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Luciano di Samosata - VIII. Dialoghi degli Dei (Antichità)
Traduzione dal greco di Luigi Settembrini (1862)
17. Apollo e Mercurio
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17.

Apollo e Mercurio.


Apollo. Perchè ridi, o Mercurio?

Mercurio. Perchè ho veduto cosa veramente da far ridere, o Apollo.

Apollo. Dimmela, e farai ridere anche me.

Mercurio. Venere è stata còlta con Marte, e Vulcano li tiene tutti e due legati.

Apollo. Come? oh, questa è piacevole.

Mercurio. Da molto tempo ei sapeva ogni cosa, e li spiava: ed avendo messa intorno al letto una rete invisibile, vassene a lavorar nella fucina. Ed ecco Marte entra di soppiatto, com’ei credeva; ma il Sole lo vede, e ne avvisa Vulcano. Poi che salgono sul letto, e sono nel più bello del giuoco; scocca la rete, e si trovano ravviluppati nelle catene, e tosto giunge Vulcano. Ella era nuda, e non aveva come nascondersi per la vergogna. Marte da prima tentò di fuggire, e sperò di spezzar quei legami: ma accortosi di non avere altro scampo, si volse alle preghiere.

Apollo. Infine li ha sciolti Vulcano?

Mercurio. Niente affatto, ma ha chiamati tutti gli Dei, e ce li ha mostrati in quell’atto dell’adulterio. Entrambi nudi, raccoccolati, legati, non ardivan levare il viso: io aveva tanto diletto a riguardare, quant’essi n’avevano avuto nel fare.

Apollo. E il fabbro non arrossiva di mostrar la sua vergogna?

Mercurio. Altro! ei stava presente, e li beffava. Io, se debbo dirti il vero, invidiavo a Marte, che non pure si era sollazzato con una Dea tanto bellissima, ma stava legato con lei.

Apollo. E avresti sofferto d’esser legato anche così?

Mercurio. E tu no, tu, o Apollo? Vieni a vedere, t’avrò in gran concetto se a tal vista non ti verrà la stessa voglia.


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