, e produzioni. Così parmi, che il poeta sarebbe quell’uomo, qui morsi hominttm multorv.m vidit & urbss con più gloria, e con più vantaggio, che alcuno altro non sia. E se un filosofo dee così educar la ragione su l’esempio degli antichi, benchè altri ajuti abbia dalla filosofia, quanto più dee il poeta educare la fantasia, che non altra soffre e conosce educazione, cioè nuove idee, combinazioni nuove accumulando, che son poi queste le creazioni del poeta.

Anche qui v’ha il suo pericolo di dar nell’Rerpicsrs exempLir.ulta morumqus jubebo DoBum imitatorsm ó" vsras bine ducere voess. Art. poet.

La stessa necessità di buona filosofia per l’eloquenza l da M. Tullio espressa così!

Fateor me or at orem, "si modo si in, non ex officìnis rhstorum, ssd ex accadsmae spatiis cxtitisss. Orat. cap. j.

nell’eccesso per amore di novità, nè forse v’ha più strana difformità nelle invenzioni degli uomini, (se ne eccettui i sistemi di filosofia) quanto nelle poetiche. Ma qui non si vuol criticare, o ammaestrare. Basta, che ancor da questo apparisca la necessità delle nuove creazioni, perchè gli errori medesimi provano l’esistenza di quelle; come l’erbe ancora inutili, o ree, che soprabbondano fra le salubri, mostrano la natura, e fecondirà del terreno.

( i ) Spiega assai quel verso di Lucrezio esprimente, che slam tutti orecchi per innata curiosità di sentir cose nuove, siam portati al mirabile, e sorprendente. Le fole ai fanciulli, e i romanzi ai giovani pieni d’incanti, di spiriti, di spettri, di maghi; e di duelli; poi vogliamo poemi, e tragedie più regolari, è vero, ma però piene di avventure, d’incontri, di vicende, e di. catastrofi, le stesse storie più ci sono grate, quando più ( i ) Humanum gsr.us est.ividum nimis aurieularum.

\ più son piene di guerre, di rivoluzioni, e d’accidenti straordinarj. Si vede chiaro, che questi sono piaceri dell’anima, e che cercandoli ognuno debbe l’autor presentarli.

Or questi piaceri nascono dalle scosse, che danno all’anima, traendoia dal letargo, e dall’ozio noioso 1.

Dunque un’autore si studj dare di queste scosse, se vuol piacere, esamini bene il gusto de’ suoi lettori, e mettasi in luogo loro.

Vedrà, che quando essi non hanno più novità che leggendo gli scuota, quando il quadro, e il poema son famigliari, e si sanno a mente, l’anima resta oziosa, e languisce. Torna a piacersi, e ad avvivarsi allora, che in parte dimenticate, e per qualche tempo si riveggono quelle tele, e quelle opere, onde tornano a parer nuove.

Ma senza che l’autore entri nell’animo del del lettore, basta che studj se stesso, e vedrà, ch’ei pur componendo vive e si pasce di novità, per cui seguita e soffre il lavoro, e lo gusta eziandio. Ei legge in certo modo se stesso, quando compone, e conversa col- * Ja sua fantasia, ed ha il libro, e il quadro dell’anima aperto davanti. Se questo nulla gli offre di nuovo, se ripete, se gli divien famigliare co’soliti obbietti, ed immagini^ se infin non lo scuote la novità dell’invenzione, de’ pensieri, del colorito, della composizione, la fatica lo stanca, il piacere addormentasi, e l’entusiasmo non si risveglia, o svanisce. Ma mettiamo l’autore e il lettore a fronte per toccare con mano tal verità. L’autore e il lettore son due persone in trattato d’amicizia, che si avvicinano, si esaminano, e si misurano, ovver valutano col piacer vicendevole. Quanto questo ne va crescendo, più volentieri si trovano insieme, e conversano; l’amicizia si strigne, st scalda, giungono ad essere due amanti inseparabili, come veggiamo in tanti innamorati d’un’opera, e d’un’autore. Il lettore ha un poema alla mano, che a principio è umile, pia-piano, modesto, poco promette per eccita; desiderio, e fa nascere l’incertezza, mette a cimento la speranza, ed in pericolo II piacer di chi legge per esso, insin che giugne come nell’Ariosto sull’orlo della languidezza, cioè al punto, che dà più forza al desiderio, e al bisogno. Dopochè l’autore si b fattoi così in certa guisa pregare, comincia a rendersi, s’alza, s’avviva, sorprende, e allot più e scosso, allettato, rapito il lettore.

