< Della generazione de' mostri
Questo testo è incompleto.
Capo primo Capo terzo

Quali siano i Mostri ed onde nascano

Come tutti gli arcieri hanno un segno solo e non più, nel quale pongono la mira, ed ogni volta che non percuotono in quello, non conseguiscono il fine loro, e si dicono errare: così né più, né meno tutti i generanti hanno un fine solo, ciò è di generare cosa somigliante a loro, ed ogni volta, che per qualunque cagione non conseguono il desiderato fine, essi si dicono errare, e cotali parti si chiamano Mostri, i quali possono essere di molte e diverse maniere, anzi quasi infinito; perché come la mira è una, e tutti i colpi, che non colgono in quella, sono errori: così il parto vero è uno solo, e tutti gli altri sono mostri, i quali si fanno, come avemo detto, in tutte quante le cose così animate, e così artificiali, come naturali, di quante maniere e per quanti modi avemo raccontato di sopra generalmente.

I quali volendo specificare alquanto meglio o venir più al particolare, diciamo esser verissimo, che così negli animali come negli uomini nascono parti mostruosi, i quali o abbondano, o mancano delle membra ordinarie, così esteriori, come interiori, o l'hanno trasposte o offese. E per darne alcun esempio più notabile, oltra quelli che si trovano assai spesso in tutte le storie, racconta M. Lodovico Celio Rodigino[1], uomo il quale aveva lette e notate con assai diligenza infinite cose, nel terzo capitolo del tredicesimo libro delle Lezioni antiche, che l'anno 1514 nacque in un borgo chiamato Sarzano vicino alla patria sua un bambino con due capi, nel quale erano più cose straordinarie e maravigliose: perciocché egli aveva tutte le membra intere, proporzionate e ben fornite, le quali mostravano di quattro mesi; e aveva i visi tanto simili l'uno all'altro, che non si potevano quasi discernere; aveva i capelli lunghetti e neri: tra l'un capo e l'altro sorgeva una terza mano, la quale non era maggiore dell'orecchie, ma non si vedeva tutta; e perché lo fecero sparare, gli trovarono un cuor solo, ma due milze e due fegati. M. Celio Calcagnino Ferrarese, uomo di grandissima lezione, e molto riputato nella sua patria, scrive nel commento che fece sopra il titolo della significazione delle parole, nella legge Ostentum, d'aver letto appresso Giulio Ossequente, il quale scrittore io non ho veduto, che d'una schiava nacque un fanciullo con quattro piedi, quattro mani, quattro occhi, quattro orecchie e due membri naturali. Piero del Riccio nostro Fiorentino, giovane molto studioso e letterato, e degno di più grata patria, e meno avversa fortuna, che egli non ebbe, narra nell'ottavo capitolo del ventunesimo libro, che egli intitolò dell' Onesta Disciplina[2], come fu scritto anticamente, che al tempo di Teodosio Imperadore nacque un bambino, che dal bellico in giù era tutto intero e senza mostruosità alcuna; ma dal bellico in su era tutto doppio, avendo due capi, due visi e due petti con tutte l'altre parti e sentimenti loro compitamente perfetti: e quello che è più maraviglioso alcuna volta mangiava l'uno e non l'altro, e così molte volte uno dormiva, e l'altro era desto: scherzavano talora insieme, ridevano, piangevano, e si davano molte volte. Visse vicino a due anni: poi essendone morto uno, l'altro dopo quattro anni si infracidò anch'egli e morissi. Ma che bisogna raccontare quello che scrivono gli altri? Non se ne sono veduti molti e anticamente, e né tempi nostri, non che in Italia, come fu quello di Ravenna, ma nel dominio Fiorentino, e in Firenze medesima? Quanti sono in questo luogo che si ricordano d'aver veduto quel mostro, che nacque dalla Porta al Prato circa dodici anni sono, il quale fu ritratto egregiamente dallo eccellentissimo Bronzino?[3] Il quale era così fatto: erano due femmine congiunte ed appiccate insieme l'una verso l'altra di maniera, che mezzo il petto dell'una insieme con quello dell'altra, facevano un petto solo, e così formavano due petti, l'uno rincontro l'altro; le schiene non erano comuni, ma ciascuna aveva le sue di per sé: aveva la testa volta al diritto dell'uno dei due petti, e dell'altro lato in luogo di volto aveva due orecchi che si congiungevano l'uno contro l'altro e si toccavano: il viso era assai bello: gli occhi azzurricci: aveva i denti di sopra e di sotto bianchissimi più teneri che l'osso, e più duri che il tenerume: grandi come d'uomo le spalle, una delle quali era molto bene proporzionata, l'altra dal mezzo della schiena in giù era stroppiata; e specialmente aveva storpie le gambe una delle quali era molto corta a comparazione dell'altra: aveva una certa pelle pagonazziccia che la copriva di dietro, e le veniva dinanzi infino alla natura, appiccandosi al pettignone; le braccia o le mani d'entrambe erano bellissime e ben proporzionate, e mostravano come tutte l'altre membra di dieci o didici anni, ancora che il mostro fosse piccolo. La separazione di dette fanciulle era nel bellico, il quale solo serviva al comune nutrimento d'amendue. Fecesi separare nell'orto di Palla Rucellai alla presenza di maestro Alessandro da Ripa e di maestro Francesco da Monte Varchi, e d'alcuni altri medici e pittori eccellentissimi. Trovaronvisi due cuori, due fegati e due polmoni, e finalmente ogni cosa doppia, come per due corpi, ma le canne che si partivano da' cuori si congiungevano circa alla fontanella della gola, e diventavano una. Dentro il corpo non era divisione alcuna, ma le costole dell'uno s'appiccavano alle costole dell'altro infino alla forcella del petto, e da indi in giù servivano ciascuna alle sue schiene. Questi e molt'altri mostri simili e diversi, come quello che si vede nella Loggia dello Spedale della Scala, crediamo noi filosoficamente, che siano stati e che possono essere: ma non è già vero secondo i Peripatetici quello che dice Plinio, che una donna chiamata Alcippe partorisse uno elefante; perciocché non pur gli uomini, ma nessuna spezie perfetta può produrre un'altra spezie diversa; perciocchè, come dice il Filosofo nella scienza