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NOTA I..M incontro per caso in un passo, the può dnr lume ed autorità al mio pensiero II giureconsulto,che sa a memoria a diritto romano, e le pandette, che ha letta tutta la gran farraggine de’ commentar;, e che ne fa egli stesso, non abbisogna per riuscirvi fuor che della memoria, d’un certo amore dell’ ordine, e d’ un’ assidua applicazione. Facil dunque <: concepire, che questo studio è proprio de’flemmatici, i quali sono naturalmente laboriosi, pazienti e capaci di reggere ad un lavoro di lunga fatica. In tal classe si rroveran pure de’ logici, de’ metafisici, e di que’tilosoiì a centina;a, che si strascinano metodicamente, e col sudore alla fronte attraverso una ventina di volumi in quarto di volfiana filosofia. Già non vuoisi qui abbassine il merito di coloro, che a queste scienze si danno, ma solo offrire una serie quanto si può più piena de’ segni, che concorrono ¡,ì far conoscere i differenti caratteri deli’ uo-> mo, àj4NoTi^ ir.o. Basta far bea capire che impossibil riesce a un talento vivace il leggere senza redio tutta intera la gran filosofìa di Volfio non meno che i suoi elementi di matematica1, qualunque sia il pregio, che possati quest’opera avere ec. Memoirrs pour servir à /’ bistoire ilu mondi rimai, & politique, ou Analyse de l’ Ams ~ Amsterdam 1772. Journal de Bouillon - 15. Juillet 1772.
NOTA II. Questi tali sono que’rari cigni, che di quando in quando ci son venuti da Elicona a render famosi il Mincio, l’Arno, l’Adda, il Sebeto, e il Pò, vicino a cui posero i lor nidi. E dove taluti di questi si scorga in abbietta e miserabil fortuna, de» esser cura de’principi, e signor; grandi l’averne cura, e favorirli. Dico dover esser cura propria de’principi, perchè da simili ingegni non può ritrarsi per ordinario utile al< cuno di condurre negozj, 0 d’ aver cure e maneggi, essendo per lo più inetti a qualunque servigio, alieni la maggior parte da codici e digesti, e molto più da trombe e tamburi di guerra, riserbandosi a celebrare in ver-Versole morti gloriose de’combattenti, nijtjìcì di corteggi, di anticamere e d’ogni servitù; nè fanno poco a servire a se medesimi tenendosi, per quanto possono, lontani dagli ultimi incomodi della povertà. Ma non è leggier interesse de’ gran signori il render eh’ essi fanno eterni alla memoria de’ posteri i loro nomi; la qual immortalità di fama, tuttoché sia per verità un inganno, tiene però in moto le azioni de’ principi, e le imprese de’ capitani, le quali certamenre rimarrebber sepolte, se l’istoria o la poesia, che talvolta ha forza di prevalere e di oscurare la storia, non le tenessero in vita. Ceva V. Le~ mene.
NOTA III. Nè creda alcuno potersi ciò conseguire ( l’eccellenza in poesia) col leggere sol tanto la poetica d’Aristotile, o del Mmtumo o d’alrro tale; che tai precetti a me sembrano alquanto simili a quella regola, che dava il senato romano ai consoli in congiunture di gravi affari; ed era questa una di fare in modo, che la repubblica non patisse alcun danno. Voglio dire, che quegli assiomi universali lasciatici da’maestri dell’arte, qua-qualora voglion ridarsi poscia afla pratica, debbono finalmente anch’ essi rimettersi quas9 interamente al buon giudizio, al buon gusto, e alla guida e maestria della natura. Onde _ per quanto studio siasi adoperato intorno 4 qualche tragedia o poema; quando tar comJI ponimentl non incontrino il piacere univer^ll sale, nulla giovano le apologie e difese, coitìy] cui si pretenda, ch’elle siano conformi agl|9 insegnamenti de’maestri dell’arte. Imperoc* chè sono innumerabili gli artifici occulti, Je minute leggi, e le osservazioni fuor d’ogni, legge, onde risulta la bellezza della poesia#!
che noti si ieggon su i libri, nè possono re-j, gistrarsi, e nè pur intendersi se non da chi, per lungo uso prima con l’emulazione d’ eccellenti poeti, e sopra tutto con aver di con-.
tinuo innanzi agli occhj un’idea di bellezz^, sovrana e inarrivabile, dopo molto studio, e molte pruove finalmente giugne ad apprenderli con prenderne sperienza. Nè dee confondersi ogni riscaldamento di capo con quell’ ardore, che chiamasi estro poetico; nè deesi il nome di poeta a chi una volra riesca, felicemente un madrigale 0 un epigramma per grande e rara ventura. Ma ben meritevole deli’alloro è colui ec. Ccva V. Lemcns.
NOTA IV. Ecco ciò, che scrive il Manzo nella vita del Tasso — z= Quest’illustre poeta credea veder chiaramente imo spirito buono, che gli appariva, e seco disputava di altissime dottrine. Gli era opposto ciò essere un trasporto della sua fantasia, ed egli rispondeva: che se le cose, ch’egli ode, e vede fossero fantastici apparimenti della sua ¡stessa immaginativa composti, non potrebbero esser tali, che sopravanzassero il suo sapere; perciocché l’immaginativa si fa co!
rivolgimento degli stessi fantasmi, o delle spezie, che nella memoria si conservano delle cose da noi in prima apprese; ma ch’egli ne’ molti e lunghi, e continuati ragionamenti, che con quello spirito ha tenuro, ha da luì udite cose, che giammai prima riè udì, rè lesse, nb seppe, che altr’uomo abbia giammai sapute. Laonde conchiude, che queste sue visioni non possono essere folli immaginazioni delia fantasia, ma vere e reali apparizioni di alcuno spirito, che qualunque se ne sia la cagione, se gli lasci visibilmente Tomo IV. R ve-vedere. Alle quali contraddicendogli io, e replicando egli all’ incontro, ci conducemmo « un giorno a tale, ch’egli mi disse: poiché non posso persuadervi colle ragioni, vi sgannerò coll’ esperieuza, e farò che voi cogli oc-’ chj stessi veggiate quello spirito-, di cui non volete prestar fede alle mie parole. Io accetti tai la proferta, e il seguente giorno stando^ noi tutti soli a seder presso il fuoco, egli ri-^ volto lo sgu’rdo verso una finestra, e tenen-; doloyi un pezzo fitto, sicché rappellandoioi io, nulla mi rispondeva: alla fine, ecco, imi disse, l’amico spirito che cortesemente è venuto a favellarmi. Miratelo e vedrete la ve-.rità delle mie parole. Io drizzai gli occhi co-’ là incontanente; ma per molto ch’io gli aguzzassi, nuli’altro vidi, che i raggi del sole, che per gli vetri della finestra entravano nel*, la camera. E mentr’io andava pur con gli1 occhi attorno riguardando, e niente scorgen-’ do, ascoltai, che Torquato era in altissimi ragionamenti entrato con cui che sia. Perciocché quantunque io non vedessi, né udissi altri che lui, non di meno le sue parole or proponendo, ed or rispondendo erano quali si veggono essere fra coloro, che d’alcuna cosa importante sono a stretto ragionamento.
E da quelle di lui agevolmente comprendeva coll’intelletto l’altre, che gli venivano risposte, quantunque per l’orecchio non l’intLiidessi, cd erano questi ragionamenti così grandi e maravigiiosi per le altissime cose in esìi contenute, e per un certo modo non usato di favellare, che io rimaso da nuovo stupore sopra me stesso innalzato, non ardiva interrompergli, nè addomandare Torquato dello spirito, ch’egli additato mi aveva, ed 10 non vedeva. In questo modo as:oitando io mezzo tra stupefatto, ed invaghito, buona pezza quasi senza accorgermene dimorammo; alla fin della quale partendo lo spirito, come intesi dalle parole di Torquato, egli a me rivolto: saranno oggimai, disse, sgombrati i dubbi della mente tua. Ed io: anzi ne sono di nuovo più che mai dubbioso, perciocché molte cose ho udite degne di maraviglia, e niuna veduta n’ho di quelle, che per farmi da mie: dubbi cavare, mi prometteste di mostrarmi. Ed egli sorridendo soggiunse!
assai più veduto, ed udito hai di quello, che i(oNorf.
che forse... e qui si tacque =3 — Parmi di k-pgere Malebranche, che conversa col Verbo familiarmente.
NOTA V. La poesia per tanto, come detto è sin qui, è l’arte di dipignere la narura, dando allo spirito il colore dei corpi, e dando ai corpi la vivacità ed il fuoco dello spirito. Qual meraviglia però, che in ogni seJ colo più barbaro eli’abbia costantemente sigareggiato sopra gli uomini tutti, poiché fi.
miniente accoppia ella in se stessa i pregi,, delle due arti più care, quai sono la musica, e la pittura; imitando l’incanto di questa colle immagini, e le modulazioni di quel4 la coll’armonia ? 11 diletto delle pitture, e del canto non è men proprio dell’uomo di quel che il sia la facoltà del vedere e dell* intendere; poiché impossibile è pure, avendt?; occhio ed orecchio, non goder vivamente all mirar un oggetto ben imitato, e all’ascoltare un concento armonioso. Può dunque a ragione conchiudersi, che l’anima nostra soavemente commossa dalle gioconde impressioni della vista, e dell’ udito ha dovuto inventare la poesia, che una maniera è appunto to di pittura, e di musica, onde nasce negli uomini i’ universal genio ai versi, al canto * ed alle pitture. Bsrnis Ragionavi, su la poesia.
Qui dobbiamo parlare della forza appunto che ha l’entusiasmo coll’immaginazione di far comparire i poeti più dotti assai che non sono. Due pregiudici qui vengono in campo, 1’ uno di quelli che mirano quali ignoranti e superiìeiali i poeti, J’airro di quelli, che dottissimi e scienziati li fanno. Ecco 1’ nomo che sì per j’-oco o nel difetto cade o nell’eccesso, eppur sa che il vero suol nel mezzo trovarsi.
Or dunque mi sembra dover prima intenderci sopra il titolo di poeta, che non a tutti i compositori di poesia dee darsi in egual senso.. V’ha il poeta, dirò così, di professione, e v’ha il dilettante. Quegli ’e nato con vocazione al poetare, sdegnò, almen nojossi di più serie applicazioni, corse varie carriere di studi ancora, ma sempre dal suo demone predominato, amò solo la poesia, scrisse in versi per tutta la vita or più or meno, ora in vari componimenti, ora in un gran poema, o in più poemi occupandosi. Così nell’epica, e nella scenica fu Omero, così Sofocle, così Vir-Virgilio, Pianto, Terenzio, Dante, Ariosto.
e Tasso, mentre Pindaro, Anacreonte, Catullo, Orazio, Petrarca co’suoi seguaci del 500, e Frugoni con altri amarono la varietà della lirica. Questi furono tutti poeti di professione, benché Petrarca al suo tempo il paresse meno. Altri furono a così dir dilettanti, e sol per caso o per sollievo composero in poesia. Tali furono in grecia e nel lazio coloro de’quali abbiamo nell’ Antologia o altrove reliquie, o che cominciando dalla poe*J tica, come Tullio, passarono ad altri studj, come i nostri Cin ai Pistoja, Poliziano, Fracastoro, Castiglione, e i più vicini Redi, Muffei, Manfredi, Zanotti Francesco, Bassani, Rossi, Granelli e cent’altri. Or que.
sti a rigore non ponno dirsi poeti al caso pre* sente, e non si può il lor sapere mettere in conto, come alcun fece, d’un pregio di poJ sia. Furono dotti uomini, non dotti poeti.
Resta dunque a vedere se il fussero que’di professione, o se il loro entusiasmo poetico quel fu per cui parvero, e furon detti dotrissimi. Tali Omero e Dante, Virgilio e Tosso singolarmente si vogliono da molti, Tas-’j-jiso e Omero insegnano l’arre più profonda del guerreggiare; Virgilio è grande astronomo; Du>ite teologo al sommo grado, e così altri. Nè questa è opinione d’antichi un pò creduli ed ostinati nell’ammirazione de’ gran maestri, ma tutto giorno leggiamo che J’Iliade e l’Odissea ponno formare i più gran capitani, a quanto n’affermano i cementatori, e che l’Italia per la Gerusalemme liberata fu maestra de’nuovi sistemi di guerra, come vuole il signor conte di Coronato nel suo discorso sopra la scienza militare di Torquato Tasso a quest’anni pubblicato. Della reologia di Dante, e delle matematiche di Virgilio vi son trattati notissimi dati in luce più volte, e citasi da francesi quel detto del gran Conriè all’ udir la tragedia di Pompeo, e do-je apprese Gemello /’ arte di gnereggiareì Ma noi sappiamo che Omero e Tasso e Cornelio mai non furon guerrieri, e che i poeti vantami di tutt’altro che di valor marziale, come Orazio il prova per tutti gli altri. Esaminate i passi, che lor fecero attribuire tanta dottrina militare, e troverete che alcuni termini giusti, alcune espressioni ben collo.
R 4 cate, cale, un’ordine di battaglia, o d’assedio bea disposto, una viva descrizione di movimenti, d’assalti, di mischie, e d’armi sono i lor pregi. Or tutto ciò può sapersi da ognuno con lieve notizia de’fatti, lettura di libri, consiglio di sperimentate persone. Così Mi¡¡ere fece la scena bellissima del cacciatore \ consultandone uno de’più famosi in corte così ricordomi facea Frugoni or dimandando- ¡9 mi quale’ e libro, or leggendo altrui, ciò eh’.; j egli avea scritto, per non dire spropositi, sog- a giugnea, come m’avvenne tra l’altre volto il d’udirlo dir ciò in occasione di parlar della luce secondo il sistema neutoniano, giacché non avea mai studiato pazientemente, nè trattate le scienze, e pochissimi libri avea, e leggeva pochissimo, che ben sapea r.on averne bisogno per essere quel gran poeta ch’egli era. Leggete quel celebre passo di Virgilio,M per cui pretende il Brumoi di persuaderne ’5 ch’ei fu profondo astronomo e matematico (i).
Me ( i ) Discours sur l’usage des matematiques par rapport aux belles lettres.
Me veto primurn dulces ante omnia muste, Quarum sacra fero ingenti perculsus umore, Accipiant, celique vias ac riderà trionstrent, Defe&us solis varios, lunaque labores, U/ide tremar terris, qua vi maria alta tumescant Objcibus rupi is, rursusque in se ipsa resi dant, Qi’.id tantum oceano prtperenl se tingere soles Hybernt, vii quce tardis mora noBibut obstet ec.
