< Della congiura di Catilina
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Gaio Sallustio Crispo - Della congiura di Catilina (I secolo a.C.)
Traduzione dal latino di Vittorio Alfieri (1798)
VII
VI VIII

Allora ben tosto innalzaronsi gli animi, si assottigliaron gl’ingegni. Che ai Re, non insospettiti mai de’ cattivi quanto del buoni, l’altrui virtù si fa sempre terribile. Maraviglia a narrarsi, quanto Roma, ottenuta la libertà, in breve crescesse: cotanto era invasa dalla brama di gloria. La gioventù, appena dell’armi capace, colle fatiche e l’esercizio addottrinandosi andava nel campo: nè di banchetti e dissolutezze dilettavasi, ma di lucide armi e di cavalli guerrieri. Quindi a sì maschi animi nessuna fatica era insolita, nessun luogo era aspro nè scabro, nessun nemico tremendo: ogni cosa avea doma il valore. Ma immensa fra essi di gloria la gara. Ciascuno, ferire il nemico, le mura assalire, e da tutti essere in tal atto osservato studiavasi, ciò ricchezza, ciò fama, ciò somma nobiltà riputando. Di lode assetati, larghi del danaro, massima voleano la gloria, discrete le facoltà. Rimembrerei, dove pochi Romani sconfiggessero moltissime torme nemiche; quali citta per natura fortissime espugnassero: ma ciò dal proposito mio troppo svierebbemi.

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