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SEZIONE V.
INCONVENIENTI DELLE LEGGI NON SCRITTE.
I due capitoli seguenti riguardano gli stati che non han codice scritto, principalmente l’Inghilterra e l’America inglese. La legge presso queste due nazioni trovasi divisa in due parti dissimili: l’una chiamata legge comune, strana espressione per indicare una giurisprudenza fondata sopra alcuni principj di legislazione più congetturali che conosciuti, donde i giudici hanno tratte successivamente delle decisioni pronunziate le une dietro la scorta delle altre e costituenti regole giuridiche che si dicono dirigere le posteriori pronunzie.
L’altra parte della legge è composta di statuti o di leggi positive emanate dal parlamento in Inghilterra e dal congresso in America.
La legge comune non è dunque una legge scritta, una legge in terminis. In ogni decisione che i giudici emanano, dichiarano che la loro pronunzia è eguale a quelle già proferite in simili casi. Essi non intendono di giudicare arbitrariamente, anzi rigettano questa imputazione come ingiuriosa al loro ufficio; non sono, dicono essi, che gl’interpetri di questa legge composta di tutte le decisioni anteriori.
Ecco i lettori istruiti sulla questione ed in grado d’intendere gli argomenti contro tal maniera di giudicare.
La legge dev’esser conosciuta. Questo è il principio da cui partiamo; ma per esser conosciuta, bisogna che esista. Ora la legge comune esiste ella? Quando vi si dice: la legge comune vuole, la legge comune proibisce, la frase è imponente: ma cercate la legge comune, domandate che vi si additi: essa non esiste, niun può dirvi nè dove, nè ciò che è. È un essere ideale, una finzione, una legge immaginaria.
Diana efesia è grande, dicevano i sacerdoti del tempio d’Efeso. Grande è Minerva ateniese, esclamavano i sacerdoti del tempio d’Atene, di quell’Atene ove S. Paolo per la prima volta predicava il Dio sconosciuto. I curiali in Inghilterra hanno la loro Diana, la loro Minerva, la loro Dea ideale. La legge, dice Blackstone, uno dei sommi sacerdoti di questa dea, la legge comune è la perfezione della ragione; ed infinite voci s’inalzano per ripeter trionfalmente: «La legge comune è la perfezione della ragione.»
Volete sapere ciò che è una legge, una vera legge? Aprite il libro degli statuti, — ecco l’oggetto esistente, la cosa reale che un legista inglese vi presenta contraffatta, falsificata e vi dà per buona valendosi d’una parola ingannevole: io dico la parola, poichè nulla v’è di più; e la lingua inglese è forse la sola che qui usi lo stesso termine per indicare l’entità reale e l’entità fittizia: L’influenza del nome non è poco onde spacciare la legge immaginaria per mezzo della legge reale.
Che rispondono a ciò i partigiani della legge comune? «È vero che in tutto questo sistema non può testualmente citarsi alcuna legge individuale, poichè la legge comune non esiste che nel suo insieme. Ma quando si esamina tutta intiera, si scorge l’accordo di tutte le sue parti, e se ne ha un sistema completo».
Ecco plausibili frasi, ma vuote di senso. Che cosa è un insieme, se non un composto di parti che coesistono? Che cosa è un corpo di leggi, se non un insieme di leggi individuali? Parlar d’una legge comune ove non si trovasse una sola legge positiva, sarebbe come parlar d’una città senza case, d’una selva senz’alberi.
Ma un’altra difesa e miglior di questa opporranno i sostenitori di tal sistema. Non v’è legge positiva nella legge comune, diranno, ma ciò che è eguale, e che anzi è lo stesso, vi sono regole di legge, cioè sentenze pronunziate dai giudici in particolari casi, sentenze che loro servon di guida, e secondo le quali essi ed i loro successori pronunziano nei casi eguali.
Ammettiamo questa massima: la prima conseguenza si è che i giudici divengon legislatori. In apparenza, sembrano pronunziare secondo una legge sanzionata dall’autorità suprema; in fatto, sono dessi gli autori della regola secondo la quale pronunziano.
Non importa, si dirà; se la regola giuridica è costantemente seguita, se nascono da questa legge fittizia decisioni certe, uniformi come quelle che potrebbero ottenersi con una legge statutaria, la sicurezza dei cittadini sarà la stessa sotto le due specie di leggi; e la cosa si ridurrebbe ad una semplice question di parole.
Ma nulla di più gratuito di questa supposizione di stabilità, di certezza, d’uniformità nelle decisioni fondate sopra una legge non scritta. Sarebbe come se ad un quadro a pastello si paragonasse una pittura a olio.
La legge comune è forse oggi ciò che era in prima? Nò certamente, essa cede, piega, cambia, s’adatta secondo gli umori, i tempi, gl’ingegni, le circostanze; la legge statutaria è una sostanza solida che si può è vero contorcere, deformare, troncare, ma che conserva un carattere immutabile, e che si presenta sempre la stessa per esser confrontata con le decisioni dei giudici.
