< Dialoghi sopra l'ottica neutoniana
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II IV


Esposizione del sistema d’ottica neutoniano.

Non così tosto io fui avvertito la seguente mattina che erano aperte le stanze della Marchesa, che io mi vi rendei; e dopo i consueti convenevoli: - Madama, - io presi a dire - sete voi ben preparata ad entrare nel sacrario della filosofia? Ben sapete che ne sono esclusi i profani, e coloro che sonosi lasciati vincere ai globetti, ai vortici e a simili altre mondane immaginazioni. Prima di farsi alla soglia, conviene purgar del tutto la mente da quella vana curiosità, dove ha radice la superba follia degli autori di sistemi generali; conviene ricordarsi che, in pena di tal pecca, pare che sieno condannati, come il Sisifo de’ poeti, a rotolare e a innalzar tuttavia di gran sassi, che hanno tosto a rovinare al basso. - Indarno adunque - disse la Marchesa - sarà nato con esso noi il desiderio di sapere il perché delle cose. - Non indarno, - io risposi - se un tal desiderio condur ne possa a sapere come elle sono in fatto. - E sarà poi questo - disse la Marchesa - un così gran guadagno? E il saper questo solamente dovrà tanto esaltare il filosofo sopra gli altri uomini? - Madama, - io risposi - non crederete voi che metta assai più conto sapere la storia degli effetti che si osservano in natura, che perdersi dietro al romanzo delle cause? La marcia di un Montecuccoli non è ella più instruttiva di assai che tutte le corse non sono de’ cavalieri erranti dell’Ariosto o del Boiardo? D’altra parte tale si è la condizione dell’uomo che l’assicurarsi come le cose sono, il ben distinguere l’apparenza dalla realità, il saper vedere, non è cosa da tutti. Egli sembra che di assai folta nebbia sieno per noi ricoperti gli oggetti; quelli ancora che ne sono più negli occhi. Gli effetti dipoi primitivi ed elementari, la natura ce gli ha nascosti, quasi direi, con eguale industria che le cause medesime. E se non si può giugnere a veder l’ordine e la dipendenza, che hanno tra loro tutte le parti dell’universo, a scoprir le cause prime, voi non crederete però, Madama, che si faccia un così picciolo guadagno a commettere insieme effetti, che pareano tra loro differentissimi, riducendogli sotto a un principio comune: e per via di osservazioni ricavare dai particolari fenomeni delle cose le leggi generali che osserva costantemente la natura, e colle quali da essa governato è il mondo. - Sino a qui, - disse la Marchesa - io non ho veduto delle osservazioni altra prova, se non che vagliono moltissimo a distruggere. Un sistema è egli bello, elegante e semplice? ecco che tosto gli muovon guerra, e non han posa che non l’abbiano posto in fondo. E non so se s’abbia a dire ch’elle tengono un poco dell’umor bizzarro di colui che dallo annientare le cose più belle cercava di salire in fama e di esser nelle bocche degli uomini. - Tra i sistemi - io risposi - che fecero nel mondo la loro comparsa, forse non tiene l’ultimo luogo quello che fu immaginato sulle qualità dei raggi della luna; e che potrete aver veduto voi medesima essere anche in voga tra i più. In sul fondamento che la luna presiede alla notte, come il sole fa al giorno, che il colore del sole tira all’oro e il colore della luna all’argento, e di simili altre varietà, avvisarono alcuni speculativi che i raggi della luna dotati esser dovessero di qualità totalmente contrarie ed opposte a quelli del sole. E però se i raggi del sole sono caldi e secchi, come pur essere gli proviamo tuttodì, quei della luna esser doveano per propria natura freddi e umidi. DaI che ne veniva in conseguenza che fossero anche mal sani. In fatti il più delle persone, appena che la luna incomincia a innalzarsi sull’orizzonte e i suoi raggi piglian forza, si ritirano in casa, o credono avere il male di capo, se tanto o quanto passeggiando all’aria hanno bevuto della malignità del suo lume. Qui ancora inframetter si vollero gli osservatori delle cose naturali, e porre un tal sistema al crociuolo della esperienza. I raggi della luna vennero raccolti insieme, onde invigorire la operazion loro, nel foco di grandissime lenti, e quivi fu collocato un termometro; è questo uno strumento che per la dilicatezza e sdegnosità sua, dirò così, mostra all’occhio il caldo ed il freddo: è fatto di una palla o caraffa di vetro, con un sottilissimo collo, la quale contiene dello spirito di vino, che, a ogni minimo grado di calore che senta, si dilata e monta su per il collo della caraffa, e si ristringe a ogni minimo grado di freddo e dibassa. Osservarono adunque che non si ristrinse punto, benché nel foco di taluna di quelle lenti i raggi della luna umidi e freddi, come si credeano, venissero ad esser di lunghissima mano più stretti insieme, e più densi che nol sono quando battono dirittamente sopra di noi. Talché oltre al rischiarar le notti, e ad inspirar nel cuor degli amanti un non so che di appassionato e languido che dolcemente gli attrista, non hanno i raggi di quel pianeta qualità altra niuna. - Ecco delle osservazioni - disse la Marchesa - che pur dovrebbono andare a genio di tutti, come quelle che lasciano stare le cose belle, e ne guariscono da vani e mal fondati timori. - I filosofi da sistemi - io rientrai qui a dire - paragonare si potrebbono a quella generazione di statisti, che per via di sistemi di altra natura promettono mari e mondi, e dannosi vanto di arricchire detto fatto le nazioni. E già non manca chi porga loro orecchio, ché tutti vorrebbono in picciol tempo divenire dotti, non meno che ricchi. Se non che gli uni trovansi alla fine di non aver fatto tesoro di altra cosa che di cedole di niun valore; e gli altri di moti di pressione, di rotazione e di simili altre cedole, o false monete della filosofia. Non picciolo adunque sarà l’obbligo che noi aver dovremo alle osservazioni, se elle ne guariscono ancora dalle vane e mal fondate speranze. A chi mai potrebbono andare a genio

larghe promesse coll’attender corto,