E ditemi se una lieve tintura di quelle cose non basti a comporle insieme. In nn discorso accademico può farsi ben comparire grande astronomo e gran fisico il nostro poeta; ma quant’ altri poeti non paranno dottissimi in un elogio, a’ quali bastò come a Virgilio avere scorso nn poco gli autor del suo tempo, 0 udito solo trattar quelle materie in dotte conversazioni > Bell’ argomento c che Urania che presiede alla scienza degli astri è una musa. Io stesso 1’ ho detto in una una canzone, e ho lodato anch’ io per lei Algarotti, onde un tbravo comentatore mi potria far grande astronomo facilmente. Ma parmi essa piuttosto far due personaggi differentissimi allorché dirige 1’ effemeridi del Cassini e del Manfredi, e allorché viene incontro allo Stancati in quel sonetto mitabiie di Ghedini. O son due Uranio, o trasfigurasi quella stranamente. Dirò di più che I’ una distrugge l’altra, cioè a parlare fuor di figura, che un vero dotto difficilmente sarà buon poeta scrivendo di sue dottrine, e che un vero poera non può scriver bene in quel, le. Una prova ben chiara è di questo 1’ escludersi dal ruolo poetico i precettori in versi, benché eccellenti scrittori. Sin da Isiodo, e da Lucrezio, e sino aj Fracastoro e al Vida, e a cento de’ nostri giorni verseggiatori didascalici, tutti cedono il luogo a’ poeti. Due riflessioni su ciò fan più chiaro l’assunto. La prima si è, che quanto più strettamente stanno in su le dottrine o per P argomento o pel lor metodo tanto men sono poeti, onde Esiodo e Virgilio per 1’ agricoltura, Orazio e Menzini per 1’ arre poe.
poetica tanto più sono poeti insegnando, quanto insegnano meno, e quanto dilettano più trascorrendo per campi fecondi di poesia. Laddove Lucrezio, ed Arato, e Dante stesso guastano in certo modo la poesia per voler troppo esser dotti, tormentando con prosa dura e misurata in esametro, e con rime forzate e strane gli orecchi per voler parlare co’ rermini delle dottrine lor filosofiche, o teologiche, onde ha 1’ uno e 1’ altro un’ asprezza scolastica mortai nimica di poesia. Ma percht: pure son nati poeti, scuotono il giogo quanto più ponno, e scappa« dai ceppi della dogmatica per poetare e dipignere, e movere colle patetiche descrizioni della peste, e della morte d’ Ugolino e de’ figli. Così gli esordj, così le chiuse de’ libri e de’ canti son per tutti questi quasi luoghi di scampo e di rifugio, ove spogliano volentieri la giornea di dottori, per ripigliarvi la lira e l’alloro poetico, La seconda riflessione si è, che poco o nulla può da’poeti impararsi, ove trattan di scienze. Esiodo infatti nel poema dell’opere e de’ giorni t: censurato come poco filosofo; Virgilio pretendeSi / si non poter mai formare un agricoltore; niuno seppe giuocar agli scacchi studiando il Vida, e così dite di mille altri, massimamente a’dì nostri, che abbondano di tai poemi. Qualch’ esempio recente abbiamo d’ eccellente poeta, che per voler essere troppo esatto, e troppo dotto in georgica, ha fatto un poema oscuro e intralciato. Meglio sarebbe far de: bei versi con meno dottrina, ed esser vero poeta più che vero sapiente, poiché si scrive in versi, e vuol farsi poesia. Ma l’uno e l’altro sembra impossibile a conciliarsi per le ragioni accennate e pe’ recati esempli. Di che procede la verità non esser dunque obbligato il gran poeta agli studi profondi e scientifici, e poter esser grandissimo senza quelli. Il suo vero sapere, la sua dottrina è nell’ entusiasmo, cioè nella forza dell’ immaginazione e della sensibilità, per le quali illumina e scalda ogni argonv.tifo, di poco fa molto, e fa parer le cose grandi e beile collo stil bello e con 1’ immagini grandi, più che i dotti e i maestri non fanno. Illustrar potrebbesi questa materia col paragone dell’ arti tutte liberal: > {{Pt|quali, e specialmente nella pittura eccellenti par riuscirono molti indotti; ma dalia natura felicemente disposti all’arte loro. Ma non è qui luogo di pien trattato. Altrove parliamo opportunamente del giovar che fanno i molti lumi e cognizioni alla poesia non meno che alle sue compagne, siccome del vantaggio che viene al filosofò ed all’ ammaestratore dal poetico colorito nelle sue opere più profonde. Ho dette tai cose riguardando anche all’ autorità d’uno ¡scrittore di gran peso del conte Algarotti, che sì bene ha scritto del s.ipere d’ Orazio nel saggio sopra di lui, e di quel di Virgilio nel discorso su la scienza militare pur di questo. E quanto al primo ì; verissimo che niun filosofo di professione agguaglia il poeta filosofando in morale, la qual non è scienza, o dottrina scolastica, ma è legge di cuore, e di ragione, in cui senza studio si può eccellente* mente riuscire. Del secondo è pur vero, che ottimamente i: descritta, e secondo le miglior leggi quella guerra. Ma lo stesso Algarotti poi meco accordasi nell’ attribuire tanta avvedutezza in quell’ arte alle } conversazio-zioni de’ Pollioni, de’ Vari, de’ hit cenati, et al ragionarsi di quella continuo in Rom.., come in Cadici si parla del cambio marittimo, di teatro ia Parigi, 0 di politica in Londra * NOTA VI. I veri genj non sou nimici, che unzi essendo divisi per solo accidente, ed occasione, ma riuniti, e congiunti pel segreto lor vincolo dell’ entusiasmo, amansi, e pregiansi, e passan talora dall’uno nell’ ajtro terreno, come popoli confinanti, e pacifici, abbracciandosi insieme 1’ arti, e la filosofia, le lettere, e le matematiche, come in Manfredi, Z¿motti, Fontenelle, 1’ abate Conti i Lei ¿»tizio, Maßei, parendo ciascuno di molte nazioni, e consultandosi insieme, che è più raro, il pittor col poeta, e col letterato non solamente, come Giotto con, Dante, Raffaello col Castiglione, e col Bern- « ¿»j Palladio col Trissino, ma il geometra.,!
col poeta, che è rarissimo, come potrei ci- ■ tarne più d’un esempio anche a’ dì nostri di Parigi, di Padova, di Bologna. Per mia spe-, rienza ne parlo qui appresso.
Intanto dirò quanto all’Unione dell’arti co1.
cosi opportuna al tempo presente, e alia letteratura moderna d’Europa. Sembra avverato oggi più che mai esser l’immaginazione non so! primo strumento dell’arti, ma farsi ancor volentieri amica o ministra delle scienze. Gli storici e gli oratori e i poeti dall’ altro lato assaporano più che mai le dottrine filosofiche, e ne aspergono i versi in abbondanza. Dunque non dee far più maraviglia l’alleanza tra gli uni e gli altri, come già Io mostriamo a proposito di Platone e d’ Omero in altro luogo. Ma la filosofia di Plutone, diranno altri, non è poi che una poesia pur essa, ed e ben altra quella de’ moderni composta di tanta geometria, di tante matematiche, e più severe discipline, ond’ è oggi estrema la distanza o più tosto contrarietà di queste cogli ameni stud; delle lettere belle. Ai che rispondo esser oggi appunto perciò più manifesta (a congiunzione e concordia di questi rivali, poiché i fisici, i metafisici, i naturalisti, e sino i matematici scrivono con calore, con figure, con immagini e affetti sparsi entro le idee più astratte, e più semplici a prima vista.. Ognun cerca ca dar anima al suo stile, muovere, dilettare, aprire scene, andar al cuore, dar vita alle cose inanimate, porle a contrasto, infin gittare nell’ animo de’ lettori il timore, la speranza, la compassione, l’amere. Il Plinio antico e il moderno con mille seguaci han veramente scosso il giogo e la secchezza e l’aridità dottrinale, e specolatrice. II moderno è il sig. di Buffon, che pub dirsi il maestro di questa scuola veramente maravigliosa e nuova, giacche 1’ antico non fece!
che darne alcun saggio qua e là. Vedi la no.
ta decima ottava.
Quanto poi all’ unione de’ lettemi d’ ar,-be le parti, che una volta finon nemici, disprezzatori, persecutori gli uni degli altri, come altrove dirò al proposito della letteratura italiana de’ secoli scorsi, quest’ unione’ c ancor più mirabile, e più singolare a’ nostri tempi, essendo io stato non rade volte, e in più luoghi partecipe non che testimonio di quest’ammirando commercio; e un solo esempio n’ adduco recente, e di mia sperienza, che altronde non verrà illustrato quanto, e coni’ egli merita.
Mi Norb.27J Mi son dunque trovato molt’ anni a convivere in compagnia di dieci o dodici uomi ni, tutti non sol dati allo studio, ma letterati a rigore di termine, e autori d’ opere d’ ogni genere, e di materie diversissime, anzi opposte secondo il pregiudicio. Si videro uscire ogni anno or di storia ecclesiastica, or di teologia dogmatica, or di biblica, e di filosofia e matematica dottissimi libri, e non meno se ne videro e tragedie, e storie letterarie, e poesie, e volumi di sacra e di profana eloquenza, e di storia naturale, e di storia antica, e di critica, e di molte altre materie, essendo composto quel ceto di bibliotecari a servigio del sovrano, e di professori pubblici, tra quali io stesso il fui d’ eloquenza, e di predicatori ovvero oratori chiarissimi in tutta l’Italia, e alle corti anche straniere, delle fatiche de’quali tutte già pubblicate potrei tesser lungo ed onorato catalogo, se non temessi di sembrar vano de’ meriti altrui, e far pompa delle altrui ricchezze per segreto compiacimento o spirito, come il dicono, di partito. Certo almeno a me sembra di ricordare quest’ epoTomo IV. S ca ca della mia vita; perchè ne ho certezza più che d’ogni altra testimonianza,- e perchè veggo in essa un vero pregio dell’ami-’ chevole letteratura. E chi pub sedurmi og-gimai, che profitto men pub venire assicurando, che in tanta prossimità di scrittori e di dotti tra loro, in mezzo a tanto impegno ed amor di ciascuno per l’opere sue, come.j è in tutti gli autori pei parti del proprio in-1 gegno, pur vivevam tutti amici, concordi, ed eguali, tenevamo lietissime conversazioni insieme, trafficavamo de’nostri studj e con-?
sultandoci, e consigliandoci, e ammonendoci ‘ vicendevolmente, gli uni agli altri ad ogni uopo ricorrendo per aver lumi e libri, e di-’ rezioni, e il poeta, e il teologo, e l’oratore col matematico, e Io storico col filosofo liberamente istruendosi, e studiando, siccome poi tutti d’accordo dimenticavamo e stu-j dj, e istruzioni per rallegrarci festevolmente ^ con mille capricci, e scherzi, e guerre conversevoli d’ogni giorno, e più ne’giorni a ciò destinati della campagna e delle villeggiature, che anche gli estranei cercavano come le più gioconde, e più vivaci da lor godu-dure. A Modena son di ciò moltissimi testimoni, a’quali m’appello.
NOTA VII. L’invenzione ideile cose piti difficili che abbia la poesia; onde nella vita di Lodovico Ariosto si legge, che anche esso penava assai ne’ pensieri, e disegni poetici, i quali poi coloriva^fn maravigliosa facilità dopo averli trovati. Que’, che sono poeti per natura, hanno in se stessi le vene, e le miniere d’inventare lor proprie, e singolari, quantunque spesse volte noi sappiano, per non avere già mai voluto scavar nel sasso # sotto cui stava quell’ oro nascosto, e Io van mendicando da altri con 1’ imitazione senza valersi delle loro ricchezze, con le quali sarebbono essi medesimi d’esempio ad altri da imitarsi.’ Nè io qui per invenzioni intendo quelle dozzinali, che si cavano dall’inferno, slegando le furie, o i demoni per qualche impresa; o dalle dipinture che rappresentano le cose avvenire, o da canti delle nodrici, da’ sogni, da’ vaticini, da magie, e altri tali luoghi poetici già conósciuti, e da valersene spesse volte con molta lode, che certamente sarebbe orgoglio il voler ricavare ogni cosa.
dal dal fondo del proprio ingegno. Parlo di quel, le, che hanno i lor covili assai più riposti, onde per rintracciarle vi bisogna quel veltro generoso, che chiamasi furor poetico, il quale con giri, e raggiri qua e là scorrendo y Je fa sortir daJIe macchie, e dalle lor tane. Tal. per esempio quella delle anime de nipoti d’Enea da lui vedute ne’ campi elir sj lungo le rive del fiume Lete, che dopo
im giro d’anni prescritto doveano uscire alla
luce } onde il poeta prende occasione di celebrare le imprese più segnalate de’ romani, e soprattutto quelle d’Augusto, che gli stavan più a cuore. Il qual pensiero non poteva certamente cadèrgli in mente, se non per una gran ventura, che gliel presentasse senz’alcuna ricerca, o per una strepitosa caccia, che giugnesse col suon del corno fin dentro a quell’oscuro ripostiglio di filosofia pitagorica, onde uscì una fiera sì pellegrina. N solo in una lunga tessitura, ma talora in un semplice filo si scorge la forza d’un poeta inventore. Tale è per esempio quella vaga fantasia di Francesco Petrarca -, mentre ftnava Sorga per rivedere quella sua $1 cecelebre Laura, che gli sembrava d’averla negli occhi, e gli para veder seco donne, è donzelle ed eran gli abeti e i faggi, tra* quali teneva il suo caminino, ch’ei trasformava in volto umano con la forza, e con l’incanto del suo pensiero: e quell’altra ( s«ben mi ricordo ) in cui camminando pure verso colà lungo le rive del Rodano, s’immaginava che quel rapido fiume gli fosse compagno del viaggio; e perchè correva più i iui, lo invia Innanzi per messaggiero a re. car la novella del suo arrivo.... Le quali invenzioni semplici quantunque a taluno possano sembrar facili, alla prova però le troverà d’altro lavoro di quel, che forse a prima vista gli comparivano: accadendo in essa ciò, che appunto avviene sul clavicembalo a’ fanciulli, i quali agevolmente toccano i regoli, e fan risonare le corde, credendosi di rifar quel medesimo, che han veduto farsi da’ suonatori, nè si avveggono, che il ritrovar prontamente quei tasti, ctie sono a prò* posito per la musica, non può farlo, se non chi è inrendente, ed esercitato neli’ arte, Cev.ì V, hsm. NO NOTA Vili. Tutta è la natura obbiet* to proprio della poesia, onde il vero poeta aver dovrebbe una notizia universale di quanto allo spirito si appartiene, e di quanto alla materia concerne. Gl’ ignoranti poeti sono infatti per ordinario meschini copiatori j e non dipingono mai altrimenti, che copiando le vecchie descrizioni gii imitate le une dalle altre, le turbazioni del mare, che mai non videro, 1’ orror d’ un naufra.
gio, che non conobbero, le battaglie, nulla i sapendo di guerra, e parlano, che è più, di governo senza la menoma intelligenza di politica, de’costumi parlano e delle passioni senza studio del cuor umano. E ben riconoscesi la.loro sterilità ne’ritratti, che fanno della vita pastorale, la cui descrizione riducono ai fiori dei prati, al mormorio de’ ruscelli, al pianto dell’aurora, allo scherzare] de’venticelli, mostrando con ciò di non conoscere la campagna, se non quanto conoscono i giardini della città, poich’e non hanno giammai con occhio pittorico le scene diverse considerate, che il cielo presenta, e gli accidenti, onde sì vario, e mirabile è Io \ speu spettacolo dell’ universo. Chi vede mai nell?
confuse e caricate lor descrizioni que’ franchi tratti di pennello, che scoprono al vivo la natura, chi non vede anzi nel lor panneggiare pèrduto ogni vezzo, che non risarciscono con verun ornamento/ Nel che i giovin poeti peccano principalmente, i quali assai rare volte danno agli oggetti diversi que’gradi di tinta, e d’espressione, che sta lor bene; e confondono spesso uno stile con l’altro, dipignendo una danza dell’Albani col risentito pennello di Tiziano, e di Rubens. Bsrnis. Ragionamento sulla poesia.