Mi presento ad un curiale, gli domando il suo parere, cioè qual decisione nel particolar mio caso posso sperar dai tribunali secondo le pronunzie anteriori; che ne presume per la regola giuridica? Il mio legale esamina, confronta le decisioni, ed asserisce che la regola della legge mi è chiaramente favorevole; consulto altri legali e li trovo dello stesso avviso.
Non debbo per questo contar sulla vittoria della causa: non v’è che una presunzione favorevole. Il mio avversario ha pur consultati i suoi curiali che hanno trovate delle decisioni in senso opposto; infiniti motivi posson rendere di niun valore quelle che mi erano le più favorevoli. Probabilità maggiori o minori, ecco tutto il frutto delle più dotte, delle più ragionate consultazioni.
Le sentenze hanno prodotte le regole di legge; le regole producon quindi delle sentenze; le une e le altre divengono alternativamente causa ed effetto. Tale è l’essenza del sistema.
Queste regole e queste sentenze si trovan notate in un infinito numero di compendi e di trattati anche essi estratti dalle decisioni, cioè dai libri di giurisprudenza contenenti non solo le sentenze pronunziate in cause individuali, ma anche l’argomentazione giuridica su cui sono state basate, l’esposizione delle ragioni favorevoli e contrarie, in una parola l’opinioni dei giudici sulle regole di legge applicabili a questi casi particolari.
Ora, contro la decisione che è sembrata sì positivamente a voi favorevole, quante obiezioni, quante ragioni per renderla di niun valore non possono opporsi dal vostro avversario, non posson venire in niente al vostro giudice! Non può darsi che una debolissima idea delle ragioni tecniche di cui può far uso la difesa; sono innumerevoli; un abil pratico invecchia perorando senza poterle tutte conoscere, ed il suo sapere in un grandissimo numero di casi è puramente congetturale.
Si dirà per esempio che nel vostro particolar caso la decisione che v’è favorevole è stata il lavoro d’un relatore poco esatto; — che un’altra pronunzia sul medesimo caso presenta considerevoli variazioni; — che nella decisione da voi allegata troppo erasene trascurata un’altra anteriore totalmente contraria; — che non eravi stata unanimità fra i giudici; — che i più abili i più rinomati non erano stati del parere su cui vi fondate; — che l’opinione della curia in quel tempo s’era dichiarata manifestamente contro quella decisione; — che alla sentenza pubblica ed impressa che citate ne sta contro un’altra che contempla lo stesso caso, non pubblicata, non stampata, ma che si trova in un manoscritto autentico posseduto dal difensore del vostro antagonista. Si dirà in fine, si proverà che esistono autorità giuridiche, gravi autorità di cui alcune sono favorevoli, altre contrarie al punto in questione, e che in questo conflitto ciò che può dirsi in vostro favore ha più che equivalenti contrarie opinioni.
E questo non è, lo ripeto, che una debole imagine delle difese che si fondano sulle decisioni anteriori dei giudici; ma basta per intendere come una causa promossa con la più ferma fiducia da un dotto e savio legale, può essere intieramente perduta con mezzi di decidere sì poco conosciuti e sì tenebrosi.
Nè l’incertezza è il solo male inerente alla legge non scritta; è pur da notarsi che è assolutamente incorrigibile. Infatti se le antiche decisioni devono costantemente esser legge, conviene sottomettervisi, ancorchè urtino i costumi attuali, gl’interessi ed i bisogni presenti: nè il male ammette rimedio, poichè non potrebbe adottarsi un diverso modo di giudicare senza rovesciar le antiche decisioni, ed allora l’intiero sistema mancando di base caderebbe da se stesso.
Domando quel che può essere una giurisprudenza inalterabile, incorrigibile, intangibile, inaccessibile a tutti i progressi dell’esperienza e della ragione.
Ma i giudici inglesi, sebben respingano la taccia d’innovazione, hanno saputo transigere con le sopravvenienti necessità, ed han ricorso a due mezzi che loro offrivano una conciliazione col rigore della legge comune: 1.° le costruzioni forzate, 2.° le distinzioni.
Per costruzioni forzate intendo i casi in cui la decisione anteriore essendo stata scritta in termini d’una certa e conosciuta intelligenza, i giudici danno loro un nuovo significato per scendere in altra sentenza allorchè l’irragionevolezza dell’antica decisione appare troppo evidente, e vogliono allontanarsene sembrando seguirla. Ma chi non vede che questo rimedio non tende che ad aumentar l’incertezza, a produrre un nuovo male. Quanto più si studiano le questioni decise sotto l’influenza della legge comune, tanto più si scorge l’immensità delle costruzioni forzate, l’innumerabilità delle sue insidie.
L’arte delle distinzioni non è men comoda per celare ciò che non vuol confessarsi, cioè il bisogno di corregger la legge comune senza dimostrarlo, di modificarla, di adattarla a grado a grado alle circostanze della società.
