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MIRABILI.
Ognuno vede, che tali anime elevate, impetuose, amanti di scene ognor disusate, ed insolite corrono dietro al mirabile, cioè al grande, e al bello. Il grande ed elevato è lor così proprio, che il tej-mine di sublime è preso da loro ( 2 ), siccome il bello è termine proprio delle lor professioni, dicendosi le belle lettere, e le belle arti. Nè noi non diremo altro lasciando i principi, e le ragioni intrinseche di questo amore verso la grandezza, ( 1 ) Nota nona.
(2) Dell’ altezza del dire intitolò la sua versione del sublime di Longino Nicolò Pinelli, la qual fu stampata in Padova nel 1636, za, e la bellezza al metafìsico, o piuttosto all’intimo senso d’ogni uomo ben organizzato, oltre al detto più sopra. Basti a noi far sentir facilmente, che sono esse i due scopi, ed obbietti più cari al genio. Egli dunque è sdegnoso, come il veggiamo sovente, del plauso volgare, non si risente a novelle, non cura d’affari, e di liti, come piccole cose per lui, ond’è spesso tenuto per orgoglioso, o per insensato, e con qualche ragione, perchè non hanno quelle alcun sapore per lui, o crede avvilirsi per esse. Il cielo, i pianeti, il mare, le battaglie, i naufragi, le tera* peste, le morti, ecco i più famosi argomenti delle descrizioni, dei quadri, delle tragedie più illustri. Le vaste campagne, i boschi, h fiere, i fiumi, ed i monti ecco gli oggetti, che più possono sopra l’anime d’ entusiasmo. A loro piace la rustica, e toscana architettura piena di maestà j a loro le immagini maestose, e terribili, le audaci imprese, la pompa, e l’energia dell’espressioni, e de’colori. Nè loro disdice il disordine, la rozzezza, la negligenza, le quali accrescono grandezza, come l’incolta beltà più sfavilla Nuo-76Mirabili.
(i).Nuoce spesso lo studio,e l’arte, vedendosi in fatti chi venne prima senza lingua formata, senza buon gusto essere i più sublimi 4 Omero, Dante, Ariosto, Milton, Cornelio tra’poeti sembrano fare una classe primaria; e chi venne dopo tra maggior lume, e coltura restar sembra di sotto in questa parte, come Virgilio, Petrarca, Tasso, Pope, e Racine, i quai nel bello son poi superiori ^ Quelli mancano nel disegno, nel decoro, nel costume, in che quest: sono maestri; ma quelli il son ne! sublime, che sta soprattutto. La scarsezza in lor di parole, o di frasi-^ e compensata dalla lor forza, ognuna mi dice qualche cosa, mi dipinge, e presenta un’:m-l magine, mi discopre una verità, e quel rozzo, e semplice stesso ingrandisce le cose, c me medesimo, mi occupa tutto, e mi sottomette, nè ho tempo di riflettere, se vi imnca il metodo, l’armonia, la decenza. Tutto « cosa in quello stile, e le parole medesime so( i ) Nam ut mulitrss essi dicuntur nonnulla inornatis, quasi iàipsum deceat. Cic.
Orar.
I sono cose, perchè fan colpo, ed effetto più forte. Laddove noi coll’arte, e colle parole spesso inutili, e al più sonore, troppo affollate, e però oscure, co’ periodi contornati, e rotondi, e quindi sterili, e fiacchi, con sinonimi, e con epiteti di puro lusso, noi cosi togliamo la forza, la maestà, la grandezza al parlare, come al dipigner le rolgono i tinti contorni, l’ombre sbattute, le mezze tinte, e le tenere carni, e gli studiati panneggiamenti, e il colorir delicato, senza cut Michel’Angelo giunse ad una grandissima sublimità. E forse quinci si spiega, perchè i grandi uomini, ( e il titolo di grandezza dimostra il pregio del grande presso tutti ) i gran talenti, i genj insomma non abbondino di parole anche nel loro convivere, ed i mediocri siano per lo p!h loquaci, come 1 mediocri poeti, e pittori danno nelle minuzie, qual colui, che nel gran tragitto degl’israeliti per l’Eritreo fa vedere un fanciullo che raccoglie conchiglie, e sassolini sul lido ( 1 ).