divina, ogni simile si genera dal suo simile. E perché il medesimo Plinio testimonia nel medesimo luogo, che una schiava in un i principii della guerra de' Marsi partorì un serpe, e molti affermano aver veduto delle donne, le quali hanno partorito delle botte ed altre così fatte cose, rispondiamo che questi non si chiamano parti, né quelli mostri; ciò è non sono generati di sperma, né della sostanza del seme, ma di umori corrotti, o per la cattività de' cibi, o per qualunque altra cagione, non altramente che si generano i vermini negli intestini. Ed è tanto lontano da' filosofi, che una spezie perfetta possa generare un'altra spezie diversa da sé, che essi non vogliono ancora che si possa generare mostro alcuno di due spezie diverse, come molti affermano di aver veduto, come, esempi grazia, un fanciullo col capo di bertuccia, o di cane, o di cavallo, o d'altro animale, o un vitello, o un cane, o bue col capo d'uomo. E la ragione allegata da loro è, che altro tempo ricerca la gravidezza e parto d'un uomo, ed altro quella d'una pecora o d'un bue, e nessuno parto può nascere, se non nel tempo debito e conveniente a lui. Onde Aristotile nel terzo capo del quarto libro allegato di sopra due volte da noi, dice queste parole formali: Jam puerum ortum capite arietis, aut bovis referunt; itemque in caeteris membrum nominant animalis diversi: vitulum capite pueri, et ovem capite bovis natam asseverant. Quae omnia accidunt quidem causis supra dictis, sed nihil ex his, quae nominant est, quamvis similitudo quaedam generetur. E poco di sotto più chiaramente: Sed enim impossibile esse, ut tale monstrum gignatur, idest alterum in altero animal, tempora ipsa graviditatis declarant, quae plurimum discrepant in homine, et cane, et in ove, et bove: nasci autem ullum nisi suo tempore potest. Ed a quelli che affermano d'averli veduti rispondono, che sono stati ingannati dalla somiglianza, parendo loro quello che non era; conciosia che in quelli che non sono mostri, si vede molte volte alcuna sembianza di alcuno animale, onde si dice spesse fiate, d'alcuno volendo lodarlo: Egli ha cera, o vero piglio di leone; ed alcuno volendolo ingiuriare, viso di bue, volto d'asino, mostaccio di pecora, ceffo di cane, muso di topo, grifo di porco ed altre simili villanie. Ed alcuni fisiomanti come tesimonia Aristotile, avevano ridotte queste somiglianze a tre. E così sarebbero forzati a rispondere i Peripatetici a quel mostro che nacque l'anno 1543 in Avignone, il quale nacque dopo tre dì che era nata dalla medesima donna una bambina, la quale non visse un'ora, ed era così fatto. Egli aveva la testa d'uomo dagli orecchi in fuori, i quali insieme col collo, colle braccia e mani erano di cane, e così il membro virile: le gambe ed i piedi con un picciol segno di coda di dietro, e tutte le membra canine erano coperte di pelo lungo e nero come era il cane, col quale confessò poi essersi giacciuta quella tal donna che l'aveva partorito: il restante del corpo infino alla cintura, era tutto d'uomo, colle coscie e le gambe bianchissime; il quale mezzo abbaiava e mezzo avrebbe voluto favellare, ma mugolava, e dicono che egli fece delle braccia croce in atto di volersi raccomandare: il che o non crederebbero i Peripatetici, o direbbero che fosse stato a caso. Visse tanto, che fu portato da Avignone a Marsiglia al cristianissimo Re Francesco, il quale l'ultimo giorno di luglio fece abbruciare la donna ed il cane insieme. Non niegano già, che gli animali di diverse spezie si congiungano l'uno con l'altro alcuna volta e partoriscano, come si vede tutto 'l dì degli asini e muli, ma quelli solamente, i quali se bene sono di diversa spezie, sono però molto simili di natura, e quasi grandi a un modo; ed il tempo della gravidezza e pregnezza loro è il medesimo, come sono i cani, i lupi, le golpi ed altri cotali; la qual cosa dimostrano apertamente queste parole d'Aristotile nel quinto capitolo del secondo libro detto di sopra: Coeunt animalia generis ejusdem secundum naturam, sed ea etiam quorum genus diversum quidem, sed natura non multum distat, si modo par magnitudo sit, et tempora aequent graviditatis raro id fit, sed tamen fieri, et in canibus, et in lupis, et in vulpibus, certum est. E quel proverbio, il quale diceva che l'Africa arrecava sempre alcuna cosa di nuovo, ne fa fede manifesta. Onde nascano, e da quali cagioni procedano i sopraddetti mostri è agevolissimo a risolvere secondo i teologi, perciocché essi, come dovemo credere, direbbero, che come tutte l'altre cose, così i mostri procedono dalla volontà di Dio, la cui sapienza non intesa, e da non potersi intendere da noi, li fa dove, quando, ed in quel modo che più le piace: al che non possono rispondere i filosofi, i quali non credono se non quello o che mostra il senso, o che detta la ragione. Non è anco difficile cotal dubbio secondo gli astrologi, i quali direbbero, come si vede in Tolomeo, in Giulio Firmico, in Alcabizio ed in altri, che i tali pianeti, con i tali aspetti, né tai segni sono cagione della produzione de' mostri: al che rispondono i filosofi, questo essere per accidente; perché quelle tali costellazioni non sono cagione d'altro per sé e principalmente, se non di lume; e se quel lume così disposto è cagione che il seme dell'uomo o per la troppa caldezza, o per la troppa freddezza si renda indisposto e non atto a generare, onde si produca qualche mostro, il cielo viene a essere cagione de' mostri per accidente; e le cagioni per accidente sono indeterminate; e le cagioni indeterminate sono incognite. E così secondo i filosofi, gli astrologi non possono predire la generazione de' mostri, se non per accidente, presupponendo, come vuole Aristotile, che il cielo non operi in queste cose di quaggiù, se non mediante il lume e movimento suo, perché a coloro che danno gli influssi e proprietà occulte, non possono rispondere gli Aristotelici, se non col negarle, o dire di non crederle, come fanno molti, ancora che il senso e la sperienza le mostri loro tutto il dì.