Che cosa è una distinzione? Un’eccezione con cui si toglie alla regola generale il caso in questione. Ora queste eccezioni non sono state preventivamente determinate; nascono dall’occasione individuale; dipendono dalla sottigliezza dei curiali e dei giudici; è dunque impossibile di prevederle: e poichè non si potrebbero indicare i limiti di queste distinzioni, nè v’è regola generale a cui non possa farsi una nuova eccezione, ne deriva che questo modo di toglier gl’inconvenienti delle antiche decisioni non fa che aumentar l’incertezza della legge comune.
Si dirà forse che la legge statutaria come regola fissa presenterebbe le medesime difficoltà, ed obbligherebbe allo stesso sistema di costruzioni forzate, di distinzioni e d’eccezioni?
Rispondo prima di tutto che negli statuti nulla di più comune che unire alla legge un numero d’eccezioni, che essendo tutte preventivamente conosciute non colpiscon nessuno all’impensata. Quanto più il legislatore avrà cognizione degli affari, tanto più queste eccezioni saranno estese. Ma accordando che la legge scritta abbia le sue imperfezioni, bisogna che ci si accordi pure che sono facili a designarsi, e per conseguenza facili a correggersi; mentre i partigiani della legge comune, esaltando sempre questa dea che adorano, negano di riconoscere in essa alcun difetto e di confessar cosa alcuna che possa diminuirne la gloria.
Ma una legge naturalmente sì incerta, sì sottoposta alle costruzioni forzate, alle distinzioni interpetrative, non offre forse una trista tentazione a quelli che sono incaricati della sua applicazione come difensori o come giudici?
Io prego i lettori a considerar la massima seguente. «Nella maggior parte dei casi profondamente discussi sotto la legge comune, il giudice avrebbe potuto senza rimprovero alla sua probità od al suo sapere pronunziare una decisione direttamente opposta a quella emanata.» Non trovo scritta questa massima in verun luogo; ma non v’è un giurista in Inghilterra che non l’abbia intesa ripetere dai suoi colleghi; un solo che non ne abbia riconosciuta la verità con la propria esperienza; e tuttavia non v’è forse un solo che scorga quanto biasimo questa massima contenga contro una legge, che offre ai giudici un mezzo sicuro per emanare contradittorie decisioni.
«Non v’è causa che debba abbandonarsi come disperata.» Che pensar d’un sistema che ha motivata una tal sentenza. Tuttavia con queste espressioni, in questi precisi termini fu pronunziata da un distintissimo giureconsulto inglese, Vedderburn, allorchè era difensore ben presto poi elevato alla giudicatura col titolo di Lord Longhborough, e divenuto quindi cancelliere e motor della legge.
Or lo domando: un poter si arbitrario non è egli suscettibile a volgersi in un mezzo di corruzione? Non parlerò di fatti, ma francamente lo dico: se vi fosse un giudice disposto a barattar la giustizia, la mente non potrebbe concepire, nè il cuore umano desiderare velo più impenetrabile di questo: e se con un sistema di tal fatta non v’è corruzione, non merita lode la legge, ma la virtù dei giudici; in ultima analisi bisogna attribuirlo ad un governo che protegge con altre garanzie, principalmente alla pubblicità utile istituzione contro i difetti di una giurisprudenza incerta e congetturale.
Ma lungi un’esagerata critica: riconosciamo francamente che questa legge comune, la quale nello stato attuale delle nostre cognizioni mi sembra un flagello, un obbrobrio, è stata comparativamente nella sua origine una garanzia ed un bene.
Se partiamo dallo stato primitivo d’ignoranza nell’origine del governo Anglo-Sassone, vedremo che le decisioni particolari dei giudici da cui son dedotte gradatamente regole generali, sebbene non sieno state leggi, poichè non eran l’opera del legislatore, tuttavolta presentavano grandi vantaggi. Queste decisioni, queste regole erano una guida pe’ successori dei primi giudici; e nel tempo stesso erano una barriera che li riteneva in certi limiti e preveniva troppo manifesti deviamenti. Così ottenevasi una parte dei buoni effetti della legge. In principio ogni decisione era puramente arbitraria; nuove eran le questioni ad ogni giudice. Non essendovi esperienza, non v’era scienza. I progressi non sono divenuti sensibili se non dopo avere incominciato a raccogliere le decisioni dei giudici ed i motivi che li avevano indotti a così decidere. Quindi si è formata quell’immensa collezione di decisioni, quel ricco deposito di legislazione, questo retaggio della saviezza dei più abili giureconsulti, a cui non vi è popolo che possa por nulla a confronto, e che somministra tutti i mezzi desiderabili per comporre un codice generale; ma se non dissimulo il vantaggio nascente dalla legge comune di determinare in molti casi le decisioni da proferirsi, debbo pur dire che nel maggior numero di essi lascia delle questioni da discutere, dei dubbi da risolvere, dei rischi inevitabili da superare, e che tutto il bene il quale ne resulta e che niuno impugna, sarebbe, non dico una, ma dieci volte maggiore con un codice scritto col soccorso di questa lunga esperienza.