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Luciano di Samosata - VIII. Dialoghi degli Dei (Antichità)
Traduzione dal greco di Luigi Settembrini (1862)
24. Mercurio e Maia
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24.

Mercurio e Maia.


Mercurio. Ed evvi, o madre, un dio in cielo più infelice di me?

Maia. Non dir questo, o Mercurio.

Mercurio. Come non dirlo? se le faccende m’affogano, se io solo debbo affaticarmi, e non basto a tanti servigi? La mattina, come mi levo, debbo spazzar la sala del banchetto, e rifare il letto, e rassettato ogni cosa, esser pronto ai cenni di Giove, e andare su e giù per istaffetta tutto il dì portando suoi ordini: e tornato, ancor polveroso come sono, mettermi a preparare l’ambrosia. Prima che ci fosse venuto questo garzone per coppiere, anche il nèttare doveva mescerlo io. La pena maggiore è che solo io fra tutti non posso dormire la notte, e mi conviene condurre le anime a Plutone, e far da guida ai morti, e star presente al tribunale. Non bastavan le faccende del giorno, andar nelle palestre, fare il banditore nei parlamenti, insegnare ai retori: mi mancava quest’altro rompicapo de’ morti. Almeno i figliuoli di Leda si danno lo scambio, e ciascun d’essi un giorno è in cielo, un giorno in inferno: io poi ogni giorno debbo fare sempre lo stesso. I figliuoli di Alcmena e di Semele, nati di due povere donne, se la godono senza darsi un pensiero: ed io nato di Maia di Atlante, fo il servitore a loro. Ed ecco, ora ritorno da Sidone, dove il Sire mi ha mandato a vedere che faceva la figliuola di Cadmo; e senza darmi un po’ di respiro, mi ha spedito di nuovo in Argo a visitar Danae: e di là, m’ha detto, passando per la Beozia, dà un’occhiata ad Antiope. Io mi sento tutto rotto e stracco: e se potessi, vorrei proprio esser venduto; come su la terra i servi di mala voglia.

Maia. Lascia questo pensiero, o figliuolo: tu se’ giovanetto, e devi fare ogni servigio a tuo padre. Va ora, come egli ti ha commesso, salta in Argo, e poi in Beozia: se tardi, avrai a toccar delle busse; chè chi ama, sdegnasi per nulla.


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