NOTA IX. Quanti libri de’nostri antichi e moderni poeti si riporrebbon da un canto, se for chiedesse il lettore o pensieri, o immagini, o affetti non ripetuti e non triviali, conae li chieggono 1’ altre nazioni agli autor loro ? Se nulla han di nuovo non son per nulla pregiati. Or noi da cinquantanni che abbia m di nuovo in poesia principalmente} Chi può dire d’aver aperta una strada ? Qual è l’accademia, ove non domini la mediocrità, ove non si traduca e copi d’altrui ?
Forse lo stile delle notti d’ Toung, di Gesner, S 4 e d’ai-e d’altri stranieri venuto alla moda arriccili ■ l’italiano parnaso ? Chi il crederebbe, che’ avessimo già otto o dieci traduzioni diverse1 di cotai poesie tedesche, ed inglesi ? Chi non si sdegna a vederle encomiate in tanti giornali, e con sì poca intelligenza, sino a lodar le poco felici del P. Binda a fronte delle sì vaghe e sì sobrie del P. Soave, e degli abati Belli e Perini? Il milanese Perini scosse l’Italia col suo mattino e mezzo-i giorno veramente originali, ma sin ora egli; è il sol creatore, cui tosto copiarono alt:1 servilmente, se non vogliam contare tra le novità strepitose quel dramma intitolato il Conclave, che a nostra vergogna sì gran fremito mosse per tutto, o le commedie de’ tre aranci, dell’*«*/ verde, e altre simili che con maggior nostro, avvilimento sono portate al cielo dal sig. Baretti nell’ infelice difesa d’Italia stampata in Londra. In taf caso meglio c ancora far tragedie e commedie sul gusto del cinquecento alla greca, o sul gusto tragicomico detto piagnenre, ad esempio delle belle oinilie metafisiche del padre di famiglia, del figlio naturale, del Be’ B-vcrley, e di cento altre anglofilosofiche novita venuteci dalla Francia, e dominanti in su le scene d’Italia. Parma con si bei premi ed inviti dovea dare una forte scossa al teatro italiano; ma qual pezzo eccellente ci può mostrare ? Metastasio, e Guidoni, e Granelli, e Conti sono ancor tra contrasti.
L’oratoria sempre viva e fiorente può vantar forse un sublime esemplare? Piaccia al cielo che le prediche di yenini alfin ci consolino. Più ferace è stata la storia con quelle del Foscarini, del Decina, del Tiraboscbi, e questi due son per ogni nazione. Ma quant’altre son senza stile, senza criterio, senza filosofia? La pittura e scoltura, la musica e la danza, qual dà in languore, e quale in ¡stravaganze. So bene, che questo è un giro dei tempi, e che difficili sono le belle e nobili novità dopo tre secoli e più di coltura; ma pur bisogna tentarle, ed io debbo qui per ufficio invitarvi i talenti.
Dunque venendo ai particolari, ognun sa che parlandosi di novità s’intende più delle cose che dello stile, equivocandosi spesso in lai materia, e credendosi bello il non usato seri’ scrivere, e Io straordinario in versi o in prosa. Ma lo stil degli antichi maestri non può senza pericolo trasfigurarsi quanto alla so-’ stanza, e mai non sarà in fallo, chi segue M. Tullio e Livio per esempio, chi beve ai miglior fonti de’ greci, de’ latini, degl’ ita.
Jiani, a questi però infondendo gran parte’di quelli, il che non mancò al trecento, e al cinquecento. Guai chi volesse pur me*’, scervi a parer nuovo Io stil francese, o l’in<v, glese, od altro tale, ch’ei certo non giu-t gnerebbe alla posterità, o ne sarebbe abborri-ft to. Fe gran danno la novità dello stile a Serafino dall’ Aquila, al Geo, al Tibaldeo, poi al Marini, e a suoi seguaci, ed oggi al Genovesi, e a’ suoi da me altrove citati.
Lazar ini, Manfredi, e i Z anotti, e Muffe i; e Foscarini, e Frugoni, e Algarotti, e Pe-.
ri ni, e Granelli, e Rossi, e Varano, e non^ pochi moderni in verso e in prosa, benché tutti diversi, pur tutti bebbero a tai sor.
genti. Non parlo d’altri più giovani autori a noi troppo vicini.
Or l’altro genere di novità, che richiede, si per non essere imitatore serviie, ma crea, tore, tote, poeta, pittore, e musico, ed oratore, ella sta nelle immagini, e ne’pensieri. E qui tornasi senza volerlo all’elevazione, ed all;t visione, che son gli arsenali dell’invenzione, e della novità. Le sublimi ed inesauste ricchezze della natura studiata in grande, dei gran maestri Antichi, ecco dove troviam la grandezza dell’anima, e della immaginazione creatrice. Omero trovò colà quel suo scudo ammirabile, che Ovidio chiama il compendio dell’universo, e di cui fu sì degna copia quello jl’Enea, oltre a quel d’Èrcole in Esiodo. Ivi immaginò Virgilio la discesa all’inferno d’Enea, dalla qual trasse quel pellegrino pensiero della storia di Roma e d’Augusto, e l’abbellì poi nell’ottavo libro facendo segnare ad Evandro il sito di Roma e il Campidoglio. Dove, se non colà poteva Ovidio inventare quella sublime trasformazione d’ Atlante in una montagna ( 1 ), che fu C ’ ) Quant us erat vions fatfus Atlas, nani barba, com/eque In silvas abetmt, juga sunt humerique, ■/¡rianusque. Metamorph, 1. 4.
fu sì bene imitata da un gran poeta Trance, se oggi grande ministro e cardinale? ( 2 ) Seppur non vengono l’uno e l’altro da quel quadro immortale d’Omero, in cui dipinge 1 le ciglia tremende di Giove, i crini ondeggiaci in mille anella 3 che lentamente s’av’ volgono alle sue tempie, e la maestà coti -* cui scuote l’Olimpo, spaventa gii Dei cc. 3 pittura che sembra aver sempre davanti Vir, f gii io, e che secondo Microbio diè norma a Fieiia pel suo Giove Olimpico, ed io credajH la diede a Mose di Michelangelo, a quel di.
Annibale Caracci, alle figure tutte di sovru- \ mafia grandezza. Come dal cielo, così dall’ * inferno de’poeti vennero i più gra:i pensieri, e il provano que’di Virgilio, di Dante, del Tasso, di Michelangelo (ove è più nobile) e il quadro di Polignotto, e la calunnia di Apelle descrittici da Pausania, perchè degni J insin d’allora della immortalità. Se i nostri poeti leggeranno gli antichi, se r nostri pit-’ tori (2) Poeme sur l’irreligion. Veci Mercurio di Francia — Il sistema dell’ empio Spinosa ivi è fatto un personaggio.
tori disegneranno l’antico invece di far sonetti per nozze, o canzonette per tavola e per teatro, invece di far de’ritratti a pastella, de’ soprusci, de’ cantonali di gabinetto, che sì che troveranno del nuovo? Bisogna prima raccogliere materiali, arricchir la memoria, addestrare la fantasia su i chiari esempli e ciò per molti anni, traducendo, imitando, emulando i più bei tratti di poesia e d’oratoria, modellando e copiando schizzi di mani, di teste, di panneggiamenti dal naturale, studiando il nudo, e la figura umana co’suoi puri contorni, colle proporzioni corrette, con giuste positure, non mai stanchi del lapis, che è la grammatica, poi la rettorica de’pittori, e così dalle parti salire al tutto d’una descrizione, d’un poema, di una tragedia, d’ un’orazione, d’ un quadro storico, d’ un gruppo e d’ un getto, allor vengono le invenzioni, che non son poi altro che comparazioni e combinazioni. Ma sinché ci perdiamo a dir frasi. gonfie o ricercate, a trovar rime difficili, a cucir del dantesco, del boccaccesco, del petrarchesco, oppure a pennelleggiare con tinte te vivaci, a mostrar sera e velluto lucente, a far volare un velo, a ricamar manichetti, e drappi (sian pur veli e ricami di statue di marmo ); in verità sarem triviali e plebei, copisti e manuali, e buoni pel volgo, che ammira una bella barba o parrucca, in cui si contano i peli, che fermasi al porco di S. Antonio, al gatto del Petrarca, ai cavaili ed ai cani di Paolo e di Battano. Per farci inventori tratriam co’nobili oggetti ed esemplari, come s’impara coltura e gentilezza trattando con gentiluomini e dame, e fug.v gendo la plebe;. con le bellezze e le immagini di Didone, di Venere, di Laura, con ler madonne di Vinci e di Rafaello, co’bambin di Correggio tentando quel quadro, e quella descrizione mettendola a fronte della loro,’ interrogandoli, e correggendoci col loro esenv pio e rimprovero; soprattutto colla natura* nelle viste campestri, nelle fisonemie delle’’ passioni, negli orizzonti, nelle nuvole, nei temporali come il gran Leonardo faceva, e sino in mezzo alle burrasche del mare, quando più infuria, come Verneto tra i marinai che tremavano al gran pericolo, diceva assorto, | to, oh belio, oh magnifico ! Ciò ripeto io volentieri, ma ricordo insieme d’animar rutro colla passione.
Or senza tai paragoni, e tali studi no» credasi dunque poter giugnere al nuovo, all’inusitato nelle bell’arti, e quindi all’ eccellenza. I giovani specialmente siano ben persuasi, che non prendesi per assalto questa fortezza posta in sull’alro della immaginazione, ma sol con lungo ed ostinatissimo assedio, che nascono l’ali poco a poco, che anche i rari talenti fecero lunga strada e di-< rupata per arrivarvi, e che non è vero che più non ne nascono, come si dice dagl’ ignoranti, ina bensì che non si vuole aver pazienza a far le penne prima di mettersi a volo. Guardinsi adunque dalle lusinghe dell’ amor proprio poetico, che ì: più d’ogni altro credulo e mentitore, quando lor dice per qualche sonetto, o sciolto, o poemetto* che han fatto del nuovo e del mirabile * che approdarono a spiaggia incognita, che volarono sulle sfere, se pratici si faranno de’graa modelli, vedran che ripetono, che sono ai basso, che restan sotto di molto, e lontano d’as-d’assai da’navigatori > e volatori, cioè dai creatori, e maestri sublimi.
Nè credan per ultimo, come udj dirlo, che basti nascer poeta secondo il proverbio,; per giugnere alla gloria della creazione e novità. Mi si citava l’esempio di due miei amici e familiari Frugoni e GrandL, due veri genj in poesia, privilegiati di spontaneo entusiasmo, che crearono infatti nuovi stili!
bellissimi nella lirica e nella tragica, onde ancor giovani trassero a se la stima delle j città, e de’letterati maestri in quelle. Mai dee riconoscersi a un tempo la doppia scuo-i Ja eccellente ch’ebbero entrambi, interna P una, dirò così, de’lor confratelli, e del magistero, ch’esercitarono ammaestrando la gioventù su i classici antichi e moderni, l’altra esterna nella conversazione de’più chiari scrittori di Padova e di Bologna. Vero è che Frugoni uscito nel mondo vi trovò assai distrazioni, e poco studio, non tenendo seco fuorché Orazio e Cbiabrera, e cercando al bisogno in prestito i libri, come il provali molti viglietti che serbo tra le sue lettere. Fu quindi eccellente nelle canzoni oraziane, zSane, che di grazie s’appagano, di bei co^ lori, e d’armonia, delie quali a prò de’ gio, vani diedi io due edizioni in Milano nel 1755. e in Verona nel 1762. scegliendo le più opportune. Con più studio il vidi comporre gli sciolti, cercando le ricche immagini, e le dortrine ancora, de’ quali però mandai a Venezia que’che leggonsi nella nobile edizione del 17SS. e aspettiamo con impazienza la nuova superbissima di Parma con tutte l’opere sue. In quelle ben chiaro appare, che la natura non solo, ma un’educazione felice il fe gran poeta, e più dove pose più studio, e meno ove troppo abusò di sua vena feconda. Quanto a Granelli io ne parlo abbastanza negli elogj da me premessi agli ultimi tomi delle sue sacre lezioni, le quali colla predicazione l’occuparono in altri stud;; ma le poche di lui poesie rimasteci provano assai e la facil indole insieme, e 1 eccellente coltura di quella, massimamente nelle tragedie in così giovane età condotte a tanta bellezza e perfezione.
NOTA X. Michelangelo, Raffaello, Vinci, Frate Gioconda, Baldassare, Peruzzij Tomo IV. T Bw-Bramante, Giulio Romano, Antonio, e Giulio da S. Gallo, Falconetto, Sansovino, Sanmicheli, ed altri furono tutti, e ciascuno al tempo stesso pittore, scultore, architetto, incisore, macchinista, ingegnere, e talora, poeta e scrittore a un segno pregiato, come nel risorgimento dell’arti, e scienze in Ita-; lia dopo il mille dimostriamo. Combinasi» in questi tempi la protezione de’ principi » che aprono il campo alle arti con ville, palagi, macchine, feste, spettacoli, venuto il buon gusto a quel segno opportuno, che di-’ i rige gli artefici, ed e da loro perfezionato.
Veggon essi l’opere de’compagni, il principe premia, nasce l’emulazione, ed ecco, tutti si destan gl’ ingegni di cotal tempera a quel suono di laude, di magnificenza, di esempio; sorge una gara tra loro, che tanto giova al progresso d’ogni valore. Succede,, e previene, o accompagna l’urbanità, la* coltura, la pace, ed il lusso che uniscono le persone, legan gli animi, fermentan le nobili passioni, e talenti, conciliano i sessi, e 1« patrie, e quindi sorgono chiare imprese ogni giorno. A! contrario la barbarie dei po-popoli sfa ni! vedere in guerra e in discordia, in solitudine e diffidenza, nell’ozio <2 nell’ignorala, sia per disagio di clima, o per sito, o per educazione selvaggia, o schiava. Così i settentrionali furo» barbari lungo tempo, così il sono gli orientali; fuorché i cinesi, che potrebbono fare un quinto secolo d’ oro più esteso di tempo per; le arti, ia pace, le leggi, sebben rimasto per altre ragioni in infanzia, che qui non han luogo; mentre greci, romani, italiani, francesi hanno scorse tutte l’età, e giugne alcuna alia decrepitezza, onde poi torni a rinas:ere. Ma chi potrebbe dir quali rivoluzioni porterà un secolo, come il nostro, che dà segni di novità portentose, né più vedute ne’secoli trapassati ? Qual potenza prevalere, qual libertà, se l’equilibrio o il disordine, se il mare o la terra, se ia sapienza o il furore Usciranno da una fermentazione sì generale, che in parte si cova nel centro, e in parte potrebbe scoppiare dal!’ estremità J So, che gli uomini per la via dell’ignoranza divennero fiere, e norré dimostrato, che non possano divenirlo per !a via de! sapere.
„ Cer-Ceno è che dagli sressi mezzi, e princit j pi di socievolezza, di lusso, di studi, siccor -, me formasi il gusto, e si moltiplicano i prò-.] di talenti, nasce anche la lor decadenza per 1 la stessa moltiplicità, ed abbondanza, che j degenera in superfluo, e divien cosa volga- jj re, e crea sazietà, sicché volendosi pur del l piacere, cd essendo a quel necessaria la no- 9 vita, vassi a cercarla fuor de’ giusti confini, | e ne vengono corruttele d’ogni maniera. La 1 na/ione migliora, ma il grande uomo è ra-ifl rissi ino.