il volere abbracciar tutto il mondo, e finalmente non istrigner nulla? Meglio è senza dubbio poter far fondamento su quel poco che uno ha: e il vero filosofo ha da rassomigliare a quei savi principi che amano di avere uno stato non tanto esteso, quanto sicuro. Benché, di quanto non hanno mai le osservazioni esteso i confini del nostro sapere? Voi medesima, Madama, conosceste pur ieri come, mercé le osservazioni del microscopio, ha penetrato la nostra vista nel seno più riposto dei corpi, e come ha scorso l’ampiezza tutta dei cieli, mercé le osservazioni del telescopio: e così di mille scoperte bellissime arricchite ne vennero la storia naturale e l’astronomia. Non altrimenti che con lo studio dell’osservare si perfezionò la chimica, che arriva a risolvere i corpi ne’ principi, onde sono composti, e quasi quasi a rimpastargli di bel nuovo; non altrimenti la nautica, per cui con tal sicurezza e rapidità si vola presentemente dall’uomo dall’uno all’altro emisfero. Né già vi può essere nascosto, Madama, come la medicina, dove i sistemi sono tanto pieni di pericolo, non si può in altro modo perfezionare ed accrescere, se non che ragionando sobriamente, e osservando, per così dire, con intemperanza. Ma che più? all’osservare attentamente noi medesimi, al tener dietro passo passo al fanciullo, e ai progressi che fanno di mano in mano le facoltà dell’anima nell’uomo, abbiam l’obbligo del poco che siam giunti a discernere della origine e della formazione delle nostre idee nel profondo buio della metafisica. Il Neutono dipoi, mercé l’arte più fina dell’osservare, aperto ne ha i più occulti tesori della fisica: e dispiegando, come di lui cantò un suo compatriotta, la lucida vesta del giorno, ne trasse fuori e svelò finalmente agli uomini le fino allora nascoste proprietà della luce, di quella cosa, che anima tutte le altre cose e rallegra il mondo. Le più belle e ammirabili tessiture di essa luce voi vedrete al presente, Madama; e la verità vi ragionerà nella mente per bocca del Neutono. Un raggio scagliato dal sole, - io ripresi - un raggio di luce per sottilissimo ch’e’ sia, è realmente, siccome io vi dicea ieri, un fascetto d’infiniti altri raggi, ma non già tutti di un colore. Alcuni son rossi, altri ranciati o doré, altri gialli, altri verdi, altri azzurri, altri indachi, ed in fine altri violati. Primitivi ed anche omogenei si chiamano cotesti raggi, ciascuno de’ quali ha un proprio e particolar colore; e da essi mescolati insieme ne vien formato uno eterogeneo o composto, come è un raggio del sole di color bianco, o per meglio dire che pende al doré. E così la luce è la miniera de’ sette colori primari, di che si vengono poi dalla natura dipingendo variamente le cose: che non è già da credere ch’alcun raggio si tinga di rosso o di azzurro per la diversità della superficie in cui si scontra o de’ mezzi per cui passa; ma dal seno istesso del sole, insieme col lume, reca seco un proprio ed inalterabil colore, benché non veduto da noi. - E come fu - disse la Marchesa - che il Neutono il vedesse egli? - Certo - io risposi - di molta acutezza qui gli fu bisogno: ma certo è altresì, che egli medesimo non l’avrebbe veduto mai, quando i raggi primitivi per natura non fossero tali che, cadendo tutti con la medesima obbliquità d’uno in altro mezzo, per esempio dall’aria nel vetro, questi non refrangessero più e quelli meno; onde vengono a stralciarsi e separarsi l’uno dall’altro; e il raggio totale o composto si risolve in tal modo ne’ suoi componenti e parziali. Soggetti a maggior refrazione o più refrangibili si trova essere sopra tutti gli altri i violati; a minor refrazione gl’indachi: seguitano gli azzurri, appresso i verdi, indi i gialli e i doré, e finalmente i rossi, che refrangendo si torcon meno che tutti gli altri. - Nuove e maravigliose cose in vero, - disse qui la Marchesa - voi mi raccontate di questa luce. Ben parmi che aveste ragione, quando mi diceste l’altro dì che nel picciolo tragitto, che uno fa di Francia in Inghilterra, trova tutto cambiato: non solo la lingua, il governo, i costumi, gli umori ed il clima; che tutt’altra cosa è per sino la luce ed il sole. Ma se a discoprire tal novità era bisogno di un gran filosofo, non sarà manco bisogno di lunghi discorsi a farla vedere agli occhi volgari. E se bastante si trova essere ogni minima cosa a rovinare un sistema, quanto non ci vorrà egli mai a stabilir quello che sia d’accordo col vero? - Basta - diss’io - che voi, Madama, col pensiero finghiate d’essere in una stanza privata d’ogni lume, trattone quel poco che per uno stretto spiraglio e rotondo v’introduce un sottil raggio di sole, onde viene a stamparsi sul pavimento della stanza un’orma luminosa, o vogliam dire una picciola immagine del sole medesimo: indi a qualche distanza dello spiraglio intendiate trovarsi congegnato un prisma di vetro, che per traverso riceva quel raggio. Deve essere il prisma situato in maniera che con una faccia guardi a la volta della stanza, con l’altra lo spiraglio, e con la terza il muro che allo spiraglio è di rincontro, e con uno degli spigoli guardi il pavimento. Il raggio di sole, che penetra la faccia che guarda lo spiraglio, esce dipoi da quella che guarda il muro: di modo che il prisma, che nel raggio si ficca, quasi cuneo lo spezza, lo refrange e viene a buttarlo dirittamente sopra il muro della stanza, che allo spiraglio è di rincontro. Ora la traccia luminosa, che il raggio refratto imprime su pel muro, non è gia simile a quella che il raggio retto imprimeva sul pavimento. Quella era bianca, e poco meno che rotonda; questa è lunga cinque volte più che la non è larga, di figura quadrilunga, ma tondeggiata negli estremi: e in oltre ella è distinta de’ sette colori annoverati poco avanti. Sono essi disposti in una schiera diritta, con tal ordine che il rosso tiene la parte inferiore; contiguo a questo è il doré; appresso è il giallo, indi il verde, poi l’azzurro, seguita l’indaco, e finalmente il violato sale più su che tutti gli altri, e tiene la parte suprema di quella schiera: così però che tra l’un primario e l’altro, tra il rosso e il doré, il doré e il giallo, e via discorrendo, ci sono innumerabili mezze tinte, che legano insensibilmente insieme l’un primario e l’altro. - Pensate - disse qui la Marchesa - se la scala de’ colori sarà perfetta. Non ci è dubbio che l’occhio vi abbia nulla da desiderare. - Ed io continuai: - Rivolgendo un poco il prisma intorno a se stesso, ora per un verso ed ora per l’altro, senza punto muoverlo di luogo, voi intenderete agevolmente, Madama, che il raggio di sole si fa più o meno obbliquo alla faccia su cui cade. Con ciò si viene a mutar l’ordine della refrazione, e si vede la immagine colorata salire o scendere su pel muro. Si fermi il prisma, quando il raggio, così all’entrare come all’uscire, sia egualmente inclinato alle facce del prisma; che allora appunto la immagine è della lunghezza che io vi diceva, e i colori sono anche più belli ed accesi. Tanto che

Né il superbo pavon sì vago in mostra
spiega la pompa dell’occhiute piume,
né l’iride sì bella indora e innostra,
il curvo grembo e rugiadoso al lume.

