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Traduzione dal greco di Luigi Settembrini (1862)
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19.
Venere e Amore.
Venere. Perchè mai, o Amore, tu che vincesti tutti gli altri Dei, Giove, Nettuno, Apollo, Rea, e me tua madre, solo Pallade non tocchi, e per lei hai la face spenta, la faretra vuota, sei senz’arco e senza dardi?
Amore. Io la temo, o madre, chè ella mi fa paura con quegli occhi cerulei e con quell’aria di maschile fierezza. Quando io vado per tender l’arco e mirare in lei, ella squassa le creste dell’elmo, ed io mi sbigottisco, e tremo, e mi cadon le saette di mano.
Venere. E Marte non era più terribile di lei? eppure lo disarmasti e lo vincesti.
Amore. Ma egli mi viene incontro da sè, e mi chiama: Pallade per contrario è sempre sospettosa: ed una volta che a caso la toccai passando, avendo in mano la face, ella mi disse: Se mi ti avvicini, giuro a Giove, con questa lancia ti passerò fuor fuora, o t’afferrerò per un piede e ti getterò nel Tartaro, o ti squarterò; e m’aggiunse molte altre minacce. Ella guarda sempre in torto, e innanzi al petto porta una figura orribile chiomata di vipere, e di quella specialmente io mi spaurisco, e fuggo quando la vedo.
Venere. Dici che temi di Pallade e della Gorgone, tu che non hai temuto il fulmine di Giove. Ma e le Muse perchè non sentono i tuoi dardi? forse anch’esse squassan le creste dell’elmo, e mostrano la Gorgone?
Amore. Le rispetto, o madre, perchè sono venerande, han sempre l’animo ai bei pensieri, e sono intese al canto: spesso mi accosto ad esse, tirato dai loro canti soavi.
Venere. Vada anche per queste perchè venerande. E Diana, perchè non la ferisci?
Amore. Perchè non posso raggiungerla, che va sempre scorrendo pe’ monti: ma pure ella ha un certo amore.
Venere. E quale, o figliuolo?
Amore. Di cacciar fiere, e cervi, e cerbiatti, di seguitarli, di saettarli, ed è tutta in questo. Ma il fratel suo, tutto che valente saettatore anch’egli....
Venere. So, o figliuolo, che tu spesso l’hai saettato.