Talora un sol uomo cambiò il suo secolo, h e il volse al buon lato, e fu sempre alcuni] genio sovrano. Questi sono a così dirli tanti Richelieu, che mutati^ faccia al sistema predominante colla forza del loro entusiasmo, (1 levandosi sopra il lor secolo, i pregiudicj, ì compatriotti, ed aprono nuova scena. Par^B ve, che la possanza di quel gran genio in abbattere i prepotenti privati, togliendo le sedizioni e la licenza si derivasse da lui anche nel letterario governo, in cui volia dominare del pari colla stessa risoluzione, ed autorità. Così nel politico il principe di-viene assoluto sovrano, e nel letterario i!
grande ingegno acquista coraggio, e credito primo, quando il volgo insolente de’piccioli autori non usurpane più quella parte di maggioranza, nè più fanno le sedizioni, e i disordini del lor governo feudale.
NOTA XI. L’altre autorità e monumenti de’genj, è quel loro proprio di fissare le lingue prima di loro vaghe, ed incerte, dopo loro immutabili, ed universali. I poeti son sempre i primi a perfezionare le lingue* almen quanto i prosatori. Erano i soli a principio, che nel’’volgare scrivessero, del quale son versi i primi saggi, che abbiamo.
Dante è il più benemerito di sue ricchezze, come Petrarca di sue bellezze. Se si eccettua, dice il sig. de la Monnoye all’abate Conti, l’arte del periodo, la lingua dee ai poeti una gran parte de’suoi ornamenti, e vantaggi. In fatti le frasi, che bisogna cercai per ristrignere entro certa misura il pensiero, 1’ espressioni sublimi, che bisogna impiegare, ed alcuna volta creare per allontanarsi dallo stile prosaico, la quantità de’ termini, che bisogna nell’animo {{Pt|quasi passare in mostra, per ritrovarne de} convenienti-alla rima; in una parola le difficoltà del verseggiare impegnati coloro, che alla poesia si danno, ad uno studio particolar della lingua. Quanto a noi, non può dirsi, che sia fissata la nostra, e forse per non essere sì raqcolti i nostri popoli, e gusti, o per non aver forse avuto un legislatore di prima sfera. La nostra lingua, dice ottimamente il conte Algarotti, è in parte ■viva, e in parte morra. La morta c quelia de’nostri antichi, che sebben nazionali, e vicini, pitr sembrano d’alta nazione, e di Antichissima età, poiché tra loro e noi fu, rono gran vicende di lettere, e d’arti. Perfezionata da Dante, Boccaccio, Villani, Petrarca, e da loro seguaci del 1500. non fu però fatta comune a tutta l’Italia, ma i soli studiosi, e letterati, non tutte le ben I educate persone, e ben nate, nc le donna infra l’altre, benché si amanti di storia, e di poesia, e almen di commedie, e tragedie, e novelle, e romanzi, non leggono, e non intendono quegli autori, sicché per loro ben dir si possono quasi greci e latini, o } stra* rieJ.-nieri. Resta dunque a fissarsi la lingua viva, ed a farsi universale ad uso di rutti, come comincia da qualche tempo. Il genio a ciò far destinato sembra essere Mstastasio.
E’ ver, che la lingua, e i libri francesi han ritardato il progresso del nostro linguaggio; ma forse han giovato, destando il gusto di leggere cose intelligibili a ognuno; han disingannato molti dalla superstizione verso i nostri maestri di lingua morta, i quai volevamo, che avessero fatto tutto, e hanno sgombra la strada di molti impacci e sterpi.
Che se v’ha ancor gittati de’germogli non propri al suolo, e dell’erbe non utili di frasi straniere, e parole, già si riconosce oggimai P affettazione; c presto si biasmerà, come un falso ornamento, che guasta il fondo ricco di se medesimo. Intanto però le storie presenti si leggon da tutti, e da tutte, e molt’opere scrivonsi con ¡schietta eleganza, chiarezza, e speditezza, non cercandosi più que’ periodi, quell’insipida battologia, que’vezzi ridicoli, e puerili di boccaccevoli modi, e di toscani idiotismi.
Alcuni temono d’altra parte, che il noT 4 stro stro secolo dia nell’estremo contrario de’nostri antichi, parlando un linguaggio troppo forzato., e magro, per fuggire la loquacità, il qual prenda le formole della geometria per amore di precisione. Il progresso del filosofare trae seco un, siffatto gusto di scrivere, e sempre è difficile tener il mezzo, e coglier nell’ottimo. Ma di ciò più chiaro potrà parlarsi nell’ opera intiera sopra il nostro argomento, se questo saggio ne possa ispirare coraggio col favor pubblico, ben vedendo ciascuna con quanta circospezione, e in quali circostanze sia scritto, che sono legame, ed inciampo ad uno scrittore. La novità solamente può metter giusto timore,, la quale perchè non sembri una vana mia pretensione, aggiungo per ultimo.
Chi bramasse sapere con dottrina più magistrale, e scolastica quanto può dirsi, e fu detto sull’ entusiasmo dagl’ italiani, leggaj l’abate Quadrio, che di stile, d’ingegno,. e d’ erudizione ricchissimo ne trattò nell’ opera sua della storia, e ragione d’ogni poesia-.
ex professo. Per metterne voglia, qui ne porrò il ristretto, perchè veggasi in lui tutto-ro ciò, che noi non abbiam detto, nè avremmo saputo dir meglio, nè creduto abbiamo conveniente di appropriarci, o di ripetere in nuovo libro.
Toni. 1. dist. ut. cap. x. Dove le cagioni efTetrrici della poesia si spiegano, le quali si determinano a tre, cioè a natura, ad arte, e a furore.
Cap. 1. dove si prende di per se a parlare della natura alla poesia ricercata.
Patt. 1. dimostrasi, che le abititi non sono in tutti le medesime, onde queste derivino; per- occasione di che del temperamento si parla, e conchiudesi, che ogni facoltà un temperamento particolare richiede * Part. li. dimostrasi qunl sia quel particolare temperamento, che alla poesia è richiesto. Provasi costituirsi esso principalmente dell’atra bile predominante, come che ancora da alrre cose, e per ultimo i segni diagnostici si annoverano, onde scoprirlo.
Pan. in. dimostrasi quali sieno que’mezzi, che ajutar possono il temperamento alla poesia richiesto; dove dell’aria, de’cibi, e d’altre cose si parla.
C*p.
- Cap. ii. dove si prende di per se a ragio.
nare dell’ arte alla poesia ricercata.... ec.
Cap. ni. dove si prende a parlare del furore, o entusiasmo alla poesia ricercato.
Part, i. dimostrasi darsi veramente il fu.
rore poetico, poter esso da più cagioni prodursi, cioè da cagioni sopra natura, o da cagioni secondo natura: in che consiste il furore da naturale cagione prodotto: del quale si prende unicamente a parlare, e quante.siano le maniere di eccitarlo ec.
Qui siegue lungamente il Quadrio, dicendo poter eccitarsi mediante l’immaginativa, le passioni, la musica, e il vino. Poi paragona le tre cagioni alla poesia ricercate, cioè natura, arte, e furore, come ognun pub ve dere nell’ opera sua.
Possono vedersi ancora la forza della fantasia del Muratori, le dissertazioni del sig.J abate ¡VincheIman, del sig. Sultzcr, e gli1 articoli cnthou si asme.... poesie ec. de’ più celebri dizionari filosofici de’nostri tempi, oltre gli autori citati altrove da noi.
NOTA XII. Uomini per Io pii.1 amabili, e cari, e naturalmente pacifici, e virtuosi ec.
di-dicemmo qui sopra. E inerita d’osservarsi, che niun uomo di lettere gran genio, ed il’ Jusrre ci presenta la storia, leggendola sinceramente, il qual le abbia infamate con at.
tentati, o dottrine sediziose. Mi fu messo sospetto del Testi poeta di vero entusiasmo che morì prigione, e fu volgarmente credu.
to ribelle, e congiurato contro il suo principe. Ma per non dubbie notizie nel suo stesso paese trovate posso affermare non esser lui stato colpevole, che d’imprudenza, sicché il suo sovrano già stava per rimetterlo in grazia, se la morte uon si rapiva un sì pregiato, e raro talento. Macchi avelli, Bacone, e qualche altro metton forti sospetti di lor probità, e certamente trasportati che sono in mezzo al vortice della politica non può farsi di loro un augurio felice, perché trasportano fuori del centro il loro entusiasmo. Ma quelli, che vivono coltivando gli studj tranquilli, sogliono veramente essere umani; ed é una sordida malignità, che gli accusa, e per qualche tempo accieca se, e gli altri per rendere odioso il lor nome. Ma j come ogni giorno riconosciamo, SCO-scopresi dalla storia l’inganno, e gli accusatori sono essi odiosi, e spesso derisi dai!» posterità, quanto più si vestirono di gravità, di zelo, di filosofico manto Cavanti al lor secolo. Potrebbesi fare un libro ancor migliore di quello di Pierio Valeriana sopra 1’ infelicità eie’ letterati.
Non posso almen negare alla nostra lingua l’apologia vivissima d’ un celebre e originale autor francese, che dee piacere agli uomini di lettere poco felici s s II bello scudo affé fan nel mondo i buoni costumi a ribattere le saette della calunnia ascosamente avvalorata dagli emoli accreditati, malefici, e insidiosi ! Ove la scelleratezza sa quello trovar d’Ajace, la nuda innocenza non ne trovi inai altro, che quel della negativa, e delle lagrime. Siate quanto volete irreprensibile,.
la perversità giurì) la perdita vostra pensatamente, forse per suo solo piacere ( chi ’1 crederebbe ! ), forse solo per osar suo talento, e tanto basta; ella ne diverrà più ardente, e più accorta a drizzarvi contro Je macchine sue. Ecco scoccano già i suoi ordigni.
Vediam ciò che può fare a prò vostro quel/’ in-innocenza stordita, non posta in sospetto, a in difesa, e men usa mille volte nell’arte di schermirsi, che non è il delitto, e quel che è peggio ancora ignara il più spesso dell’ accuse appostele nel punto stesso, che viene infamata ed oppressa. Il tempo, sia pur vero, svela in fine la verità. Siete redintegrato voi, e la memoria vostra? Va bene, benché sempre un pò tardi; ma frattanto e quai mali non sofferiste voi sino allora, e come hanno i vostri carnefici saporitamente gustata la vostra afflizione? E non resta lor forse per consolarsi della giustizia, che a voi si rende l’occulta e dannevole compiacenza di lasciarvi scritto sul ruolo de’ processati ?
II saggio, il filosofo a questo passo vi grida; e che v’ importa ? Soggiugne cose su ciò maravigliose: Dio buono ! Il saggio vede le cose ben più da lontano di quel che io sotto il peso dell’afflizione non le sento. Io ne attesto quelle vittime riconosciute senza macchia alfin d?una vita trascinata nell’umiliazione, quando i loro persecutori trionfan» ti n’ alzavano più orgogliosi la fronte, -ed il sopracciglio, Che sarà dunque di voi pove-vero innocente ? ec. — “ Vedi Piron Preface.
Un altro poco diversamente scr.vea su la misera condizione de’letterati pe’lor mece-* nati: E quale ammaestramento può illuminare que’ protetto: subalterni, che il sono per sola vanità, che fan vanto d’ esser, sensibili, che rendon vile quell’infelice cut beneficano, che gli fan bere la feccia della beneficenza, pagano gli adulatori, dan pensioni agli schiavi, comprano vittime, e quasi giustificherebbono l’iugratitudine, di cui soli talora cagione, se potesse scusarsi il più odio, so di tutti i vizi > Tra la più orribil miseri ria, e la protezione a’ un’ ignorante non si dee star in forse un sol momento, perché l’infortunio t un nulla a petto dell’ umilia-.
zione, ed è l’avvilirsi, come un lento morire, che neppur lascia all’anima la consola-.i triceidea di credersi immortale, e quindi af->. 1 fermo, che l’orgoglio, che è il vizio della ^ prosperità, è o dev’essere la virtù dell’uo-.jj mo infelice. ~ — Vedi Bar at Tom. i.!
p*g. 387.
NOTA XIII. Intorno al 1450. erano {{Pt|fati gli antichi ciecamente, perchè allor divenuti colla stampa comuni, e non essendo ancor ben intesi, comentnvansà letteralmente per farli chiari tra la discordia, e l’oscurità de’ manuscritti varianri, onde traevansi. Non si facea passo fuor di lor’ orme, tutto era perfetto, perchè antico, e perché oggetto di studio, e di fatica. Non si fàcea però ancor differenza tra Livio e Svetonio, tra Virgilio e Claudiana, tra Marziale e Tibullo, perchè tutti antichi, e non ben conosciuti. Letti ed intesi alla fine si gustarono poco a poco, si trovarono di diverso sapore, si posero al loro luogo, e si preferirirono alcuni senz’adorarsi poi tutti. Le bellezze scoperte negli uni fecer meglio vedere i difetti negli altri, e in poco meno di cinquantanni fin) la superstizione. Questa nulladimeno risorse, quando al principio di questo secolo per fuggire I’ estremo del gusto cattivo, si diede nell’ altro di condannare irremissibilmente tutt’i poeti, e gli aurori, che non fosser del secol d’ Augusto; onde questa servile, e pedantesca esclusione tolse » molti ingegni preclari le forze d’ alzarsi } da ter-terra coll’indole lor generosa, ritenuti essendo nell’ umile studio incessante di una lingua pura, di uno srii aureo, di parole di■!
crusca, giacché lo stesso ossequio ai nostri i maestri di lingua si volse. Ma questo eccesso nocque al pensare, e all’inventare; e si giudicarono buoni gli autori per sola grammatica, 0 piuttosto per cronologia, come sij fa del merito delle persone tra noi, che dall’l albero antico di lor famiglia misurasi, e con titoli, o feudi distinguesi, non co’ pregi de» la probità, della fede, de’ servigi al pubbli-, co, e della virtù. Noi siamo forse rispetto a Dante e Pctnrca, ed ai primi esemplari al miglior punto di vista, Ornai si pub dire, che se gustiamo i lor pregi j sappiamo perchè, né siamo idolatri, quando alziamo un altare a un autore, siccome non siamo, fanatici atterrando gli alzati ridicolosamente ai Cnittoni, a? Jacoponi, ai Butshielli ec. 1 NOTA XIV. Quest’espressione è stata tacciata di superbia, onde panni dover propor mia ragione. Sempre infatti mi parve strana una difièrenza tra gl’ italiani, e gli stranieri venuti a cultura di studi. Danti, o tro somigliante, e di più in bocca a una dori, na: II vapore del mio sangue ingrosserà l& folgore, c.be Dio t’ten pronta a fulminarti, e cento altri siffatti, che noi condanniamo ns’ nostri seicentisti, regnarono da principio colà sino a corromper lo stile del gran Cornelio con quel di Lucano da lui preferito a Virgilio, e giunsero or più or meno sino al 1654. infettando l’opere tutte francesi, poiché sino a quell1 anno, dice Voltaire, non vi fu libro in Francia scritto di buono Stile (1).
Lo stesso pub dirsi de’primi scrittori dell’ altre nazioni, per quanto ne dicono i loro critici più famosi, mentre i nostri siccome, i greci, e i latini cominciarono dalla rozzezza sì, dalla semplicità, e questi e noi dall* imitazione, ma senza affettazione d’ingegno, e d’acutezza, senza falso, senza enfasi, senza sforzo, che tra noi venne sol dopo tre o quattro secoli. La sazietà, il lusso dell’ ar(1) Du Style... altrove... Du Bel Fsprit confessa un tal difetto de’primi poeti francesi all’ uscire della barbarie.
ti, I’ ?.inor della novità, 1’ esempio degli stranieri condussero alfine i! seicento, coma avvenne iti Grecia, e iti Roma, e può dirsi, che in quella depravazione noi veramente abbiam superare tutte 1’ antiche, e moderne, quasi verificando, che più forte, e mordace aceto non viene quanto dal viti migliore.