Note

  1. Ludovico Celio Richieri, che da Rovigo sua patria prese comunemente il soprannome di Rodigino, nacque verso il 1460. Stette per qualche tempo a dimora in Francia; poi fu eletto in patria pubblico maestro, ma dalle fazioni civili venne costretto a partirsene, anzi per legge ne fu perpetuamente sbandito. Indi fu professore in Vicenza, in Milano ed in Padova, d'onde, cessate le fazioni, fu richiamato in patria. Morì verso il 1525. Scrisse un'opera di ponderosa erudizione intitolata Antiquorum Lectionum, che si può paragonare a un ampio magazzino, in cui si trovino merci d'ogni maniera insieme, confuse e tramescolate. MAURI.
  2. Non mi venne fatto di trovare alcuna notizia intorno a codesto Piero del Riccio. MAURI.
  3. Angiolo Bronzino, contemporaneo e dimestico del Vasari, fu pittore di assai grido e valente poeta nel genere scherzevole. Le sue poesie vennero stampate con quelle del Berni. Fu scolare del Pontormo, imitatore un pochino servile di Michelangelo. MAURI.
Questa voce è stata pubblicata da Wikisource. Il testo è rilasciato in base alla licenza Creative Commons Attribuzione-Condividi allo stesso modo. Potrebbero essere applicate clausole aggiuntive per i file multimediali.