Quel.
( 1 ) Bellissimo esempio ne dà Seneca: U/.. poet/tram ingentosissimus egregie prò magni-78Mirabili.
Quél bravo disegnatore in vece avendo fatta una figura di capitano d’esercito un pò smisurata, e ripresone; io avea Ietto, rispose, pur dianzi Omero, e tutto pareami più grande dell’ordinario ( 1 ).
I gen; per questa loro grandezza unita all’ elevazione possono dirsi gli eroi dell’ in.
gegno, come la grandezza dell’ animo fa gli eroi più famosi, e questa infatti dà il pregio a tutte l’altre virtù morali, come quella a tutte le facoltà dell’ingegno. Non è forse inutile il paragonar qui insieme questi due personaggi, onde 1’ uno sparga sua luce su l’altro. I veri uomini grandi, i veri magna» ¿limi, che meritarono il nome d’eroi dal mongmtudine rei dicit: Omnia pontus erat: de!rant quoque litora ponto: nisi tantum impe.
turn ingenii & materia ad pueriles ineptiat reduxisset: nat lupus inter oves, fu Ivo s vehit unda leones: Non est res satis sobria lascivire devorato orbe terrarum. Nat. Quazst.
lib. 3. cap. 27. Tanto è vero, che notiamo in altri i difetti, che in noi non vediamo benché maggiori, come questo era in Seneca.
( 1 ) Giovano al nostro proposito le autorità dì Tullio, ed Orazio, che vogliono inondo son quelli, che si levarono sopra le passioni, che sprezzarono il vile interesse, trionfarono della piccola vanità, de’vulgari ri?uardi, e timori, e dimenticarono sino se stessi per l’entusiasmo della vera gloria e della sublime virtù. Or queste prerogative le abbiamo riconosciute, e sempre più le andiamo riconoscendo ne’gen/ pel loro entusiasmo nell’arti, e nell’opere loro eccellenti.
Gli uni e gli altri furono passionati, ed ardenti verso gli oggetti a lor cari, e alle splen9 grande il poeta principalmente, e consentono quasi d’accordo agli altri l’esser mediocri!
Inique in iir in quibus non utilitas qu. eri tur necessaria, 1ed animi libera qttadam obJeElatio, quam diligenter, ó’ quam prope fastidii.
se judtcantus. N.-que enim Utes, neq t- controversia sunt qua cogunt bomines, si eie in fora non bonos or a t ores, ita in the atro aSores malos perpeti. De Orar. 1. 1. cap. 16. E Orazio quasi commentando Certi s medium, & tolerabile rebar Rette concedi. Consultus juris, & aSor Causarum mediocris, abest virtute deserti Messala, nec sctt quantum Casselius Aiti its, Sed tamen in pretio est. Meàiocnbus esse poet is &c. Art. Poet.
SoMirabili.
splendide immagini de’ !or pensieri, ed invera, zioni. E in quella guisa che a dispetto del volgo non riuscirono mai nelle corti, nelle» armate, ne’senati ad ottener veramente il nome d’eroi que’ greci, o romani, e a’ altre nazioni, che collocarono lor grandezza, nella ferocia, nella superbia, nella temerità, e peggio po! nella finzione, nell’adulazioneJ nell’ invidia, negli artifizi in somma d’ ut*, cuor basso, ed infido, che anzi dopo ave« talvolta ingannato il lor secolo alcuni anni, poi conosciuti, e scoperti dal tempo, e da’ lume sincero dalla libera storia, tanto più furono disprezzati, e avviliti, quanto più aveai no tentato usurpare di gloria; così avvici!
nelle lettere, che i servili imitatori, gli autor raffinati, lo stil gigantesco o affettato, e tutte le cabale dell’amor proprio, de’partiti, delle passioni letterarie, e della vanità dell’ ingegno non giunsero mai a por nel ruolo de’geni coloro, che qualche tempo vi s’ erano intrusi, che anzi la posterità vendicò più severamente T inganno fatto ai contemporanei, condannando coloro all’ oblivione, e all’ infamia.
Qne.