- Io mi figuro - disse la Marchesa - questi colori vivissimi, e come fiammeggianti, nella profonda oscurità di quella stanza. Certo che insino a qui molto dilettosa e vaga è questa osservazione; e il cammino che conduce alla verità non è altrimenti coperto di spine. - Ora per render ragione - io continuai - di così gran cangiamento converrà dire l’una delle due: o la luce esser composta di varie specie di raggi diversamente colorati e diversamente refrangibili; e in tal caso il prisma altro non fa che scompagnarli al tragitto che fanno per esso; ed essi, così separati l’uno dall’altro, segnano su pel muro quella immagine colorata e bislunga: oppure converrà dire la luce tingersi di nuovi colori in virtù della refrazione del prisma, ed in oltre ciascun raggio aprirsi, dividersi e dispergersi in più e più altri, perché la immagine del sole torni non solo diversamente colorata, m più lunga ancora a più doppi che larga; e a questo, che fu supposizione di un nostro filosofo detto Grimaldi, fu da lui posto nome dispersione della luce. Egli è forza, dico, chi non ammette la diversa refrangibilità, ricorrere alla dispersione del Grimaldi, a voler render ragione di quelle strane apparenze della immagine del sole refratta al prisma. - Adunque - disse la Marchesa - se di cotesta esperienza ne può render la ragione tanto il Grimaldì quanto il Neutono, la cosa rimane tuttavia in pendente; ed io m’aspettava di dover sentire una prova decisiva pel Neutono. - La prova decisiva - io risposi - la vi darà or ora l’istesso Neutono. Altrimenti non potrebbe sfuggire quella solenne e gravissima taccia che gli fu data da un grande oppositore, ch’egli ebbe, non ha gran tempo, in Italia: di cavare cioè da’ suoi sperimenti più conseguenze che cavare non si possono, e di avere espressamente da questo sperimento cavata la diversa refrangibilità de’ raggi solari. Ma tanto è lontano ch’egli fosse troppo corrivo a fermare il suo giudizio, che a trova lui medesimo avere asserito potersi da quello sperimento inferire la dispersion del Grimaldi; ed ancora quelle strane apparenze della immagine del sole poter forse in gran parte avvenire da una disuguaglianza di refrazioni fatta dal prisma, non già con regola costante, ma per abbattimento e a caso; e però non potervisi fondar ragionamento di sorte alcuna. Adunque per chiarir sé ed altri sopra tal faccenda, egli avvisò di far questa prova. La immagine colorata fatta dal prisma la fece ricevere da un altro prisma, posto alla distanza di qualche braccia dal primo. Ma dove il primo era, come il pavimento della stanza, orizzontale, l’altro era perpendicolare, come i muri di essa, o vogliam dire dirittamente in piè; e n tal modo la schiera de’ colori che usciva dal primo prisma veniva a battere lungo la opposta faccia del secondo: il rosso nella parte inferiore, il violato su in alto, e gli altri colori nel mezzo. Il prisma che è orizzontale refrange i raggi di basso in alto, dal pavimento della stanza, dove andavano a battere, volgendogli al muro; e questo secondo in piè gli dee refrangere da un lato, ponghiamo da destra a sinistra: e così i raggi, che refratti dal primo prisma andavano a ferir dirittamente il muro, vengono ora buttati a sinistra, a ferire il medesimo muro obbliquamente e di sghembo. Non so, Madama, se m’abbia qui spiegato abbastanza. - E la Marchesa fattomi cenno di sì, io seguitai: - E cotesta nuova refrazione de’ colori doveva essere il paragone o della diversa refrangibilità neutoniana, o della dispersione del Grimaldi, o in fine di quella fortuita disuguaglianza di refrazioni, che non è di niun sistema. Ed ecco il perché. Se la immagine del sole fatta dal primo prisma orizzontale, e refrangente di basso in alto, era diversamente colorata e bislunga, mediante una dispersione di ciascun raggio, che si faceva anch’essa di basso in alto, la seconda refrazione del prisma in piè dovea disperger di bel nuovo i raggi già dispersi dal primo, e dovea dispergerli da destra a sinistra, poiché da destra a sinistra gli refrangeva: con che la immagine del sole refratta da questo secondo prisma avrebbe dovuto esser diversa ne’ colori e nella figura da quella del primo. Che se la immagine del primo prisma era diversamente colorata e bislunga, per una accidentale disuguaglianza di refrazioni, sallo Iddio quale strana cosa avesse fatto nascere il caso per la nuova refrazione che veniva a patir la luce. Ma ogni altra cosa ne avrebbe dovuto nascere, fuorché quello che richiedeva a un puntino il sistema neutoniano. E già comprendete, Madama, quel che ciò fosse. Se la refrazione del primo prisma non fa altro che separare i raggi diversamente colorati e refrangibili, che sono dentro alla luce, sicché la immagine del sole ne riesca colorata e bislunga, e la seconda refrazione da destra a sinistra non può fare altro, se non che, di diritta ch’era la immagine, inclinarla sopra il muro. Del resto ella dee rimanere, in quanto a’ colori, quale era dianzi. Assai chiaro - disse qui la Marchesa - mi sembra tutto questo. Se non che io non intendo onde avvenga quella inclinazione, che voi dite doversi fare della immagine sopra il muro. - Pur agevole vi sarà ad intenderlo, io risposi - solché consideriate essere di necessità che anche dal secondo prisma sieno refratti maggiormente i raggi violati che i rossi; ciò vuoi dire che sieno quelli buttati più a sinistra di questi. Con che la estremità superiore della immagine andrà a trovare il muro più a sinistra che