Che se l’uno b prodigo sin da principio, se spontaneamente dona, e compiace, presto i suoi doni, e le sue compiacenze dan sazietà, la qual toglie ogili grazia, o fa comparir le grazie assai simili, cioè tutte insipide. Crejl lettore non aver più niente a sperare; l’autor mostra d’essere esausto, l’un diviene all’altro indifferente, non si cercano più non si corron più dietro, non s’amano più, e giungono infine ad odiarsi.

Queste proprietà posson dal cuore applicarsi alla fantasia. Ma bastine il dire per sufficiente applicazione, (affin d’evitare anche noi l’uniforme) che come del cuore’ così son dell’ingegno, e dell’immaginazione le Je molle più forti e prepotenti, la novità, Ja varietà, la curiosità, la sorpresa. Queste rate con noi fan nascere i nostri desideri, le nostre speranze, i nostri timori, che son l’ali dell’anima, e la sua vita, Dunque un’opera, un quadro, una poesia tutta luce e bellezza è contro l’economia saggia di chi vuol piacere, non meno che quella, che sia senza luce, e bellezza. I principi peto de’poemi sian modesti, e dissimulati, poco promet’auo e crescano poi lusingando più vivamente. Voi date tutto a un colpo, voi arrio:h:re troppo il lettore; voi dunque vi troverete povero, e il vostro lettore già vi previene, e si sazia. Così nel progresso delle opere de’ maestri vi san essi mettere i propri riposi, che in certo modo fanno di« jnenticare il piacere sentito e le scosse provate. Se spendete in una figura di quadro, in un canto di poema, in un arto di tragedia, o commedia quanto avreblje potuto spargersi in molti usando distribuzione, già non vi resta più che dare alla curiosità, sempre importuna dimandatrice. Quanto fa meglio colui, che a poco a poco mostrandoI 4 vi vi le bellezze, e nascondendole a tempo, ed alternandole, vi fa desiderarle, sperarle, aspettarle e vi fa credere insieme una miniera inesausta sotto a quel velo di vereconda sobrietà, o d’indifferenza dissimulata (r).

Non voglio, dicea Marco Tulliò, che troppo spesso facciate plauso alle mie arringhe con quelle acclamazioni: ob bello, ob bravo: Nolo nimium belle, & festivi.

Nè so in fatti, se alcuno autore fosse mai più economo a distribuire l’ombre, e i colori, il forte, e il mansueto, la ragione, e l’entusiasmo; facendo esso come i pittori, che lascian neglette alcune parti del quadro, per dar più risalto alle finite, e risolute.

Pub giugnersi insino a metter qualche difetto nelle opere, quando sappiasi compensarli, e gua_ (i) Non feriscono certe bellezze con fòrza dapprima, perchè la vera bellezzi non t!

strepitosa ò fastosa al mostrarsi. Ella si dà a veder per lo più in un dolcissimo lume*e nel suo primo apparire non compare mai tutta, ma ben invoglia di rivederla, e più che si mira più mette voglia di rimirarla, e par più degna e nuova. Ceva vita di Lemenc.

e guadagnarne colle bellezze. Sì temperi anche nell’arti il vino fumoso coll’acqua, cioè il sublime col piano, affinchè non inebri, e imparisi dal danzatore, che ria i salti più arditi, e i passi più sorprehdenti inrramette un camminar quasi di minuetto, per risaltar con più forza improvvisamente -, così dai fuochista meccanico, che non lascia già tutta smorzar la fiamma, e chetare gli scoppi della sua macchina, ma l’interrompe con minor lume, e con intervalli di breve silenzio per riaccenderla, ed ¡scoppiare più vivamente; infine dal musico accorto, che non sempre in trilli, e fughe, e spinte di voce ripone Io studio, e lo sforzo, ma v3intramette pur quelle pause, e quel piano, che sono un termine, non men che un pregio dell’arte sua. In tutte esse pertanto v’ha suoi riposi, sospensioni, ed intermezzi da risvegliar nuovo gusto, gettandone l’anima in un soave languore, e nelle più intime compiacenze, e scuotendola poi con più forza col contrapposto sopravvegnente.