Quest’ anime dunque, che tendono al grande, al forte, all’ardito giungono per tal modo al sublime, al mirabile, dal qual nasce più pronto il bello, o si confonde con lui, come pure il beilo partecipa del sublime, dpi grande. In fatti noi ci serviamo della parola bello ad esprimere tutto ciò, che ne piace, o elevandoci, o sorprendendoci, o trasportandoci, recando in noi da natura un senso, un gusto, una passione predominante per la bellezza.
Ma poiché del bello, come abbiam detto più sopra, vi sono oggi infiniti ragionatori, e qualche trattato ( i ) compiuto ancora, e degno dell’ argomento; a noi basti riflettere, che un segno certo di riconoscere i genj anche tra noi, e dove meno si crede, ella è quella loro bellezza, a cui li rrae l’entusiasmo.
Perchè essendo quest’anima puro dono del cielo, nè l’arte essendo richiesta a formarla, essa trovasi anche nel popolo, nelle campa’ gne, e tra le donne distintamente, benché POCO P. Andrè, Essai sur le Beau « Tomo III. F Si Mirabili.
foco s’osservi. La mancanza delle occasioni fa perdere di quest’anime infra i volgari; ira un certo loro linguaggio semplice sì, ma pieno d’immagini, certa vivacità, e grazia di presentar vivamente, e colorire le cose, le loro similitudini, i loro proverbi ? T intrepidezza, il fuoco, e più di tutto i talenti di far molto più e presto e meglio che gli altri non fanno le scopre; come il sol talento d’affasciar legne scoprì quel giovane greco divenuto perciò filosofo, e come pub dirsi del naturai verseggiare, e cantare improvviso al suon di rozzi stromenti in certi climi particolari, e di tant’altri talenti, che collo studio, o gli esempli sarebbono divenuti eccellenti scrittori; onde può dirsi con verità!
oh quanti Ariosti e Petrarchi, che aran la terra, quante Aspasie ed Agnesi, che trattano il fusa, e k conocchia ! ( i ) E sic( i ) Parmi lina spezie d’ estro per elevazione, e rapidità di visione, e di passione a ben fare l’impresa di quel montanaro da me veduto, che solo osò quasi per superna ispirazione commosso, in una città attonita, ed tnon-E siccome per popolo intenso ancora ì cittadini, e i signori, perchè l’ozio, ed il lusso fan con essi le veci dell’aratro, e della conocchia, cioè non dan loro occasione propizia; cos^ ^‘co poter tra essi distinguersi, chi ben gli osserva, dei genj rari, e ralenti dalla loro bellezza. L’ amenità, ed il sale, che spargono nel lor conversare, P immaginazione vivace, e pittoresca, i ritrovati più repentini, e più ingegnosi, onde rendono inondata dal fiume offrirsi, trovar modi, e salir sopra una torre staccata dal ponte, che rotto dalla precipitosa corrente stava pendendo così, che minacciava ogni momento di cedere all’urto, ed alle scosse continue.
Due volte andò tranquillamente, e tornò dall’alto di quella torre per iscale in aria da lui congegnate, e trasse in salvo donne, e fanciulli ivi ridotti a disperata ruma. Ciò fu in Verona nel 1757. E tal parvemi ancora quello del celebre Ferracina, rustico ignaro d’ogni teoria, che passando colà, dove esperti uomini dopo inutili tentativi disperavan condurre una statua di marmo in su l’alto di un pai;:2io, egli soffermatosi un poco, e sorridendo chetamente dicea, io la vi mando subito con due legni, due uomini, ed una corda, e sfidato a ciò fare, il fece.
«4Mirabili.
dono agli altri le cose comuni con nnovQ lume e colore belle, mirabili, saporire; onde i lor detti ripetonsi, divengon proverbi della città, onde ravvivano un convito, e al lor comparire i convitati prendono un tuono più allegro, e sono essi perciò chiamati alle cene più numerose, e scelte, e sono l’anima delle conversazioni con una miniera di biz?arie, ci bei morti, e di vaghe novelle, come poi ne diventano spesso il flagello coll’ acume delle lor critiche, colla prontezza delle lor botre, colle pitture comiche, e vive del costume, dei difetti, e del ridicolo; ridotti ad esser pittori, dirò così, di caricatura ppr I’occasione mancata, potendo essere all’occasione propizia or Rafaelli, or Tiziani.Tai può dirsi l’autore della Culicutidonia tra gli scrittori, il Tassoni, il Berni, e molti altri e tali potrei nominarne di non autori, e da me conosciuti quasi in ogni città.
