< Della congiura di Catilina
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Gaio Sallustio Crispo - Della congiura di Catilina (I secolo a.C.)
Traduzione dal latino di Vittorio Alfieri (1798)
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XXXIX XLI

Fece perciò da un Publio Umbreno instigare i Legati degli Allobrogi ad associarsi a tal guerra, facile stimando il guadagnarsi que’ popoli dai pubblici e privati debiti angariati, ed inoltre, come Galli, per natura belligeri. Umbreno, che in Gallia avea trafficato, molti di que’ capi conoscea, ed era lor noto: onde, senza indugiare, veduti i Legati nel Foro, brevemente informatosi delle angustie della loro città, e quasi compiangendola, interrogolli qual fine a tanti mali sperassero. Udendoli poscia dolersi dell’avarizia de’ magistrati, dell’infingardo Senato, e dire ch’altro rimedio non aspettavano a tante calamità, che la morte; soggiungeva egli loro: «Eppure, soltanto che vogliate esser uomini voi, insegnerovvi ben io come a sì gravi mali sottrarvi». Gli Allobrogi, per queste parole in alte speranze saliti, a pregare Umbreno di usar loro pietà; ad affermare non v’esser sì scabra cosa e terribile, ch’essi ardentemente non intraprendessero, purchè la lor patria si disgravasse dai debiti. Umbreno quindi gli introduce nella casa di Decimo Bruto, la quale per essere al Foro vicina, ed allora abitata da Sempronia in assenza di Bruto, pareva opportuna. Quivi ad un tempo invita Gabinio, per dar maggior peso a’ suoi detti: e, lui presente, rivela agli Allobrogi la congiura, i congiurati nomando, e molti altri d’ogni classe che tali non erano, per maggiormente inanimire i Legati. Promessa poi che hanno l’opera loro, accomiatali.

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