Questo vino è quel che parmi per tanto il naturai gusto d’Italia nelle beli’arti, onde affermai che la corruttela non nasce in lei spontaneamente. Mi si facciati vedere di cattivo, e di falso gusto Dante, Petrarca, e gli altri, o di sano e buon gusto i maestri dell’altre letterature > ed io ridirommi.
Ma sin tanto che veggo e il trecento, e il quattrocento, e il cinquecento in Italia, e benché tra molte vicende di gusti, e di stili, benché con difetti, anzi vizi di prose, e di versi, peccar nondimeno.più tosto iti mediocrità, mancar d’invenzione, di sublimità, di fòrza, 0 d’altro, ma non mai deturpar la natura, affinar l’arte, dar nell’ arguto, nel tronfio, nel puerile a forza d’ingegno mal collocato, esagerato, falso, incoerente, ciarlatanesco, in che consiste la ve-^o3Noti.
vera barbarie in letteratura,- io dirò sempre, che un privilegio è questo d’una nazione sopra dell’ altre, e eh’ ella naturalmente ha miglior indole per imitar là natura con fedeltà, con verità, con quella grazia, e delicatezza, che la ragione approva ed ama, e che tosto o tardi è riconosciuta per. 1’ unica, e vera da tutte le colte nazioni. E per ¡sfuggire i contrasti soggiugnerò quanto a’ francesi, che io parlo principalmente di poesia, non sembrandomi tale quella de’ l’Ulon ’, de’ Chartier, de’ Giovanni de Meun, e d’ altri simili prosatori in rime, come furono i nostri Guinicelli, e Jacaponi, e G bit ioni d’ Arezzo, che non dirò mai poeti. Ma parlando di storia eziandio, d’eloquenza, o d’altro, i nostri primi storici sono di gusto sano, come i nostri oratori, e predicatori, che quantunque sino a Segneri fosser tutti meschini, pur non mai giunsero alla profanazione de’ MaiHard, de5 Mcnot, e degli André nel gusto insieme, e nel decoro della sacra eloquenza.
Sappiam pure i meriti rari della signora Nauber-, che tentò di purgare, e in parte vi ria» £ fi asci.co! sig. Gotschsà poco dopo il teatro tedesco, poi molti ne furono benemeriti col sig. Lessing, per nulla dire degli Staller, Gellert, Gesner, Klopstok, Zaccaria ec. Ma nulla forse più pruova il diverso gusto delle nazioni, quanto 1’ opere più famose, e più belle di questi. Già ne femmo un cenno alfin della novità. Or dobbiamo riconoscere in ’oro dopo i Copernici, i Ticoni, i Leibniz), i Voìfii, i Grozj, i Puffeadorfii, e tant’ altri scienziati preclari anche de’letterati, che coltivali la lingua, e la poesia principalmente da pochi anni, e scn presto divenuti famosi per un parnaso, e teatro germanico.
Son tradotti in francese, e in italiano a gara, e son gustati come ìm frutto novello, una moda, una novità straniera. Certo ingegno, ed immaginazione non manca a quell’ opere, ed anzi fa maraviglia secondo i pregiudicj la loro dilicatezza, e grazia singolare. Mi spiego: l’idea del lor carartere bellicoso, e un pò feroce qual sin da Tacito è sempre venuto a noi nelle storie, la forza e durezza de’ corpi, il vendersi come gli Svizzeri anche gli altri al mestier della guerra sot-sotto le altrui bandiere, i lor costumi, gl?
abiti, ed il linguaggio facea stimarli quasi nati all’armi, e alla fierezza prepria di quelle più che ogni altra gente. Or come dunque son più d’ogni altra scrivendo placidi, e molli sino al languore, all’uniformità, alla minutezza ? Questa forse non dee sorprendere, essendo usata ne’ lor lavori dell’ arti di mano, come in opere di paesini, di ritratti, di miniature, di chiaroscuri diligentissime e pazientissime al pari delle lor filagrane, macchinette, orologi, e arabeschi in metallo, e in legno, e in marmo, in che son famosi. Ma come poi nel poetare trasportino questa pazienza, e minuzia con s) poca invenzione, sì poca forza d’entusiasmo, e nerbo d’eloquenza, e vibratezza ed anima, ciò sembra più strano. Parrebbe eh’ essi dovesser più tosto piegare al robusto, e al conciso, dar nell’esagerato, nell’irregolare, nel fiero, e invece s’aggirano tra pensier dilicati, in lunghi discorsi, in immagini naturali e semplici, o in idee metafisiche ed affettuose, tornandovi, ripetendo, e sminuz.
zando le circostanze, e le minime variazioni NOTF’.JI* jn degli oggetti, e degli affetti ne’ poemi li» rici} tragici, ed epici. Ecco ciò che par nuovo a chi gusta Virgilio, e Orazio, Ariosto, e Tasso, che variano le lor pitture, intrecciati gli affètti con quadri, con similitudini, con voli e rapimenti, e ^an limitarsi al bisogno, troncare il filo a tempo, lasciar desiderio, sparger ombre, e non finire, e dir tutto per riuscir meglio all’ interna. Quante cose son grate appunto per ciò all’ ingegno ed al cuore, quante vengono a noja per contrario, allorché sono sommerse in parole, e nell’ uniformità annientate ! Luciano sembra aver parlato di un cotal gusto, gridando agli scrittori del suo tempo altamente — non vi lasciate sedurre a dir belle, ma vane parole, ov’ è bisogno di sobrietà, d’ ordine, di chiarezza. Il rroppo è il maggior nimico del bello, e l’affettazione d’infiorar tutto, il guastano per soverchi ornamenti. Vedere l’arte V Omero, che scorre velocemente nelle descrizioni di Tanta/o, di Tizio, d’ Is siane.
Se n’avesse parlato lussureggiando, come fecer Partenio, Lufor ione, e Callimaco, mai pon finiva a portar l’acqua sino a’labbri di V 4 Tan-Tantalo. Quanti versi voleaci a dipigner la ruota d’Is si one ! Mirate Tucidide, come avaro c di parole. Nelle sue descrizioni delle macchine militari, degli assedi, del porto di Siracusa v’ ha egli nulla a levare ? Ma poi non sì breve è il racconto della peste e dello scempio fatto per quella. Pur la varietà considerando de’ multiplici obbietti, vedrete essere necessario, che il corso dalla rapida penna sia fatto ivi piti lento, e più posato — Così Luciano, che parmi parlare a’ tedeschi poeti, pe’ quali inoltre soggiugnerebbe in suo linguaggio un cenno della monotonia, che diviene misantropia per una cotal tristezza sparsa per tutto, onde tutto illanguidisce, e stanca, e cruccia un’ anima italiana disposta naturalmente, come le greche, e le latine, a gustare nei versi la giocondità, la grazia, la vita, che in quelli cerchiamo a sollievo dell’altre noje, c che ne’francesi ritrovasi un pò troppo cercata, e in tante lor poesie gittata a man piena, volendo ridere il più che ponno. Veniamo a qualche esempio sul gusto alemanno.
Per quanto il sig. di Bielefeld ci mostri {{Pt|¡progressi del teatro tedesco, e ilsìg. Lessing sia stimato per Sara, Sampson, Minna di Barlehem, ed altri drammi; il sig. IVeis per Giulia e Romeo, e i signori Gellcrt, Vicland, K/opstok, ed altri per altre opere teatrali; pur per qual nazione soffrir potrebbe l’insipidezza delle commedie de’ Giudei, e del Tesoro, benché d’un sol atto, dei Matrimonio, e del Vigliato del lotto, benché in cinque., ed altre tali, che sono stampate e gustate dalla nazione tra le migliori ? Sono spesso conversazioni, dissertazioni, dicerie accademiche non certo per noi teatrali, benché v’abbia di belle scene. Così nel Messia, e in altri poemi qual vacuità d’ azione, qual uniformità soporifera, qual metafisica e teologia, quai personaggi degli angeli e de’ demoni con Dio, col Verbo, e co’ misteri della grazia, della predestinazione ec. Milton loro esemplare é però più ricco, più grande, più ardito inventore di sublimi immagini, di forti pensieri, e se ha più stravaganze, ha più bellezze e varietà eziandio. Qual cosa più languida del poemetto di Kleist su la primavera ? Ma di ciò basti, e } confessiamo in-intanto, che se ii freddo clima raffredda mol?
ti poeti; Halltr però noa è freddo, e che son delicatissimi gl’ Idilj d’alcuni, e il poema dell’ Abele, ed altri tali Anacreami e Tcocrii: settentrionali. Ma perchè mancano di Sofoc/i, e d’ Omeri, di Pinduri, e di Calli, machi ? Diranno a noi, che un Petrarca non può soffrirsi o almen gustarsi in Germania ?
E ciò prova appunto, che v’ ha un gusto di clima, e che ogni suolo ha de’ frutti suoi proprj, che non piacciono, o non nascono altrove. Perciò i meridionali h.m più sentimento, più fuoco, più fantasia sino dai Tro.
badori Provenzali, Guasconi, Spagnuoli, ma forse troppo. I climi temperati di Grecia, c d’ Italia fanno i frutti perfettamente saporiti. Ma che diranno l’altre nazioni ? Un italiano poi lamentasi un poco de’ tedeschi, negando lor quasi quell’ attica urbanità, che le lettere ispirano a tutte le nazioni gentili.
Perdoniam loro la scelta de’ nomi ridicoli nelle tragedie di scena italiana, come è quell* ’Emilia Callotti, ( bel titolo di tragedia ) col sig. Martinelli, la contessa Orsina ec., ma tome soffrire l’infamie, che attribuisce il Les-, Lessing in questo dramma agl’ italiani, e i rei costumi, che pone in teatro per educare Ja gioventù ? A tal fine fu tradotto in latino per uso de’ giovani studenti, e rappresentato nel collegio di Celles, ed ivi poi stampato nel 1775. Vero è che un tal plebeo gusto inverso l’Italia b pur d’ alcuni francesi, che pretendono dar legge all’ Europa di gentilezza. li sig. di Belloi nel suo Gaston de Foix macchia l’onore dellé famiglie Avogadro, e della Rovere sì antichi ed illustri anc’ oggi in varie città, come il Lessing, la Gonzaga, I’ Orsina, e 1’ Appiana attribuendo a que’ personaggi infami tradimenti degni d’ eroi da patibolo. Che ciò faccia Sakesptar nella sua rozza e bestiale ignoranza delle storie, e de’costumi non è a stupire; ma un creanzato francese e che direbbe al veder sul teatro de’ Roban, de’ Monntorenci, de’T.vrenna far la figura At’ Cartonebes, e de’ Mandrin ? Sarebbe ornai tempo, che prima di scrivere su t’ altre nazioni si conoscessero un poco in un secolo di coltura, come il nostro, e si cambiassero quelle idee non men ridicole, che puerili e villane dei pugnali, de’ de’ veleni, delle gelosie, delle perfidie ita* liane, che ognor ripetono, e che sono invero -vistigli! ruris tra gente, che dee gustare l’atticismo, e la civiltà de’greci, e de’latini: se nb dirassi, che certi climi non giungono mai a quella perfezione, ed eleganza, che in altri si trova.
Avendo io comunicate al valorosissimo sig. cavaliere Va /inetti queste mie riflessioni!, n’ ebbi in risposta la seguente lettera.,, Ho i, osservato con somma mia compiacenza „ che laddove appunto ella ragiona della „ monotonia, ci siamo incontrati- perfettamente. E di vero nelle poesie dello stes„ so Gesner, che dicesi il Teocrito d’ Ale5, magna, è una noia l’abbattersi ad ogni „ tratto ne’zeffiri, che si affrettano a svo„ lazzare d’intorno alle ninfe, e dialogizza„ no pur.anche fra di loro a due a due; ne>„ rivi, che lambon gli alberi, irrigano i pra„ ti, si diramano, si complicano, e fanno „ le mille funzioni; nell’aurora, che giunge „ a rallegrar la natura medesima, che b uÀ-na persona già tanto alla moda, e nella » primavera, che sembra essere eterna in » que’ „ que’ boschi settentrionali. Queste immagi„ ni sono per se bellissime, ma senza che ia „ questi quadri tengono quel colorito tetro, „ quale sub luce maligna ec. che chiamasi ,) propriamente fiammingo, passano e ripassano in giro continuamente, cosi che si -, può appropriare a queste poesie quel der,, to, che è nel Form ione di Terenzio: unum ,, noris, omnes cognoris. Nel saggio di Ber„ tola dopo Gesner viene Cronegk. Egli ha „ dei congedi amorosi, che spirano una te„ nerezza romanzesca, la quale non è lonta„ nissrma da nauseare. I pianti de’pastori ., virgiliani quanto sono più veri ! Ma i pa,, stori di Cronegk sono di tempra diversa!
„ essi non la finiscono mai co’ loro concetti „ ingegnosi, e colle loro descrizioni campe„ stri. Anche Hagerdon altro non volge per „ mente, fuorché selve ed augelli. Quest’é „ natura, va predicando il p. Bettola. E i „ greci, e i romani non conoscevano forse „ la natura ? E pure con qual occhio la ve„ deano essi mai ? Con qual linguaggio la „ esprimeano? Se lice personificare il gusto „ poetico, che regna in Anacreome, in Orali zio j zio, a me par di vedere un giovane robu„ sto, ben colorito, di nobile fisonomia., d* i, occhj lucenti, snello e sciolto della perso-’] 3, na, colle vesti e coi crini ondeggianti, e j j, pieno di fuoco. Figuriamoci ora un giova„ ned’idea a’q’ianto mesta, d’occhio gra„ ve cogli abiti assettati, e colla parrucca, „ che misura il passo, e fa ogni cosa a bar- ’ „ tura. Ecco il gusto alemanno. Il primo „ giovane t’innamora, ti rapisce, tu devi „ seguirlo e fartelo amico. 11 secondo lo „ guardi per curiosità, ma non senti niente’ ,-, per lui. Il poeta Chini è autore.di can-.
„ zonette, e sembra escire un cotal poco „ dalla tristezza degli altri, e farsi più ga„ io. Se non che egli si mostra per avven„ tura un po troppo vago di antitesi, e di „ acutezze, non molto care a’ buoni mae» „ stri. Nella III. canzone al suo erede di„ ce!
Comandi un principe ricco c possente Che il suo cadavere s’unga di bdtsami, Per restar morto più lungamente (,h<andò di vita vedrai mancarmi, 1 Lascia} o mio erede, d’ imbalsamarmi, Men-Mentre son vivo, tutto ni’ imi,¿isamo Di pretto vino con un torrenti, Per restar vivo pitt lungamente.
„ Eilà vede il contrapposto ricercato, mi j, non vero, poiché il restar morto qui si« gnifica non.imputridir dopo morte, e il „ restar vivo significa preservarsi dalla mor„ tc. Ora perché ci fosse non ¡scherzo di ,, parole, ma verità di contrapposto, conve,, ni va, che il restar morto significasse rima„ ner tra morti, come restar vivo significa „ rimaner tra vivi. Senza che è sempre ve.
