< Della congiura di Catilina
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Gaio Sallustio Crispo - Della congiura di Catilina (I secolo a.C.)
Traduzione dal latino di Vittorio Alfieri (1798)
XLVIII
XLVII XLIX

Palesata così la congiura, la plebe che prima per amor di novità favoriva la guerra, mutatasi di parere abbominava ora i disegni di Catilina; Cicerone al cielo innalzava; e, quasi scampata da servitù, nell’animo e nell’aspetto gioiva. Stimavan essi dai comuni eventi di guerra ritrarre più guadagno che danno; ma di Roma l’incendio riputavano cosa crudele immoderata e gravosissima a loro stessi, che altro sostegno non aveano che il giornaliere lavoro. Fu poco dopo condotto in Senato un Lucio Tarquinio, arrestato, dicevasi, mentre a Catilina n’andava. Costui offerendo indizj della congiura mediante l’impunità, ottenutala, disse dell’incendio, delle uccisioni, dell’inoltrarsi de’ nemici, quasi le cose stesse da Volturcio indicate: di più; essere egli da Crasso a Catilina mandato per incoraggirlo ad avvicinarsi a Roma, benchè già presi vi fossero Lentulo, Cetego, ed altri congiurati; che anzi, vieppiù affrettandosi, egli rincoraggirebbe i rimanenti, e più facilmente sottrarrebbeli dal pericolo. All’uscire di bocca a Tarquinio il nome di Crasso, uomo nobile, ricchissimo, ed oltre tutti potente; chi la cosa stimando incredibile, chi vera credendola; siccome pure in tali circostanze un tant’uomo da raddolcirsi più che da irritarsi parea; e molti essendogli privatamente obbligati; tutti esclamano esser falso l’indizio, e chieggono che si chiarisca. Quindi consultato perciò da Cicerone il Senato, quasi a pieni voti decretasi: non esser

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