la inferiore, ed essa tutta verrà quivi ad imprimersi non pur in piedi o diritta, ma in positura obbliqua e pendente. Così pur deve, e può solamente avvenire nel sistema neutoniano, e non in qualunque altro sistema; e così per appunto avviene. Del qual fatto io medesimo co’ prismi alla mano ne ho preso certezza più volte. Oltre a ciò, se appresso del secondo prisma in piedi ne vengano posti uno o più altri parimente in piedi, acciocché la immagine già refratta dal primo, tragittando per essi, venga a refranger nuovamente e sempre più da destra a sinistra, tutte queste prove tornano a capello con la prima. - Poiché in favor del Neutono - disse la Marchesa - si è così chiaramente spiegata la natura, non ci sarà oramai più alcuno che non stia a una tale sentenza. E nel vero, per non dir nulla di quella disuguaglianza accidentale di refrazioni, che non ne porta il pregio, la dispersione del Grimaldi avea in sé non so che di composto, che non mi andava gran fatto a verso. - Il credereste, Madama? io soggiunsi - l’oppositore, di cui parlammo, non ci volle già stare egli a quella sentenza; che disse non avere in somma il Neutono fatto altra cosa che confermare la opinione del Grimaldi con di assai piacevoli esperimenti. - Io non prendo - ripigliò prestamente la Marchesa - tanta ammirazione delle strane cose che può dire uno, che pur voglia farsi oppositore, quanto io fo della negligenza del Grimaldi medesimo. Come non si avvisò egli di mettere alla prova la sua opinione con un esperimento così facile come fu quello del Neutono? E che altro finalmente ci voleva, se non che collocare in secondo prisma dopo il primo? - Ma forse - io risposi - il saper collocare quel prisma era più difficile che immaginare un sistema. Vedesi per prova come in tutte le cose ci sono alcuni piccioli artifizi, difficilissimi a trovarsi, e, dopo trovati, paiono un niente; ed è pur vero quello che diceva un certo valentuomo: quanto mai è difficile questo facile! - Anche di questa verità - replicò con bocca da ridere la Marchesa - se ne han prove nel nostro mondo femminile. Credete a chi ne fa la esperienza tutto il dì, che un’acconciatura disinvolta e semplice costa il più delle volte molti pensieri, e qualche sdegno. - E che si dirà egli - io ripresi - aver costato al Neutono le altre belle sperienze, che da lui furono immaginate in prova della diversa refrangibilità? - Come? - disse la Marchesa - non resta ella forse bastantemente provata per la sperienza che descritto mi avete: che di altre ancora è bisogno? Mi sarei io forse lasciata persuadere troppo presto? - Chi potria pensare, Madama, - io risposi - che ciò fosse per avvenir mai? Ma il Neutono, benché quella sperienza sia concludentissima, non vi vuole ancora neutoniana. Vedete fantasia che può solo cadere in mente a un filosofo.

Non vuol che l’uomo a credergli si muova,
se quel, che dice, in sei modi non prova.

- A chi non dovrà piacere, ripigliò la Marchesa, di avere a fare con una persona che non vi mette così alle strette, e vi lascia campo a fare tutte le riflessioni che bisognano? Or via; che quanto ho udito m’invoglia vie maggiormente di udire. - Madama, io ripresi a dire - fate di tornare col pensiero nella nostra stanza buia, e fingetevela non più con uno spiraglio solo, ma con due, poco lontani tra loro. E i raggi del sole, ch’entrano per quei spiragli, refratti da due prismi, dipingano due immagini colorate sul muro opposto a quello per cui hanno l’entrata. A poche braccia da questo muro figuratevi un funicello bianco, teso orizzontalmente in aria, di cui parte ha da essere illuminata da’ raggi rossi di una immagine, e parte da’ violati dell’altra; così però che que’ due colori nel funicello hanno da toccarsi insieme. Ciò si otterrà ora girando quel prisma un poco, ed ora questo; poiché nel girare del prisma, il raggio si fa più o meno obbliquo, già il sapete, alla faccia su cui cade; e si vede la immagine colorata, che egli forma, salire, scendere, camminare su pel muro. Ma ciò non basta. Conviene anche storcere così un poco i due prismi l’uno verso dell’altro, accioché le due immagini vengano a maggiormente avvicinarsi tra loro e a combaciarsi insieme. E bisogno in oltre che il muro sia coperto di un panno nero, acciocché i colori, ch’egli altrimenti rifietterebbe, non turbino la esperienza, ov’hanno a spiccare, anzi a mostrarsi quei soli del fu-nicello, e non altri. Or finalmente si pone un prisma all’occhio, e si osserva questo funicello; che, per la varia positura del prisma, parrà più alto o più basso che non è in fatti. Mettiamo che paia più alto. Non è dubbio che la parte tinta in violato ha da soffrire maggior refrazione dal prisma, che non fa l’altra tinta in rosso: e però esso funicello dovrà apparire rotto e diviso in due parti; e la violata sarà un po’ più alta della rossa. - Nel vero, - ripigliò la Marchesa - così pare ch’esser dovesse. - E così - rispos’io - puntualmente succede. Anzi vi dirò, Madama, che tutte quante le varie apparenze, che nascono in questa esperienza, rispondono così esattamente al sistema neutoniano, e non a nessuno altro immaginabile, che è una maraviglia. Facciasi che altri giri pian piano de’ due prismi quello che mandava al funicello i raggi violati, tanto che in quella vece sopra vi mandi gl’indachi, che è il colore prossimo al violato: ed allora chi guarderà il funicello col prisma all’occhio, lo vedrà, a dir così, meno spezzato di prima; e l’una parte di esso si verrà un tal