„ ro, che il balsamo preserva dalla corruzio„ ne di natura sua, e non é vero, che il „ vino presem per se dalla morte. Ecco un ,i epigramma di Marziale. Parrà forse nel „ genere stesso un pcco studiata anche la „ la chiusa della canzonetta VII. sopra una i, mosca annegata nel vino.
Nell’ ambrosia alma e gradita Ha sua tomba, e bee la morte, Ove noi beviam la vita.
„ La vira é metaforica, la morte è vera.
„ Sono io soverchiamente stinco in giudica„ te de’componimenti giocosi ? Passiamo dun„ que „ que’a uno più serio, alla canzone XII, „ P Iride. In questa Glcim da principio esal,, ta il bel rossore delle donzelle, quando fa-> „ vellano collo sposo alla presenza della pia* „ dre; indi soggiugne Ma quando le lor cigli4 Movonsi in liberiate, E lunge dalla madre Or danno, ed or ricevon» Le amarosette occhiate; Certo che atlor di quelle Gote son meno belle La -porpora e le rose.
„ Divinamente. Ma Gleim dovea finir qui, „ Egli non ha sentito ( per dirla con Cice„ rone ) quid esset satis; queL- atis, di cui „ ella parla sì bene. Ha voluto portar la „ cosa più oltre in questa maniera Obi se possibil fosse Schierar mille di queste Sì amabilmente rosse Gote lii a mezzo cielo In bell’ ordin curuandole Sotto l’arco celeste !
Ratto ei dovria per l’aere Le Le strisce sue disperdere D’ ogni bellezza vuote!
li ratto dovria cedere All’ arco delle gote, Siccome appunto suole Ceder la Luna al Sole.
„ Lascio andare, che il posporre le bellezze „ celesti a quelle di una fanciulla è sempre „ una iperbole trascendente, quando non vi „ si aggiunga un qualche Jenitivo. Ma si „ può dare pensier più stravolto, immagi„ ne più bestiale di questa ? Desiderar di „ prender le guance di mille fanciulle, di ri„ piegarle come tanti cartocci, e di sospen„ derle in filza sotto 1’ arco celeste ?
Avi, dura terra, perchè non ti apristi ?
„ E ciò quanto a Gleim. Ho poi letta 1’ , j ode in prosa di Richey sopra il ritorno di „ Carlo XII. da Baviera a Stralsund. A cer« ti tratti sembra leggere uno squarcio di „ poesia orientale, o un salmo, a certi al„ tri uno squarcio di orazion di Thomas. <c O rischiarato Settentrione, tu miravi ancora verso l* Oriente, allorché il tuo sole trovavasi già sulle frontiere della Pomerania, „ Qui Tomo IV. X ap-„ appare un giuoclietro, “ Vive il tuo re, cui per molto tempo scrisse mono la menzogna, volle mono la malizia 5 credè morto la sciocchezza S il quale era già più d’ una -volta confuso, preso, incatenato, estinto, ma lo„ de a Dio sol sopra i fogli.,, Che gusto „ declamatorio E che fredda acutezza ! Sen„ riamo una specie di Thomas: “ Sì, le nazioni straniere mirano estatiche ciò che giammai non fu visto’ altra volta, c ascoltano c:h che altra volta giammai non fu udito. E quando si è veduto un principe del Nord al mar Nero ? Qual re ha mai fatto tota simile spedizione ì Dove hanno le moderne età un esempio siffatto ? Le antiche appena possono vantarne uno fra cento. Valoroso Annibaie, forte Alessandro, esperto Scipione, veloce Cesare, untano Antonino, voi tutti P uno a il’ altro cedete. A chi di voi dovrà cedrr Carlo} I pregi > c^- ‘n "J°ì brillarono separatamente-, e che pure poterono farvi grandi, j brillano tutti riuniti nell’ eroe della Svezia.
„ Se venisse Orazio, e sentisse recitar que.
,, sto, e simili altri pezzi, non giurerebbe » egli di sentire un tratto di panegirico, di „ ora-„orazione?Enon¡stupirebbealtamente, „ se gli venisse detto, che queste si chiamano odi ? Se non si sa Descriptas servare vices, operumque coìores, „ come si può meritare il nome di poeta ?
„ E lo stesso sia detto delle odi prosaiche di ,, Kìopstok. Sono lunghissime estasi, e vi,, sioni, e sogni, e parosismi di spirito e,, spressi in uno stile moltiforme, dove ora „ si parla » colpi, e per salto, ora si dà in „ un periodo rimbombante, e da stentoreo „ polmone, e dove tutto c; pieno di oh! ah!
„ deh! oh Dio! Chj cosa mai sarebbe, sig.
,, abate mio gentilissimo, di quel capo d’ o» pera del quarto libro deli’ Eneide, se Iddio per qualche nostro infame peccato aves„ se permesso, che venisse impastato da uri „ poeta alemanno ? Quelle parlate così giu„ ste e sobrie sarebbero stemperate in un ma„ re di contemplazioni, di soliloqui, di con„ trasti, e quelle passioni cotanto vive e ve„ re sarebbero deliri filosofici, e romanze» schi. Io le dirò anche, che non mi piace „ gran fatto neppur il dialogo drammatico fra „ fra Tolomeo e Berenice di Ramler assai ¡ori» „ tano dalla naturalezza del gran Metastasio j „ e che 1’ ode di Gellert in morte di un ami?
„ co parmi avere un esordio tutto degno di „ una mediocre orazione funebre: “Or«, cui il savio uso ciella verde età, che ti adornava, promise la meta della più felice vecchiezza; tu il quale, se gli anni si meritassero, gli avresti meritati colla bontà del tuo cuore incomparabile, o amico ! tutti i buoni tì piangono. „ Con tutte le belle cose che „ vien poi dicendo il sig. Gellert, cento di „ tali composizioni non varranno mai nel „ mio giudizio quanto una sola ode di Ora„ zio in morte di Quintilio. Io m’ avveggo „ di aver empiti quasi due fogli, riscaldato „ dalla lettura del suo dottissimo articolo, „ e allettato dal piacere di favellare con lei „ ec. (t. Sin qui la lettera del cavaliere intorno alla traduzione, e al gusto de’ tedeschi, in cui ben si vede 1’ amico intimo, e fido d’ Orazio, 1’ onor di cui difende nelle sue belle e dotte osservazioni sopra i traduttori del padre, e maestro del buon gusto, parte stampate, e parte a {{Pt|NOTA XV. Egli c veramente sincero il mio sospetto di patria prevenzione in tal giudizio, avendo esempi sotto agli occhi, che possono farmi temere, poiché illustri scrittori sono caduti in travedimenti per tal ragione. Il famoso confronto, di rui poco solerà, fatto dal marchese d’ Argtns trà i pittori francesi, e italiani sarà sempre un de’ più rari fenomeni in questo genere. I viaggi d’Italia stampati in questi anni quasi a gara da sei, e più viaggiatori francesi, e inglesi, e alcuno in più tomi, sono in verità così contradditori trà loro, e insieme ciascuno da se pieno di così strani giudizi, e di così manifeste falsità politiche, storiche, naturali, e letterarie, che ogni italiano trasecola al leggerli, e quasi dimanda se I* Italia è passata in Tartaria, nella Cina, o nell’ altro emisfero, onde sì male sia conosciuta, e bisogni ogn’ anno darne nuove relazioni, come a nuova scoperta d’isola incognita, Questi fanno dimenticare le critiche fatte da que’ Boubours, Rapi», Boileau, e lor seguaci del gusto delle arti, e sin dello stile de’ nostri scrittori, senz’ intendere ia nostra } liti-¿na. Ma più a proposito dell’ entusiasmo leggasi un passo del celebre Vigneul Mar-ville, Tom. I. Quoique Ics tempéraments de feu semblent plus propres a la poesìe, que les flegmatiques; néanmoins l’ expérience fait voir que les postes sont plus communs dans les pays, vit le flegme regne, que dans le pays, oh le fu brille d’ avantage. Cela se remarque surtour en Italie ou le flegme étant pour ainsi dire dans son élément il se trouve beaucoup de poètes. En Normandie qui est une province toute flegmatique tes poetes y naissent plus facilement que dan?
les autres provinces de France. Quale di queste parole direm noi più stravagante ì In Italia ha il suo elemento il flegme ? E con quali italiani svea trattato questo scrittore, che certo non avea passate Palpi ? Cosa intende egli per flegme ? Ignorava forse 1’ espression proverbiale delia sua nazione le flegme allemand, non meno che 1! altra peuple de pantomimes ! Come mai si trovò il flegme nel suo elemento in un popolo di pantomimi?
Ma che intende egli per flegme ? Come lo unisce al fuoco ? Se intende per flegme gra-vita, lentezza, e serierà, e per fuoco viva, cità, leggerezza, ed impeto; se intende P lino, e l’altro dell’animo, e dell’ingegno, cppur delle esterne operazioni, e sembianze; se intende della politica delle corti italiane, o del costume de’ popoli; se interade principalmente del gusto, e dello stile degli italiani poeti, e letterati, oppure dell’opere loro scientifiche, cbe che egli s’ intende, certamente sarà difficile ad altri P intendere, come il flegme sia nel suo elemento in Italia, e come P Italia somigli alla Normandia.
Tanto ’e vero, che bisogna esaminare d’appresso i climi, le nazioni, e i costumi de’ popoli per dir qualche cosa di ragionevole.
Ho conosciuto pochi in verità viaggiatori filosofi; e che sarà de’ non viaggiatori} Parlo per altro di quelli, che han da giovani, e a lungo vissuto in Italia, e parlata la buona lingua, letti gli ottimi autori. Senza ciò debbe ognuno dire a se stesso, come Plutarco: restati n:l tuo terreno, secondo il proverbio, il delfino su le sue rive; quando quel sì grand’uomo non osò paragonare l’eloquenza di Tullio con quella di DentasteX 4 ne he riputandosi mal atto a ben penetrar li bellezza, e la forza della lingua latina, sebbene fosse visuto in Roma, e letti i migliori, ma un poco tardi. Ho io parlato più francamente della lingua francese, avendons l’uso fin dalla prima mia educazione, e ne ho Ietti sempre gli autori, son vissuto due anni circa in Parigi, e alla corte, scorrendo ancor le provincie, per istruirmi quanto poteva. Pur nulla decido, e sol proposi i miei dabbi.
NOTA XVI. Sembra che le nazioni abbiano il loro sonno per riposarsi dopo avere adoperato con gloria per alcun tempo; e mentre dormono, più non sembrano quelle che furono al tempo loro felice. Un profondo letargo de’sogni, delle illusioni, l’ignoranza, i pregiudizi succedono all’ attività alle invenzioni, all’opere, all’intraprese, per cui fecero gran figura, e divennero la maraviglia, l’invidia, e l’esempio dell’altre genti. Nel che somigliano all’uomo sì diversa da se stesso nella vigilia e nel sonno. Qual differenza tra Galileo col telescopio e il compasso di proporzione alla mano, e Galilei che dorme.’ Là tutto luce, e ragione, inge-gno, combinazioni e scoperte maravigliose; qui tenebre, e confusione, e imbecillità, passando così ad ogni dodici ore dalle sublimi contemplazioni, dai tentativi e dalle irsven2ioni piucchc umane ai giuochi de’ fantasmi fiìi puerili, alle immagini più bizzarre, alle più irragionevoli e pazze contraddizioni. Per un poco egli c l’oracolo della verità, il regolatore degli astri, il dominatore della natura; in un momento divien ludibrio degli errori, delle larve, della follia; un chiuder gli occhi e un aprirli basta a farlo ora un genio, ora un automa mal organizzato, e inetto a tutto. Altri il disse di Newton.
L’Italia non si conosce più per quella che nel secolo decimosesto avea sovrani, e corti, e città fiorenti ad ogni passo, onde l’arti correvano a gara a servire, a piacere con sempre nuove invenzioni ai principi ed ai privati in palagi, in ville, in teatri, in festeggiamenti; ed era per tutto coltura d’ingegno, di maniere, di valore, di cortesia, e studi, emulazione, coraggio, attività e commercio, e manifatture e popolazione gareggiavano in ogni città e provincia- Dai gè* generale passando per più chiarezza al particolare può darsi un guardo a Mantova, che presenta un quadro storico de’ suoi bei tempi più singolare. Nel ristretto suo territorio erano forse a quel secolo venti principi sovrani, che sol riconosceano l’alto dominio del duca o marchese di Mantova. J3ozolo, Sabianeta, Guastalla, Castiglione, Gazolo, Novellara ed altri molti erano residenze di principi e di splendide corti, che gareggiavano ad abbellirsi, ed ornarsi con bei pala- J g;, e giardini, e teatri, de’quali restano alcuni avanzi non atterrati dalle guerre, come il furono la maggior parte. Raccoglievano pitture, e scolture in gallerie, in musei, e in biblioteche; chiamavano a se letterati, aprivano scuole a’ior sudditi, ambivano di ■ esser serviti da cortigiani di chiare famiglie, onde la gentilezza, e la pompa ognor più i rilucea, divenendo que’borghi piccole e bel- Jj le città per chiese, e case, e piazze ordina- ■ te e signorili, come ancora si veggono ad ogni passo. Spettacolo era il vedere il sovrano di Mantova a certe solenni occasioni corteggiato da tanti principi, e corti messe a lus- \ a lusso e coiredo d’abiti, di cavalli, di cocchi, di livree, che sfoggiavano rutti a far onore a se stessi e al capo della famiglia.
Qual fosse la capitale, altrove il descrissi, t* non è maraviglia, che colla provincia fosse ella popolatissima, ricca, industriosa, e fiorente, piena d’arti, e d’ingegni, che seguono la grandezza e l’opulenza, e che vi regnasse eleganza, ed urbanità, socievolezza, e attività con l’industria, il commercio, e le manifatture, come Ivi si legge. Allora avrei fatto volentieri un confronto tra veronesi e mantovani, il qual oggi forma il prò.
blema di tanta dissomiglianza de’due popoli in tanta prossimità di terreno.
Di Roma antica e moderna si son già fatti i confronti, che far si ponno d’altri popoli a proporzione, cercando ognora tra molti dubbi ed oscurità le cagioni di tai vicende nel sito medesimo e sotto lo stesso cielo.
Una delle primarie da me spesso accennata rispetto-all’Italia e alla Francia è quella di non aver noi una metropoli di tutta la nazione, un centro, un governo, in cui l’Italia da ogni parte vada a riunirsi, come c in Fran.