Dal lor carattere or ora espresso si vede la loro elevazione, rapidità, visione, e talento del belio, onde formasi, e scopresi il loro entusiasmo, che ralor dà negli eccessi.
J-e donne dotate d’entusiasmo non giungon a que-i quest’eccesso; ma soglion glugnere r. qu2’!
Ji della passione. Fuor di questo volgoli i’estro dell’anima ad esser amabili, e care sin» golarmente, e talor cercasi, perchè una tale non giovane, non avvenente, non ricca a se tragga sceltezza, e numero di compagnia; uè non si vede, che la bellezza, freschezza, ricchezza dell’anima per l’entusiasmo è il segreto fascino, che trae concorrenti. Esse hanno più fantasia comunemente, più vivacità di sentimento, e dipingono e veggono più vivamente gli oggetti, onde forse le lor passioni diconsi più violente; e di qua spiegasi quel problema, come in parità di talento hanno esse il giudizio più sicuro degli uomini a prima riflessione» Ciò, che chiamasi lo spirito, ed il talento della conversazione dopo le qualità morali, e civili si fonda in questo principalmente. E questo può dirsi vero entusiasmo, perchè infine esse piacciono per la pitruta, la poesia, l’eloquenza ed anche per l’armonia, congiugnendo spesso a quei pregi una grata voce, un decente atteggiare, un vestire, ed ornarsi concorde, e accomodato a ben parere; in somma hanno S<5Mirabili.
il bello delie bilie arti, senza saperlo. Io ne ho conosciuta alcuna, che parea poetasse naturalmente, conversando, senza aver mai saputo di poesia, la qual era racciata dalle altre d’affettazione studiata per questo appunto, perchè superavate nel talento, e non sapea parlare che con bellissime immagini, e con certo estro, e vivacità, che parea al volgo delle donne lavoro e sforzo; lodava facilmente, e graziosamente per vero, e nobile sentimento, e pareva adulatrice. Io la chiamava la Sevignc, perchè tale appunto è 10 scrivere di questa immortai donna, come 11 conversare di quella. In somma son queste anime, che dotate di lieta immaginazione fan le delizie deila socievole vita, se noi Je osserviamo, parlando con immagini, e sempre nuove, e vivamente dipinte, e circonstanziate d’esempli, di dialoghi, di novellette, di affetti, e di contrasti. E non è questo entusiasmo, e non son pezzi d’Omero, a dir così, e di Virgilio tali conversazioni ?
Sembrano nulladimeno le donne essere destinate più all’entusiasmo del dolce, del deli-¡¡caro ed ornato, che al grande, e al terribile; onde può dirsi strano il destino di Milton caduto in man di due donne, madama du Boccage, e la signora Bergalli, e que[ d’Omero in quelle di madama Dacier. Son esse per altro chiare donne, e degne di grandissima lode, e così pur molte osassero, come quelle, supplir col talento, e col coraggio all’ educazione infelice, che gli nomini loro danno. Sono pur destinate a quel non so che, di cui parlammo, che si chiama la grazia, ed il grazioso nell’ arti, ed entra nel bello. Spcusippo discepolo di Platone, e suo successore pose perciò il quadro deile tre grazie nel luogo ove quel gran filosofo dava precetti immortali di sapienza, e di virtù, tanto è necessario un tal pregio all’ ingegno; onde lo stesso Plarone raccomandava a quell* aspro Senocrate di sacrificar alle grazie, se volea riuscire. E non è egli il pensiero di Tullio medesimo, allorché tanto insiste sulla decenza, o il decoro, come noi lo diremmo ? Perfin nel porgere, e nell’ azione dell’ oratore, e dell’attor di teatro ei l’esige, e parlando del comico Roscio lo dice in questo F 4 mira.