poco accostando all’altra, per essere la refrangibilità minore tra i raggi rossi e gl’indachi, di quel che sia tra i rossi e i violati. Che se per simile modo quella parte d’indaca diverrà azzurra, rimanendo l’altra tuttavia rossa, e voi per simile ragione vedrete il funicello spezzato meno; e meno spezzato ancora il vedrete, se di azzurra ella si faccia verde; e meno ancora, se gialla; e sempre meno, se rancia o doré; sinché fatta rossa, come è l’altra parte, il funicello non vi parrà altrimenti spezzato, ma continuato ed intero per la uguale refrangibilità così dell’una sua parte come dell’altra. Questa stessa cosa si dimostra ancora con un’altra simile esperienza, che senza tanti preparativi si può fare da ognuno. Pigliasi una carta di due colori, una metà tinta in rosso e l’altra in azzurro; e ponendola al lume della finestra sopra un tavolino coperto di nero, a chi la guarda col prisma apparisce come spezzata in mezzo, e divisa in due. Ed io mi sono pensato di pigliarne una dipinta di quattro colori: rosso, giallo, verde ed azzurro, con quell’ordine tra loro che gli ho nominati. A guardarla col prisma, si vede divisa in quattro parti: sicché l’una soprastà all’altra, a foggia di gradini; e l’azzurro, secondo che variamente io andava ponendo il prisma all’occhio, ora si trovava il più alto di tutti, ed ora il più basso. E comunque si mutino e rimutino le circostanze della sperienza, ella sempre risponde così a puntino a’ principi neutoniani, che meglio non risponde alle dita del sonatore uno strumento di bene temprate corde, o a’ cenni di bella donna il più provato cicisbeo. Qui la Marchesa, dopo essere stata alquanto sopra di sé, riprese a dire in questa guisa: - Quante mai non sono le prove che accumulate si veggono insieme a stabilire e a confermare questa varia refrangibilità! Io per me non saprei immaginare qual certezza possono avere maggiore le cose della geometria, che, per quanto ho udito dire, hanno sole il vanto della evidenza; e quasi che io mi sentissi tentata di credere non troppo il gran caso si faccia dalle persone di cotesta geometria. - Grandissimo è il divario, - io risposi - Madama, che corre tra il genere di prove su cui si fondano le verità geometriche, e il genere di quelle onde sono fiancheggiate le verità fisiche. Una sola prova della geometria, la quale risale alla essenza delle cose stesse, che sono il proprio suo obbietto, vale per parecchie prove della filosofia, che non le può raccogliere se non da molti e molti particolari che prende ad osservare.

Quanto più s’arma, tanto è men sicura.

Le prove nondimeno della varia refrangibilità pare che abbiano una così fatta forza, ciascuna per sé, che vano sarebbe ogni contrasto. E finalmente convien confessare che quell’uomo, che sì forte ora vi stringe, Madama, nel campo della filosofia, era anche il fiore de’ geometri. - Vorremo noi dire - ella soggiunse - che il Neutono avea virtù di far divenir geometriche ogni sorte di prove, che ogni metallo tra le sue mani si convertiva in oro? - Quell’oro per altro - io risposi fu creduto orpello da alcuni, e singolarmente da quell’oppositore di cui abbiamo parlato; il quale, tra le altre, prese a convincere di falso il principio della varia refrangibilità. Forse egli credette venire in fama col titolo di oppositore di un Neutono; ma certo egli si fece a contraddire l’ottica inglese, perché egli era della setta di coloro tra’ nostri uomini che alle dottrine forestiere hanno per professione giurato odio e nimistà. - E donde ciò? - disse la Marchesa. - Pare a loro - io ripigliai - che gl’Italiani ci rimettano della loro riputazione, ricevendo da’ forestieri un qualche insegnamento; essi che, conquistata già con le armi la terra, la illuminarono dipoi colle scienze, la ripulirono con le arti; essi che tra i moderni furono i primi a levar la testa nel mondo letterario, e furono in ogni cosa i maestri delle altre nazioni. Non possono costoro comportare per niun conto che le scienze facciano ora cammino verso il Settentrione; e che da molti anni in qua sieno venuti in campo gli oltremontani. - E perché mai - disse la Marchesa - non dovea anche a loro toccare la volta? Stiamo noi pur contenti alle tante nostre glorie di un tempo fa, confessando ingenuamente non esser questo il secolo degl’Italiani: né in ciò ci rimetteremo punto del nostro onore. Egli è ben naturale che prenda riposo colui che ha faticato di molto; e che dorma alcun poco fra il giorno chi si è levato prima degli altri di gran mattino. Ma infine che possono eglino apporre alle verità che scoperte furono oltremonti, e di là vengono in Italia? - Vanno dicendo - io risposi - che giace per avventura il serpente tra’ fiori e l’erba; che si vuole stare in grandissimo timore, non tra quelle verità vi sia nascosa una qualche infezion d’errore. - Avremmo adunque - disse la Marchesa - da riguardare la filosofia d’oltremonti come le mercatanzie di Levante? Ma al vero convien pure dar pratica da qualunque paese e’ ci venga. - Pensando così giustamente, Madama, - io risposi - come voi fate, voi ben sentirete tutta la forza di un’altra prova della differente refrangibilità che nasce dalla varia distanza di foco, che i vari colori hanno nella lente; qualunque cosa siasene detto in contrario, da chi volle accecar se stesso e gli altri davanti al lume del vero. Differenti raggi colorati venendo tutti a una lente dal medesimo punto non dovranno già riunirsi di là da essa nel medesimo punto, se vero