£¿2Nor£i Francia, e che merita di esser posto in giusto lume, non avendone e non potendo noi averne alcuna idea da sì lontano. Ma stu- | diando d’appresso e sul fatto la cosa è ini] credibile quanto vantaggio ciò sia pe’francesi in ogni genere, e specialmente per l’entusiasmo dell’arti, il qual per altro ritrova èia la nazione naturalmente disposta specialmente in alcune provincie per lui; ed esso poi rinvigorisce e porta agli estremi d’ ogni numera lei stessa. Il governo monarchico nel più 1 perfetto senso ì: la molla primaria, che fa muovere tutto d’intorno a se, facendo il trono in Parigi la rappresentanza del re, che poco lungi risiede colla sua corte, e col ministero immediato. Col governo t la legislazione primaria, la forza militare, l’erarior, il tronco del commercio, il flusso e riflusso di tutti gli affari, di tutti i bisogni, di tur- j ti i piaceri della nazione. Così 1’ industria./!
e l’ingegno, le speranze e le pretensioni di ventiquattro milioni di francesi colà si rivolgono, di là dipendono, ivi fermentansi anche da lungi, e quindi si vede sempre in moto la nazione; le poste, le diligenze, i eoe-cocchi pubblici per acqua e per terra vanno e vengono da Parigi sino all’estremità del regno senza posa, e senza intoppo, essendo issare regole e leggi ad ogni occorrenza. Ed ecco un regno grandissimo quasi come una città raccolto insieme, ed ecco ogni novità, ogni accidente, ogn’interesse più singolare comunicarsi, fermentare, porre in orgasmo inillioni di teste. Un libro, un editto, un processo, non che le battaglie, anzi una moda, una manifattura, un epigramma, noa che le tragedie, e le commedie, un predicatore, un avvocato, una beila, e brava at trice bastano a far parlar di loro tutto Parigi, a cui rosto fanti’ eco le provincie. Tutto conòorre a dar celebrità; gazzette d’ogni giorno, e d’ogni gusto, caffè, passeggi, corte, città accademie, teatri, forestieri a migliaia, e nazionali tutti rimandansi la palla, che passa di mano in mano sino a Calais, e a Toulon, a Lilla ed a Bordò. Felice colui, che produr sappia una gradita novità; già tutti la voglion gustare, e parlarne; egli fa la fortuna de’librai, de’mercanti, de’sensali, deìl’arti, e de’mestieri, che la stampano, la la dipingono, l’incidono, la.trasformano in vezzi e capricci di moda, tutto porta que nome, ri-.ro si fabbrica con le sue insegne, tutrr tndesi colla sua impronta. Ricordom i delh presa di Portomaone, che ogni cosa fe d’venire alla Richelieu, alla Portmahon, collie or ora da una sola fregata vittoriosa il nome di Belle poule è venuto un grido uni, versale, un idolo della nazione presso uomini e donne, in versi e in prosa, in conciature, in vesti, in arnesi. La Meropc di Voltaire ebbe una sorte eguale, le critiche c le difese, partiti caldissimi, accademici, cortigiani, letterati, poeti, attori, ognun prese fuoco, che si diffuse in tutta la Francia al par di quello, che riscaldò tanti cervelli per la cometa del 1773. in favore e contro di rnonsieur de la Lande, e così or la libertà de’ grani, e il sesso di madama d’ Eon, e le vi-, cende de’parlamenti, e de’gesuiti, elecau-J se dei C’alias, dei Morangiés, del duca di Richelieu, del Linguet, e cento simili, che al più lieve soffio divengono incendi > e ad un momento dispajono per dar luogo ad altri personaggi, ed avvenimenti, che sottentra-erano nella scena. Non può negarsi, che un sì continuo fermento, quest’ondeggiare 1 erpetuo di tante passioni, e capricci, e centrasti di serio e di ridicolo, della ragione di stato e del favor d’una commedia e d’una comica, delle battaglie terrestri e marittime, 0 di quelle del}’ accademie, e del valore dei quadri esposti, quando una trama politica e quando una galante, il furor d’ imitare, o di detestare gl’inglesi, le varietà delle finanze, e quelle de’ giornali non dian sempre pascolo all’inquietezza, alla curiosità, agli affetti d’una nazione, ma che poi vanno all’ eccesso per la riunione, e comunicazione di tutta quanta è in un sol centro, e che accesa cotanta fiamma in quello spargasi poi con tal forza in tutta Europa, rendendo i’altre nazioni a lei tributarie, partecipando loro il suo calore, ed obbligando chi vuol esser da qualche cosa a portarsi Colà, o a tenervi corrispondenza, come i re stessi ed 1 principi stranieri vi mantengono lor ministri, e provveditori anche di sola letteratura per impazienza d’aver prontamente a Peterburgo, a Pozdamo, a Dresda, a Manheim, e a Monaco, e altrove tutte l’opere nuove, che stampatisi ogni giorno e in ogni argomento. Dicasi pure che i francesi son vivaci naturalmente, ma certo gran parte v’ha quel- j la costituzione di regno, e di governo, che quasi direbbesi teocratico per l’adorazione e l’amor mirabile e innato in tutti verso il regnante. Così tutto divien passione coll dietro a questa piìi calda d’ogn’ altra. Tutto ciò fa esser la Francia il primo regno del mondo senza contrasto, perchè in tutta terra non v’ ha popolazione tanto unita ed/ operosa verso il centro come colà, e principalmente nella capitale.
Di tutto ciò noi manchiamo come l’altre nazioni. Ma forse l’Italia sta peggio di quelle, come forse potrebbe essere superiore a tutte, se il suo sistema rassomigliasse a quel della Francia. Ognun può fare dal sini qui detto il confronto ben facilmente, riflet-I tendo con qual diverso tuono qui si pronunci io son italiano, il mio principe, la mia patria, da quel che sentesi in quell’enfatica dire io son francese, il mio re, la Francia, c quanto poco ci riscaldiamo per amor.patrio, ti io, dove la patria non fa quasi mai certa figura. Un napoletano ed un piemontese dice il mio re, un veneziano ed altri dicono if mio principe, nu in tutt’altro tuono, siccome nessun sente ai nominare la sua città quel suono che.tutt’Europa sente nel dir Parigi, anzi al citar questa par che ognuno ricordi una città non ¡straniera. Son certo bellissime, e nobilissime Palermo, e Napoli, e Roma, e Firenze, e Venezia, e Milano, e Genova, e Torino, nè tali e tante non ne ha la Francia, che n’ha poi pochissime fabbricate, come Bologna, Verona, Vicenza, Brescia, Cremona, Mantova, ed altre moire. Ma tutte dividonsi non men l’Italia, che il fermento, il calore, la comunicazione de’dodici o quindici nostri milioni, e d’ogni provincia quasi isolata ciascuna, ( talor nemica) e d’ogni affare, e bisogno fuorché per necessità, e di commercio anch’ esso in gran parte, essendovi mille inciampi delle loggi, e degli usi, e de’ governi diversi, come il sono: linguaggi, le monete, i prezzi, i dazi, e cento cose, onde ogni popolo fa da se, onde l’Italia ha dieci e più regni e Tomo VI.. Y {{Pt|capitali entro il suo seno. Se la nazione intera sembra meno vivace della francese, chi sa che non sia da questa costituzione pili che dalla natura formato il serio e tranquillo carattere d’alcune nostre provincie e città ? Certo gran parte ne mostra uà’indole più focosa ed amabile come Verona con Vicenza, Reggio di Lombardia con Siena, benché quelle unite con Padova, e con Brescia, queste con Modena e con Pisa; nulla dir» de’napoletani e de’siciliani rutri fuoco ed ardore quasi come i lor Etna e Vesuvj. Ma con tutto il lor caldo non giungon però a .risvegliare il generai tepore, non estendono altrove la loro atmosfera di studj, di gusti, di feste, e d’interessi. Chi crederebbe, che le gazzette medesime destinate a pur legarsi insieme col sottil filo della curiosità, facesser sì poco viaggio fuor del nativo paese, e quindi molte città vicine abbisognassero della propria, che non è alfin che una copia dell’ altre vicine più o meno o lontane, e tutte composte con cento riguardi, e timori di troppo dire, e ridotte il più spesso a non dir nulla? Gran fìsura però ci fanno le feste e } gli-e gii spettacoli or principeschi, or privati y o nuziali, o funebri, o teatrali,un nuovo doge, un cardinale o vescovo nuovo, un editto, un breve, e soprattutto i nomi con lungo elogio d’un musico, e d’una ballerina, acuì s’unisce un orrido assassinio di qua, e una giustizia di là in minuta e prolissa relazione.
Che se la guerra le mette in gara, allora scorrono bravamente i mari e le terre anche fuori d’Europa, mu lascian però l’Italia nella sua solita tranquillità. L’uso lodevole nondimeno hanno alcune abbracciato di far cenno d’ un libro nuovo emulando i giornali, che sotto varj titoli stampansi qua e là per nodrimento della letteratura italiana. Di questi ve n’ha ¿’eccellenti, ma il più spesso ristretti a poche opere, e a poco giro, lagnandosi giustamente gli autori di non vedercisi ricordati, e i giornalisti di non ricever libri, e notizie. Alcune effemeridi parlan di libri stranieri, come se non ne fosser de’ nostri ■ Qual c 1’ opera, che si conosca per tutto, e svegli un grido universale tra noi, come fan tante in Inghilterra e iti Francia? Quanti mesi ci vogliono.ad ottenerla >?
fa fa strepito e accende curiosità ? E come spes« so le più belle e più dotte son tardissimo conosciute ? Qual dunque fermento può darsi, e qual non dee regnar languore in un corpo sì disunito di membra, e sì discorde ?
Ma perchè non paja questo un gridare all’aria per mal talento, esorterò i romani a questa nuova gloria di farsi centro ed anima degli studi italiani. Roma è metropoli già per mille pregi, e diritti non sol d’Italia, ma del mondo cristiano; a lei d’ogni parte concorrono e i nostri e gii stranieri, tutte le nazioni v’ han di lor gente, e ministri, e corrispondenti, e più le città d’Italia principali. Per quante ragioni vi dee fiorire ogni scienza ed arte, concorrervi ingegni e letterati, che infatti fioriscono quivi in gran numero, benché solo da pochi anni l’antologia e l’effemeridi ne faccian lieve memoria; e per quante quel sacro e saggio governo può mai animare, e accogliere siccome emporio la letteratura e l’ingegno italiano ? Tal fu ella al cinquecento, e in lei può dirsi che nacque e crebbe quel secolo d’oro, e rinnovossi quello d’Augusto nel suo-Moti.¿4i Suolo medesimo, e con vantaggio. Firenzee Venezia con Napoli, e con tutta la Lom bardia furono a lei compagne, e tutta così l’Italia si scosse al favore di tanti principi, e cardinali, e ministri dietro s’sommi pontefici per cento e cinquantanni ognor favorevoli ad ogni studio. Facevansi promozioni per questo merito solo, chiarrrjvansi da regni ancor lontani i dotti maravigliati d’essere conosciuti, era una gara d’ogni prelato, e signor grande avere in corte dei letterati. Musei, biblioteche, accademie, stamperie, fabbriche insigni e quadri e status maravigliose tutto vi si trovò ad un tempo.
Or perchè non può rinascere quel calore, e far di Roma una Londra e un Parigi d’Italia. Pochissimo basta a ciò, essendovi già preparato quanto è richiesto di materiali al più bel edificio. Un pò d’ ordine, un sistema nell’architettura riunisca e combini le varie, e sparse membra. e vedremo per nuovi titoli e pregi la prima città del mondo in lei. Può già ella dirsi 1’ accademia d’ Europa, considerando le sue ricchezze in lettere, scienze, ed arti, e Je sue accademie con con juelie di Francia, che può servire di r.cr ia e di prova del mio pensiero. E dove meglio può stare una piena e compiuta società tenerale di studj scientifici e letterari qual !’ hanno ornai tutte le capitali, ed altrs città ancora ? In due classi dividerebbesi a gloria sua singolare su tutte l’altre, l’una di sacra, l’altra di profana letteratura. Quella conveniente al capo e alla sede cella religione, questa al principe di uno stato ricchissimo di bei talenti, di collegi, di seminari, di università, di fondazioni immortali, ina languenti, de’suoi predecessori. Noto è assai quanto bene s’abbracciano insieme, e si rinforzano 1’ una e l’altra, e tanti ecclesiasrici lo confermano in Roma stes>i scrittori eccellenti ed eruditissimi in ogni genere specialmente nell’antiquaria, nelle lingue, nell’eloquenza, ed in altro. Da una tale accademia per tanto, a cui dovrebbono incorporarsi molt’ altre quivi erette scegliendone il meglio, uscirebbono due giornali corrispondenti alle due classi, e a quanri libri vedesser la luce in tutta P Italia, come da tutta dovrebbono esser presi gli accadèmici, e so-e soci o pensionati, oppure onorar;’, i quali avesser pensiero di notificare, e mandar l’opere nuove, o le notizie più belle ed impor.
tanti colà in ogni maniera di scienze e di lettere.
Necessario a tal fine sarebbe un accordo con rutte le poste e i corrieri, ed anche perciò Roma sola può essere al nostro intento opportuna, avendo essa e propr; corrieri, e poste generali, e ricevendo da ogni parte dispacci, e robe per man de’ corrieri non suoi, e fare a tal fine uffici e trattati co’ principi e co’ ministri d’ ogni nazione. Così verrebbono più discrete le spese dei trasporti e delle lettere, che or sono il maggior inciampo per tutta 1’ Italia, e che in Francia ed altrove è stato in gran parte tolto a prò della letteratura. Giunse persia quella corte ad obbligare i suoi ministri e corrieri anche fuori del regno a mandar e recar quivi libri ne’ regi pieghi a favor del giornale straniero senza dispendio. Così P opere facilmente andrebbon colà, e il giornale ad ogni parte in breve ne volerebbe, e porterebbe la vita e il calore a noi, arricchendo frattanto per se Solo d! più migliaia di scudi I’ aecadeinia * come altri giornali arricchiscono i loro autori. Sembrerà forse questo mio pensiero ad alcuni impossibile ad eseguirsi, e non ¡sperabile una man risoluta, che il tenti; ma siccome riguarda a un vero vantaggio della letteratura, e dell’Italia, verrà forse un giorno a maturità, e al più dirassi, che anche questo è un sogno di buon cittadino.
NOTA XVII. Parlando de’vari gradi dell’ entusiasmo, e della educazione di lui molto dir si potrebbe delle gran differenze che trovansi tra un uomo e P altro, una nazione e P altra, un gusto e un altro, italiani e stranieri, antichi e moderni, arte e natura, cuore e ingegno: quante discordie non mettono, e quanti dubbi ■ Per un certo mio intimo senso e per lunga sperienza in fondo all’ anima sento doversi porre al primo e più eccelso seggio P entusiasmo degli antichi, cioè quello della natura più vera e più perfetta. Ma sono io giudice competente e posso senza superbia parlar di me ? E perchè nò, se nulla pretendo, se cerco la verità, e Putile altrui ?
Io Jo dunque confesso d’avere spesso consultato ine stesso ponendomi a scrivere, e dimandato alla coscienza quai forze, quali talenti, qual impulso mi conduceva a farmi autore.j Non ho trovata ragione e risposta, fuorché, quella di sentirmi un cuore ardente per le lettere, e pel bello ed il buono, cioè per 1* opere degli antichi. Quel trovarmi in mez-!
zo a loro elevato sopra me stesso, compenetrato dalla grandezza de’ pensier loro, e partecipe quasi del lor diritto d’ammaestrar gli uomini e d’allettarli con uno srii naturale, non preso in prestito, non comandato fuorché da un intimo sentimento onesto; mi fa prendere arditamente la penna in mano.