MIRABItI.
mirabile, e giunto al sommo dell’arte sua (i), chi ben inrende la forza del termine decere; e conferma Quintiliano esser questo sopra le regole, ed i precetti. Il che però dicendo ( 2 ) è quel solo, che con arte hom pub insegnarsi. E quindi Tullio deride imaestri, che tali regole dar pretendono, e ne dà coll’esempio di Roscio una bella ragione!
perchè quei soli che insegnar ciò potrebbono, cioè gli uomini d’estro, non han pazienza bastante. Roscio, quand’ era obbligante, insegnava con somma fatica ( 3 ), nausea, e sfinimento, termini proprj a spiegare quel contraggenio, o ribrezzo smanioso, di cui certi si senton crucciare in una scuoia pedantesca. E perchè? Perchè quant’uno è più perspicace e ingegnoso, con tanto più sdegno, e stento ammaestra, tormentandolo il (1 ) Caput esse art is decere.
(2) Quod tamsn unum id esse, quod tra* di arte non potest.
(3) Summo cv.m labors, stomacho, raisetmque....
il veder lentamente impararsi ciò, eh’egK apprese prestissimo ( i ).
Non so veramente, se debba riporsi nel bello, o nel grande, o in tutti e due quell’ abbondanza propria dell’entusiasmo, quella ricchezza nobilmente superflua de’gran genj d’Omero e di Pindaro, d’Orazio e dell’Ariosto, eh’è una bellezza e grandezza magnifica, come lo strascico e manto reale, come un fiume ripieno e traboccante, come h pompa de’grandi alberi e folti, come uno stromento sonoro, che lungamente rimbomba a un sol tocco, od arcata. Quei geni vanno talora oltre al bisogno diffondendosi in lunghe descrizioni, in arringhe, che pajoro a’precettisti mediocri, e prolisse, di che tanto fu Omero accusato. Certe loro prodigalità d’epiteti, di similitudini, di suoni, e d’immagini sparse a piene mani sono l’opposi( i ) N.:m quo quisque est solertior, & in.
geniosior, hoc ciocci iracundias, O’ laboriosità; quod enim ipse celeri ter arripuit, id cum tarde pcrcipi videt dis cruci at ur. Orat.
prò Rascia Coni«do.
90Mirabili.
posito deilo stentato, del secco, e de! leccato. Tai sono que’ quadri pieni e popolosi, dirò così, come Paolo principalmente usava di farli. Certo è, che per tale prerogativa Quintiliano e Longino esaltnn Platone e Omero, e sembra cara e confacente alla più nobile, e più generosa poesia. E per contrario ridicoloso è il volere ristrignere il gusto e Io stile a proporzioni e misure pressoché geometriche; come quell’oratore (i) de’tempi nostri per altro eccellente, che le sue pre- l diche perfezionando prima di pubblicarle, tanto ne andò togliendo, e a tal precisione volle ridurle, che se non moriva, lasciava uno scheletro vero; e non si poterono porre in istampa fuorché quelle prediche, nelle quali non avea posto il coltello anatomico a spolparle affatto.
PAS( i ) P. Bassani, i PASSIONATI, Il bello veracemente nella sua più generale significazione, che tutte le doti comprende è quel che fa i genj per le lor’ opere immortali; eppur non’è questo il primario carattere loro, se dal bello escludlam la passione; ina come questa concorre a formarlo, e n’ b la vita e 1* anima, e come a questa concorre egli stesso e la produce, cosìaccoppiansi acconciamente. E che produca il bello una passione nelPanima, ognun lo sa, la qual giugne a tale, come s’è detto, di trasformar in bellezze gli stessi difetti. Che poi la passione sia il primario carattere e fregio del genio, dell’entusiasmo, del bello, basta riflettere, che sono poi le passioni d’Achille, di Didone, d’Orlando, di Tancredi quelle, che fanno immortali i gran poemi, c senza Je quali le più mirabili cose, e più inusitate delle invenzioni poetiche poco avrebbono forse vissuto. I piaceri del cuore son sempre i più cari, e gli uomini avran sempre bisogno d’esser commossi più, che d’essere illuminali,.perchè la noia, ch’è l’ozio de’loro