è che gli uni refrangano più e gli altri meno. I più refrangibili che la lente storce più degli altri, avranno il punto della loro unione, o sia il foco, più vicino ad essa lente, che non l’hanno i meno refrangibili. Non è così? - Appunto - diss’ella. - E la prova è questa: - io continuai - nella stanza buia al muro, dove feriva la immagine colorata del sole, il Neutono metteva un libro aperto; e disponeva le cose in modo che il prisma mandasse sopra i caratteri del libro non altri raggi, fuori che i meno refrangibili, o sia i rossi. A rincontro del libro, e in distanza di parecchie braccia da esso, alzava una lente convessa; la quale, raccogliendo in altrettanti punti dietro da essa i raggi che le venivano dal libro, ne ritraeva la immagine, come appunto fa la lente nella camera ottica degli oggetti che le stanno in faccia e sono illuminati dal sole. E tale immagine la riceveva sopra di un cartoncino bianco. Bello era a vedervi i caratteri negrissimi in campo rosso, e impressi così netti e taglienti, che potevan leggersi come nel libro medesimo. Dipoi senza toccare né il cartoncino né la lente, faceva solamente così un poco girare il prisma, acciocché i caratteri del libro, che illuminati erano da’ raggi rossi, quegli stessi ne venissero illuminati dagli azzurri: ed ecco che si vedevano sparire d’in sul cartoncino quei caratteri; o almeno vi apparivano in campo azzurro così sporchi e confusi, che per conto niuno non se ne poteva rilevare la forma. Ma accostato un poco alla lente il cartoncino, tornavano a farsi vedere belli, vivi e taglienti, come erano innanzi. - E non fu egli opposto - disse sorridendo la Marchesa - che il libro era per avventura inglese? dove conveniva, perché ci si potesse leggere il vero, ch’e’ fosse latino o italiano. Una simile esperienza - io risposi - a cui far non potriasi una così fortissima obbiezione, ho io presa di notte tempo con quattro pezzi di carta, l’uno de’ quali era dipinto rosso, l’altro giallo, l’altro verde e l’altro azzurro; e sopra ognuno erano tesi certi reticelli di seta nera, che tenean luogo de’ caratteri del libro. Ciascun pezzo di carta veniva successivamente attaccato nel medesimo sito della muraglia di una stanza, e posto in faccia a una lente. La muraglia era coperta di nero, e le carte gagliardamente illuminate da più fiaccole; ma tra esse e la lente era congegnato un riparo, affinché alla lente non vi giugnesse altro lume, salvo che il riflesso dalle carte medesime. Ciascuna adunque veniva posta nello stesso sito in faccia alla lente; ma l’immagine loro distinta, che pur scorgeasi alla distinzione e nettezza di quei reticelli, non si ritraeva già nello stesso sito al di là di essa lente. La più vicina di quelle immagini era l’azzurra, poi la verde, appresso la gialla; e la rossa era la più lontana. - Da quanto scorgo - riprese tosto a dir la Marchesa - aver voi operato per questa filosofia, a voi ben si conveniva cantare della luce settemplice; né io dovea cercarne altro comentatore che voi. Per altro io non so comprendere come si trovino al mondo persone così ostinate e caparbie, che non si lascin volgere a prove di tanta evidenza. Il foco de’ raggi di un colore è più presso alla lente che il foco de’ raggi di un altro; gli azzurri concorrono più al di qua che i rossi. Non è egli chiaro, quanto appunto la stessa luce, la causa non ne potere esser altro, se non la differente refrazione, che provano nella lente i raggi di differente colore? - State pur sicura, Madama, - io risposi - che per l’altrui immaginazioni il ver non cresce o scema. Si ebbe un bel sottilizzare che in tale esperienza bisognava rimutare alcune circostanze, che in tale altra non si eran prese le debite precauzioni: erano tutti cavilli o falsi supposti; e per tali erano riconosciuti da tutti gli uomini di mente sana. Per qualunque ostinata guerra l’oppositore facesse alla dottrina del Neutono, ella ebbe la sorte di quel podere vicino a Roma, dove Annibale avea piantato gli alloggiamenti: che messo allora in vendita, niente per questo calò di prezzo. Ma che? In mezzo alle acclamazioni del trionfo uscivano le pasquinate del licenzioso soldato; e il merito sovrano dovette sempre pagare al pubblico la sua tassa. Qual fu mai bella donna, che non fosse argomento alle altre donne della critica più severa? Ci andava, starei per dire, della riputazione del sistema neutoniano, se non veniva contrariato da più parti. Chi si doveva levar su, e negare la diversa refrangibilità, e chi la immutabilità dei colori, che è un’altra proprietà di quelli, scoperta dal Neutono. E questa immutabilità fu appunto negata in Francia, già sono molti anni, dal Mariotto, filosofo di non leggieri dottrina e di molto grido. Rifatta da lui la esperienza, donde principalmente dipendeva la decisione di tal verità, trovò la cosa tutto al rovescio che fu trovata in Inghilterra. Grande fu lo scandalo, che ne nacque; moltissimo si sparlò delle novelle opinioni venute d’oltremare: e un sistema, tardo figlio del ragionamento e della esperienza, fu riposto dalla maggior parte tra le sconciature dell’umana fantasia. - Donde mai può avvenire - ripigliò allora la Marchesa - che la medesima esperienza mostri a chi una cosa, a chi un’altra? Sarebbe mai che la voglia di contraddire, l’amore della novità, una inveterata opinione facessero velo anche all’intelletto de’ più riputati filosofi; e accadesse loro come a colui, che gli par vedere

donne e donzelle, e sono abeti e faggi?