Così trovomi divenuto autore senza volerlo o professarne 1’ uffizio, senza cingere il manto o l’alloro, senza pretendere a far de’volumi. Così parmi che il fossero que’ miei maestri, l’opere tutte de’quali sono originali, nate da un fondo Jor proprio, non copie, nè immagini d’altre, nè frutti di vanità o d’interesse, come attestalo la mia fortuna. Perciò vissero e vivono per tal impronta. Chi sa, diss’ io nella beata illusione f Y j chi chi sa che non viva io pure dietro a loro ? Se non sono com’ essi originale, confesso almeno le mie imitazioni senza sforzo, come parmi pur senza sforzo di spiegarmi, nè però aguzzo l’ingegno, o unisco le frasi toscane, 0 mi servo de’ libri a pensare, ma solo a svolgere e rinforzare i miei pensieri. Sento anch’io quel bisogno dell’anima amante dì comunicarsi, nodrita tant’ anni del magistero de’ giovani, della consuetudine di Virgilio, e di Cicerone cogli altri romani e cou qualche greco, di Petrarca, del Castiglione e d’alcuni moderni, che tutti cavano dall’ interna miniera lor concetti, e passioni, ornandoli co’vestimenti del buon gusto antico, 1 quali non sono alla moda suggerti. Sentasi pure alcun tempo ’, in cui 1’ età vivace, e l’innocente amor deila gloria previene 1’ e-sperienza, sentasi un poco il desiderio di piacére ai grandi, d’ aver luogo alle corti, e paja questo un premio. Ben presto ravvisasi la vera grandezza, la vera consolazione esser nell’ amicizia de’ chiari ingegni e scrittori esemplari, che soli han diritto al titol «li grandi. Con essi acquistasi dignità di pensa-sare, si purifica il cuore, si fortifica 1’ anima nell’ amore del bello sublijne, a cui naturalmente ella tende, nè più degna d’ un guardo l’invidia e le persecuzioni or aperte or segrete del gusto corrotto e dell’ignoranza; e di tutto si racconsolano facendosi risentire una coscienza sicura colle delizie de’ bei pensieri, ed affetti dal bello stile avvivati. Tal divengo in compagnia de’classici greci, latini, italiani parlanti que’loro idiomi ricchi ed armoniosi, pieghevoli, e variabili ad ogni metro e argomento. Anche senza invenzione talora, senza immagini sorprendenti mi rapisce il lor suono o concento poetico ben altro che quel della rima, e nella prosa sento assai bene un’ eleganza continua e non ricercata, ia rotondità de’ periodi sì amica dell’ orecchio, quella ricchezza e profusione grandiosa di termini, quella costruzione trasposta e raggirata, che dà tanta maestà, tanta grazia al tutto, quel dialogizzare, e fare scena animando le persone facendole come presenti anche sol quando narra la storia. Altro è ciò che leggi rettoriche, onde siamo fatti sì piccoli, e vengono no ranti stili copiati, servili, ignobili, o faticati. I passaggi dolci e lavorati con tanta destrezza, perchè sian naturali e scorrenti, furono ignorati dagli antichi, ed alla fin poi fiaccano spesso ogni eloquenza nell’ opere de’ moderni a forza d’ arte e di studio. Tali doti le trovo ancora ne’ nostri storici cinquecentisti, che hanno quella fisonomia antica, quell’aria greca e romana, onde loro io perdono la prolissità e gli altri difetti. Non ancor guasti dalla moda non fan- gazzette, non cronache, non annali, nè compendi a colonne; fan vere storie di getto senza vedercisi la voglia di piacere o di servire al lertore, o al libraio, senza timori o riguardi, parlan dall’ alto ad una udienza di posteri attenta e docile, non di contemporanei appassionati, e nimici di verità. Invece di ritratti miniati de’personaggi dipingono in grande gli avvenimenti, e impastano colla narrazione i colori, i lineamenti degli uomini colie loro azioni, onde si riconoscon per dessi senza quella cornice, che altri affettano di porre ad ognuno per far della loro storia una galleria. Siano pure un po’ po’ ttoppo creduli, poco metodici, e con poca cronologia, spesso oratori, e sempre prolissi, pur leggonsi con piacere, massimamente passata la gioventù, da chi gusta i Livj, e i Plutarcbi più che i Voltaire, i Rai na i, i Marmontel e tali altri brillanti, frizzanti, e pittoreschi sulla maniera de’quadri fiamminghi. Macchiavelli, Guicciardini, Dovila, Bentivoglio, Par ut a ed altri simili sento leggendoli, che sou miei maestri, non per le sentenze collocate a scacco qua e là, non pe’ dardi lanciati dalla malignità o dall’ irreligione, non per gli aneddoti dissotterrati a pungere la curiosità, ma per quell’ andamento sempre saggio, elegante, armonico, temperato e grave di stile, di sentenza, di vera eloquenza d^ se sicura.
Tra gli uni e gli altri sono coloro, che intendono ad accoppiare insieme l’antico e il moderno, la grandezza e gli ornamenti, la’natura e ¡’arte, onde tolgono al loro scrivere il primo pregio, che è 1’ unità in ogni arte. V’ ha l’ordin composto nell’ architertura, ma è il più difficile e il più pericoloso per quel maritaggio, a dir così, di {{Pt|plicità e di splendore, che guastansi, insieme confondendosi. Chi vuoi unir Dante con Petrarca, Tibaldeo con Bembo, Casa con Guarirti, e con Cbiabrera fa di due buoni un cattivo. Pure alcun riuscì tentando d’ornar Ja natura più che gli antichi non fecero, ma sobriamente come Ariosto, Anguillara, e Caro, e Cbiabrera, e Tasse j ma ecco già comincia a vedersi con questi due più sensibilmente i! declive dell’arte e della novità n:’ pensier ricercati, nell’ ardite metafore, ne’ concetti falsi, la vanità in somma d’ usanze, di costumi, di modi singolari, che vanno prima col Guarirti, poi con gii altri precipitando al seicento. Più chiari esempli di prevaricazione ben trar potrei dagli autori moderni, che da tutte l’opere straniere venute a dominare 1’ Italia prendono stili non naturali, ornamenti sfoggiati ■ e dispregiando il disegno, appagami del colorito, non seguono che i Rubens, i le Brun, e gli Arpino e i Caravaggi lussureggiando in ogni maniera di scrivere e di comporre; così piacesi agli occhi e agli orecchi non pensando a muover l’anima, e le più eccellenti } sue fa-facoltà, e ad appagare l’intimo suo bisogno della verità, senza cui non v’ ha bello, e per cui sono i classici antichi vmcitori de’ secoli e delle depravazioni.
A convincerli più fortemente del loro disviamento vorrei spesso condurli e trattenerli in quelle sale di marmi o di gessi aperte facilmente in Rom?, in Eologna, in Venezia, ir» Mantova, e alrrove, ove siedono i’ arti antiche in tutta la lor dignità tra le statue de’ gran maestri, tra gli Apollo e gli Antinoi, le Veneri, i Laocoonti, ed altre tali. Quivi lor mosrrerei que’ venerabili simulacri, ed archetipi d’ ogni bello, quelle figure o vestite, od ignude, e sole adorne di capigliature naturalmente inanellate e ondeggianti, quegli atteggiamenti sì al vivo espressi e franchi, quelle fìsonomie risolute, aperte, parlanti, e così pure que’ panneggiamenti ampli, liberi, sinuosi, e seguenti il serpeggiar delle membra e della persona; mente di studio apparente o di sforzo, niente d’ ornato a capriccio, nè crini torti con ferro, nè musculatura a compasso, nè portamento foggiato a danza, od a languore cascan-scarne di vezzi, e di lascivie. Che rossor noi) avrebbono a quel confronto color che guastano per imitazione dell’ arti e delle lingue straniere la propria lingua e la sua naturale bellezza ! Il bel pregio della sintassi e del periodo italiano, che è poi lo stesso che il greco e il romano, o poco diverso, questo sol pregio invidiatoci da francesi sovente, perchè deturparlo con quegl’ incisi, con quelle rompiture, con que’ legami, di eh’ essi stessi fanno lamento ? Un de’ loro più applauditi scrittori accordasi con Voltair? suo maestro in tal querela, e. cita un passo di Quinto Curzio ( benché di tanto inferiore a’ latini maestri ), ammirandone la grandezza, la forza, la beltà, che in quel pensiero ridonda dalla sola costruzione e trasposizione delle parole, potendo Curzio contornare il suo periodo, e finirlo col fugiebat, che il francese non può (i). Noi dunque vestiti a tale (i) M. de la Harpe, ove cita nel tomo pag. 146. delle opere sue quel passo — D.iriits tanti modo axcrcitus rex, qui tritimfkantis m/igis &C.
tale magnificenza, con tal ricchezza di manto e di seni liberi e ondosi, vorrem noi per vezzo porne alle strette con que’ calzoncini attillati con que’meschin giuberelli alla vita, e parer saltimbanchi o ballerini di corda, quai sembrano anche i più gravi lor personaggi in quella lor veste, colla quale indosso non pub scultore rappresentarli senza farli ridicoli ?
Un altro pregio ha questa primi classe formata dagli antichi, e da’ loro fedeli imitatori, ed è quello di farsi superiori ai giudici de’ coetanei. Gran precetto per chi scrive al suo secolo, e talor adirasi contro gli abusi e i pregiudici dominatori. Non pensiamo alle grida dell’ignoranza o dell’invidia, nè agli elogi del tempo nostro, ma spignian oltre il guardo a mirare i posteri, ed a sperarne la ricompensa. Così consoliamoci nelle fatiche e nelle noie presenti, ascoltiamo la voce sincera della posrerità, che se viviamo sin là, dirà certamente: costui era uomo ingenuo e sol curante del vero, e dell’ utile educazion letteraria; sgombro d’ astio non meno eh* d’adulazione; al qual pensiero {{Pt|cordar giova quello dei greco architetto, che il celebre Faro edificò a salvezza de’naviganti. Scolpì egli il suo nome sul marmo e questo di calce ben ricoperto, soprascris* sevi il nome del regnante, ben prevedendo > che a poc’ anni cadrebbe questa iscrizione, e leggerebbesi poi da tutti i posteri il nome suo. Ognun pensi a scriver sul marmo, e lasci pur eh’ altri l’imbratti con sua calce -, periran questi, ed ei vivrà. Basta solo aver coraggio di rinunciare ai plausi di quattro giorni chi ha già corsa lunga carriera. Or chi può temere con tal pensiero le critiche passaggere, condannando i difetti modera pesati su la bilancia dell’ irrefragabile antichità, lo stil gonfio, affettato, puerile, oscuro, triviale dell’ orator, dello storico, e più del poeta esaltati dal falso gusto ? Chi può tacere di que’ trasporti di fantasia riscaldata, che sprona il suo pegaso tra gli spazj immaginari, quando dovrebbe andar terra terra ragionando, narrando, e descrivendo, la qual poi tien le redini corte, va passo passo, e rade il suolo parlando all’anima, scuotendo gli affetti, e scorrendo tra } le bat-battaglie, e le tempeste, ov’ è il beilo ed il grande. Entusiasmo poser gli antichi col fuoco, col volo e l’audacia della poesia sublime anche in prosa.
Lasciarci dunque al nostro secolo i suoi capricci, e talor condanniamoli francamente, ma.non ci avviliamo temendo le sue derisioni 0 i suoi risentimenti. Io mi figuro talora di vedere tra noi Platone, e Senofonte, Omero, o Virgilio: come sarebbe ognuno nelle nostre conversazioni eziandio letterarie taciturno ed-astratto ! Cosimi parve trovar, re una immagine in certi uomini veramente dotti, e letterati, in mezzo a certe adunanze di gente, che dicesi coita, e che pretende sapere. E che farà un genio tra tanti mediocri, 0 inetti ? Non ha 1’ uso, non ha il talento di spacciar novelle, d’ornar -di vezzi cose triviali, di volger in burla le serie, di trattar le frivole seriamente, udir le donne con pazienza, di non contraddir loro fuorché con destrezza, di farle ridere spesso, d’accettarne le decisioni, in somma egli b privo di spirito, di quel che dicesi spirito di conversazione, e niun direbbe ch’egli ha ingegno, gno, che ha un’ anima. Trova però questi e quello nel suo ritiro e tra suoi libri, se lo perde con la brigata, che tumultua, che ride, va e viene, parìa senza dir o udir nulla, interrompesij alza più vocia un tempo, tien più discorsi insieme senza finirne o capirne alcuno. Il povero genio è confuso, stordito, intimidito, avvezzo eh’ egli è a pen* «are, e parlar a proposito. Ecco quale ms rappresento un antico posto in seggio accademico, a udir sonetti o dissertazioni, critiche ed apologie secondo il gusto moderno.
NOTA XVIII. Il segreto dell’ entusiasmo animator de’ filosofi, e del loro stile, a ber*, considerarlo; e distinguerlo precisamente, sta cella poesia, che destramente v’infondono * e ognun d’essi o è nato poeta, o certamente è stato allettato dall’opere de’posti; siccome la forza, e grandezza de’ gran poeti molto si nutre della sapienza, e della profondità filosofica. Certo invece della mollezza attribuita dal volgo alla poesia ravvisar si dovrebbe in se stessa, come forte, e robusta per P entusiasmo suo proprio, più cha P arti tutte, più che la stessa filosofia, più che che la storia. Quando ¡11 fitti lo Storico, ed il filosofo intendono a far più colpo, a vivamente imprimere i precetti, e gli esempli, al!or ricorrono all’ impetuosa possanza dell’ entusiasmo poetico nello stile più colorito, più armonico, più evidente, più rapido, più passionato. Ed è perciò, che i maestri del vero sublime raccomandano tanto la lettura delle poesie, e che Aristotele, Ciceron?, Plutoni, Quintiliano, Longino han sempre davanti Omero scrivendo, ed ammaestrando. L’ entusiasmo del gran Platone emula quello del grande Omero, e giugne alla invocazioni poetiche delle muse, come nel Fedro, ove fa dire a Socrate — Silenzio, udire j fi argomento, eh’ io tratto, è tutto divino. Non vi stupite, s’io parlo coni; spirato dall’ alto, e se il mio parlare rassembra ad un ditirambo... M:<se, o voi amabili Dee dell’ armonia, voi chiamo, ed invoco, accorrete, reggetemi voi nell’ impresa. — Un filosofo inver non par questi, ma un vero poeta da furore divino compreso, che non può contenere il nume, di cui va ripieno. Eppur guanti passi sono animati di questp fuoco in tutre l’opere di Platone ? Onde non è maraviglia se fu posto assai spesso in confronto d’ Omero, chiamaci divini amendue, e tenuti dal pari per la grandezza, e fecondità del lor genio, siccome i sovrani ingegni del mondo. L’un si disse il filosofo de’ poeti, come ]’ altro il poeta direbbesi de’ filosofi.
Evidenza, colore, elevazione, passione, che fan sentire gli affetti, i contrasti, i pensieri di tutti gli attori ne’ poemi dell’ uno, e ne’ dialoghi pur dell’altro, onde possono chiamarsi. i più drammatici tra gli scrittori di verso, o di prosa per quella vita, ed azione, che sparsero nelle lor’ opere. Ambi ricchissimi di finzioni, ed invenzioni, che più incantano chi li legge, senza eh’ ei se n’ avvegga, perchè 1’ uomo è sempre fanciullo per 1* amor del mirabile, e in ogni età v’ ha le sue favole, e i suoi apologhi ad allettarci, e sono in Platone, e in Omero i simboli, le allegorie, le immagini sempre ingegnose cavate dal seno dell’ entusiasmo. Vero è, che molto si dee del merito di Platone a Sacrati suo maestro, quanto alle massime psincipalmente, e dottnue tuoraii, come assai Senofonte nella Ciropedia si dimostra socratico insieme, e platonico, cioè condiscepolo dell’uno, e scolare dell’altro. Ma Socrate poi tutto debbe ad Omero sempre letto da lui, e quindi è questi il padre di tutti. Vedi alla nota sesta un cenno di’ moderni.
FINE DELL’ENTUSIASMO |