Il qual contrapposto ognor più spiega l’assunto, giugriendo per esso la varietà sino allall’opposizione per dilettare, che è quel«».

trasto necessario ne’ quadri, ne’ poemi, ed in tutto. Caratteri opposti, figure, passioni, e viz;, e virtù raffrontate, modestia e ferocia, timidità e fierezza, innocenza e malignità fan la bellezza di tante storie, e favole rappresentate al vivo di Susanna, d’Ifigenia, di Proserpina, e di tant’altre, e in in di tutt’i martiri cristiani, e di tutti i pagani eroisimi.

Come poi sia necessario, vhe tal varietà non distrugga j ma conci!;’eziandio, e conduduca all’unità, come le opposte persone, ed azioni accessorie possano, e debbano combinarsi ad una azione, o persona primaria, e dominante a guisa di stella maggiore, a cui tanti sentier luminosi, e irregolari fan capo, e centro e punto di prospettiva; e come nasca di ciò il vero b.’llo delle bell’arti, e la piena delizia de’nostri cuori, e intelletti, questo è uno de’ bei segreti della natura ancor soggetto ad esame, ma fuori dell’entusiasmo.

Ben più intimo a questo e un problema, con cui finisco quest’argomento. Posson elle-Je no queste verità ad ognuno applicarsi, poichè sembrati fondate nella natura, e negli esempli degli antichi greci e romani maestri di tutti? Ma come dunque avviene che qualche nazione per esempio sia sì scarsa di novità, varietà, franchezza e di contrasto, e di chiaroscuro; che anzi amino l’uniformità, la prolissità, la minutezza, e la rassomiglianza nelle lor poesie? Parmi questo un fenomeno singolare ne’tedeschi più illustri, che da vent’anni in quà composero de’ poemi, e de’ drammi bellissimi, e però tradotti jn piit lingue. Quanti più ne vò leggendo, più stupisco in vedere quelle lunghissime descrizioni o pastorali o militari, o di politica o di passione, onde mai non son sazi » che sempre ripetono, che dipingono sì uniformi. Un pensiero un’affetto un’immagine basta a Gesner per fare un idillio, e molti idillj non son altro che quadretti di ghirlande, di uccelletti, d’agnellini, di praticelli ec., il dialogo di due amanti pastori è tutto lo stesso che un altro, sol diversa è la chiusa. E quelle scene di Lessing, e quelle pariate di Klopstoch, e quei precetti di Zaccaria rh nelle quattro età, o nelle quattro ore del giorno han certo il pregio della semplicità, imitano la natura, ma quel semplice non è egli sempre troppo, e quella natura non è ella un pò languida, uniforme, e soprattutto nojosa per languidezza? Bisogna dunque distinguere due gusti un generale, e un nazionale: i tedeschi diranno di seguire Omero, che parve loquace, e diffuso, gli altri Virgilio, e Orazio ec. Chi ne stà meglio? Ma di ciò meglio altrove de’climi parlando. Intanto passiamo a parlare d’un iminediato effetto della novità, che è il mirabile; e per maggiore chiarezza e distinzione facciamone un capo particolare, e separato.

  1. (I) Cum historia vera, obvia rerum satietate & similitudine animae humanis fastidio sit, reficit eam poesis, inexpectata & varia, & vicissitudinum plena canens. Bacon. Organi lib. 4.
Questa voce è stata pubblicata da Wikisource. Il testo è rilasciato in base alla licenza Creative Commons Attribuzione-Condividi allo stesso modo. Potrebbero essere applicate clausole aggiuntive per i file multimediali.