- Pur troppo è vero - io risposi - che la maggior parte di essi, trattasi la toga di dosso, sono uomini fatti come gli altri. Il perfetto filosofo è pur cosa rara a trovarsi, come ben potete immaginare. Oltre alle molte scienze, delle quali ha da esser fornito, converrebbe che tale pur fosse, che né autorità mai lo movesse oltre al debito segno, né il seducesse fantasia, né lo sgomentasse difficoltà niuna; ch’ei fosse destro, attivo, curioso, e insieme sagace, circospetto e profondo. Tutte le buone parti che qualificano le varie nazioni di Europa, trovarsi dovrebbono in colui che ha da interrogar la natura, esaminarla, metterla alle prove, far giusta ragione degli andamenti suoi e anche, a un bisogno, indovinarla. La diligenza poi ha in lui da dominare sovra ogni altra cosa. Tali qualità si trovarono riunite tutte nel Neutono: e la sua diligenza egli allora singolarmente manifestò, quando volle dar la prova a’ colori e assicurarsi se sieno veramente immutabili e ingeniti alla luce, o pure soggetti a mutamento, e di essa luce uno accidente e una modificazione. Nella stanza, quant’esser può tenebrata, tutte le cose si dispongono come innanzi, perché vi si dipinga la immagine colorata del sole. Soltanto si pone quasi per giunta vicino al prisma una lente convessa, la quale riceve il raggio di sole ch’entra per lo spiraglio della stanza e lo tramanda ad esso prisma: e questo, affinché i colori nella immagine tornino più separati e più sinceri, che altrimenti non farebbono: ch’egli importa il tutto che tal separazione diligentemente, anzi scrupulosamente sia fatta. La lente torce i raggi del sole per raccoglierli nel foco; ma refrangendogli il prisma, prima che sieno raccolti gli viene a dividere, per la varia loro refrangibilità, in altrettanti fochi di vario colore. La immagine in tal modo dipinta si ha da riceverla sopra un cartoncino alla distanza appunto del foco della lente; ed ivi apparisce come una striscia sottile tinta di vari colori, ma oltremodo vivi ed accesi. Nel mezzo del cartoncino ci è un picciolo traforo, per cui a mano a mano vi possano tragittare i raggi di diverso colore: e dietro al cartoncino ne gli aspetta un prisma, il quale gli refrangerà nuovamente, per esempio di basso in alto, l’uno dopo l’altro. Se avviene che questa nuova refrazione produca alcun nuovo colore, converrà dire il colore non altro essere che una certa modificazione, che acquista la luce dal prisma; e sarà lecito a’ filosofi allentar le briglie alla fantasia, e immaginare quali moti, quali figure, quali rotazioni di globetti, od altro, sieno a ciò far necessarie. Se poi il raggio conserva costantemente il suo colore, tutte le belle immaginazioni dei filosofi, e il tempo da esso loro speso nel raccozzarle insieme, se ne andranno in compagnia de’ versi di tanti poeti, e delle speranze di tanti cortigiani a raggiugner nella luna dell’Ariosto le altre cose perdute. Ora ecco ciò che succede. Se due raggi, l’uno rosso e l’altro azzurro, cadano sul secondo prisma colla obbliquità medesima, l’azzurro dopo refratto ferirà il muro della stanza più in alto, che non fa il rosso, e i colori di mezzo ordinatamente in vari siti di mezzo; quelli che aveano dal primo prisma sofferto maggior refrazione, maggiore sofferendola anche dal secondo, e ricevuti a diritto sopra una carta, segneranno tutti sopra di essa una immaginetta tonda, e non di figura bislunga, com’è quella del primo prisma; e cotesta immaginetta sarà di un color solo, senza giunta o mescolamento di nessuna altra tinta che sia. - Lasciatemi pigliar iena, - disse la Marchesa - che io l’avea quasi perduta nel tenervi dietro. - Basta - io risposi - che con le lunghe mie parole io non abbia pregiudicato alla chiarezza delle cose - Non occorre - soggiunse la Marchesa - che abbiate timore di questo. Io ho raccolto benissimo che la refrazione non fa nulla per la produzion de’ colori; ch’e’ sono immutabili, ingeniti alla luce; e, in oltre, che ciascun colore ha un proprio suo grado di refrangibilità. - Ed io prestamente risposi: - Manco male che io potrei dirvi, anche nello stile degli Asolani, e voi non penereste ad intendermi, come questa è la sperienza che il Mariotto rifece in Francia per dar la prova al sistema inglese, dove più si opponeva al Cartesio; e trovò che dopo la seconda refrazione aggiugnevasi al rosso e all’azzurro non so che altri colori. E da credere che ciò venisse da difetto di diligenza; dal non avere il Mariotto bene accecata la stanza, sicché vi trapelasse altro lume, oltre a quello dello spiraglio; o piuttosto dal non avere ben separato i raggi d’insieme, colpa il prisma non abbastanza buono; dal non avere in somma usato quelle precauzioni, tanto necessarie all’esito di così dilicata esperienza. Da qual cagione ciò procedesse, fatto è che si levarono in Francia le grida contro al sistema inglese; e grandissimo, come vi dissi, fu il bisbiglio che se ne fece. Se non che, poco tempo appresso la esperienza fu solennemente rifatta in Inghilterra alla presenza di alcuni letterati uomini francesi, ivi tratti dall’amor delle scienze; e chiariti, sino all’ultimo scrupolo, che il Mariotto, osservatore peraltro giudizioso e diligente, avea pure fallito quel tratto, furono su questo punto accordate le due nazioni, le quali divide, assai più che il mare frapposto, gara di dominio, di dottrina e d’ingegno. Mercé di tal pace filosofica - io seguitai a dire - l’ottica inglese godé per molti anni della più gran riputazione nella dotta Europa. Quando sursero a un tratto in Italia quei fieri nemici delle dottrine neutoniane, che vi ho detto. Non contenti costoro d’impugnare la diversa refrangibilità, aggranellavano sino alle cose rifiutate contro all’immutabilità del colore; rimettevano in campo la esperienza del Mariotto; assicuravano che diligentemente da essi rifatta era loro riuscita come al Mariotto medesimo; non volevano stare a quella sentenza, alla quale era pur stata la Francia; facevano, quanto era in loro, d’intorbidar di nuovo ogni cosa. - Perché forse - ripigliò la Marchesa - si avesse a dire che quella nazione, la quale gl’Italiani