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Luciano di Samosata - Dialoghi marini (Antichità)
Traduzione dal greco di Luigi Settembrini (1862)
12. Dori e Teti
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12.

Dori e Teti.


Dori. Perchè piangi, o Teti?

Teti. Ho veduto, o Dori, una bellissima donzella in una cesta, messavi dal padre, ella ed un bambino suo testè nato. Il padre comandò ai marinai di prender la cesta, e, come si fosser molto dilungati dalla terra, di gettarla nel mare; affinchè la sventurata perisse ella ed il suo fanciullino.

Dori. E perchè, o sorella? Oh, dimmelo, se il sai.

Teti. Essendo ella bellissima, Acrisio suo padre per serbarla vergine la chiuse in una stanza di bronzo. Se è vero, non so, ma dicono che Giove tramutato in oro venne a lei piovendo dalla soffitta; e che ella accogliendo il dio che le scorreva nel seno, ne divenne gravida. Accortosene il padre, che è un vecchio salvatico e geloso, sdegnossene fieramente: e credendo che avesse avuto che fare con tutt’altri, ancor tenera del parto la gettò in quella cesta.

Dori. E che faceva ella, o Teti, quando v’era messa?

Teti. Di sè non parlava, o Dori, e sopportava la sua condanna; ma pregava pel suo bambino che non l’uccidessero, e piangendo mostrava all’avolo quella bellissima creaturina, che inconsapevole delle sue sventure sorrideva guardando al mare. Oh, mi si tornano a riempir gli occhi di lagrime, come me ne ricordo.

Dori. Hai fatto piangere anche me. E sono già morti?

Teti. No: la cesta va galleggiando attorno Serifo, e vi son vivi tutti e due.

Dori. E perchè non la salviamo, spingendola nelle reti dei pescatori di Serifo? essi nel tirarle la salveranno certamente.

Teti. Ben dici: facciamolo. Non perisca nè ella nè quel suo fanciullino sì bello.


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