trovarono una volta così difficile, siccome ho udito, a sottomettere con la forza, ora debba trovar noi egualmente difficili a sottomettere con la ragione? - Perché no? - io risposi. - Pure, perché anche tra noi fosse chetato ogni romore, io feci sì che si ripetesse la esperienza, già cagione di tanto scandalo tra i dotti di Europa. E ciò fu in Bologna, città famosa per gl’ingegni che vi allignano, per l’Accademia, che ivi fiorisce, e insieme neutrale nella disputa. - Ben veggo - disse la Marchesa - che si cercò da voi ogni mezzo per toglier via ogni dubbietà e compor le cose. E crederò facilmente che un ministro di stato condursi non potesse con più politica, per iscegliere un luogo atto a tenere un congresso. - Vedete sventura - io risposi - che si oppose al mio buon volere. Benché si usasse ogni maggior diligenza a far la separazione de’ colori della immagine, e il luogo fosse d’ogni luce muto, come quelle notti, che per nascondere i dolci loro furti sogliono invocare gli amanti, pur nondimeno, contro a ogni nostra espettazione, la cosa non riuscì. Aggiungevasi sempre a’ colori refratti dal secondo prisma una certa luce azzurrigna, irregolare, a dir vero, ed instabile; ma che avrebbe pur bastato a’ sofistici di attacco e, a un bisogno, di ragione. Molti e vari furono i discorsi che si ebbero. Alla fine considerando noi attentamente a’ dintorni della immagine renduta dal prisma, ci accorgemmo non essere stati così netti, quali aspettare pur si doveano da un prisma limpido e sincero. Ancora luccicava intorno ad essi un certo lume azzurrigno di una medesima qualità appunto con quello che si univa a’ colori refratti per la seconda volta; e alcune strisce di questo lume tagliavano la immagine per più versi, e venivano in certo modo a coprirla di un velo. Sicché ben ne pareva esser certi che, refrangendo irregolarmente la luce nel prisma, non fosse possibile ad aversi nella immagine quella perfetta separazione de’ colori, ch’era assolutamente necessaria al buon esito dell’esperienza. E di fatto, sperando il prisma all’aria, chiaro appariva non esser netto; ma vedeasi sparso di moltissime puliche, di boccioline, e razzato di vene qua e là: e queste pur erano le cause dello irregolarmente refrangere e dello sparpagliarsi che vi facea dentro il lume. - Qual contentezza - disse la Marchesa - non sarà stata la vostra, quando vi chiariste donde procedeva il male? - La importanza - io risposi - era trovarvi il rimedio. E indarno lo cercammo con vari prismi d’Italia, i quali ben possono intrattenere l’altrui curiosità, e servir di trastullo appesi alla finestra di una villa, ma non già soddisfare a’ bisogni della fisica, così sono mal ripuliti e nebbiosi chi sottilmente gli guarda. In una parola, era presso che morta ogni nostra speranza, quando la fortuna ce ne presentò alcuni lavorati in Inghilterra, puri, nobili e lustranti, quali erano le armi di che, al dir de’ poeti, solevano anticamente agli uomini far presente gli dei. Se con essi si ritentasse tosto la prova, vel potete pensare, Madama; e potete anche pensare ch’ella fu vittoriosa. La immagine colorata del sole per essi dipinta riuscì schiettissima senza adombramento alcuno, e senza velo: e i colori refratti la seconda volta restarono così immutabili, che l’occhio il più sofistico, l’occhio dello stesso Zoilo del Neutono non vi avrebbe potuto scorger dentro un minimo pelo di alterazione. - Forse - disse sorridendo la Marchesa - che ha voluto la natura concedere a’ prismi inglesi il privilegio di mostrare il vero; a quei prismi cioè, per mezzo de’ quali lo ha da prima manifestato agli uomini. - Uno assai strano fenomeno - io risposi - sarebbe cotesto. Ma caso è che le risposte della natura, debitamente interrogata che sia, non si contrarian mai e sono sempre le medesime. Bene accecata la stanza, e perfettamente depurati che sieno i raggi da un buon prisma, i colori, non che una sola, ma tre e quattro volte refratti, tali si rimangon sempre, quali realmente sono. Ed ancora, chi guarderà col prisma un oggetto illuminato da un lume omogeneo, rosso, verde, o altro che sia, nol vedrà punto cangiato né di colore, né di figura; ma solamente fuori del luogo suo: e i più minuti caratteri posti a un tal lume si veggono distinti, e si possono leggere senza una fatica al mondo col prisma all’occhio. Dove al contrario i medesimi oggetti posti al lume eterogeneo dell’aria o del sole, e guardati col prisma, per la diversa refrazione che soffrono dal prisma medesimo i raggi, di che sono illuminati, oltre al vedersi pezzati di colori, appaiono altresì sfigurati non poco e confusi. Allora sì che vuolsi lasciare il prisma in balìa de’ poeti, che se ne servano in quelle comparazioni che non gli fanno grande onore. Quell’inglese, di cui ieri voi tanto ammiraste, Madama, e lasciaste sul bel principio la canzone, lo paragona al falso spirito e alla depravata eloquenza, la quale offusca la faccia del vero, prodigalizza senza distinzione alcuna gli ornamenti, e sparge sopra ogni cosa la lucentezza de’ suoi colori. - Perché non paragonarlo piuttosto - disse la Marchesa - al vero spirito? Le cose semplici non vengono punto da esso alterate; nelle composte sa discernere, separare e distinguere i vari ingredienti che entrano nella composizion loro; e l’ufizio suo sta nel mostrarne che che sia, non altrimenti da quello ch’egli è. - Madama, - io continuai - oramai voi conoscete tanto il prisma e le operazioni sue, da poterlo paragonare con franchezza al vostro spirito. Ma non so qual paragone trovereste alla immutabilità del colore, se già non la cercaste nel vostro animo; quando saprete che contro di essa niente ha più di forza la riflessione, di quello si abbia la refrazione: e però meglio ancora la conoscerete che ora non fate. Se i colori, onde paiono essere rivestiti i corpi, fossero una modificazione che viene acquistando la luce nell’atto dello esser riflessa dalla superficie di quelli, un corpo che apparisce rosso al lume del sole, rosso dovrebbe apparire altresì, posto nel lume azzurro della immagine colorata; potendo esso, come ha modificato la luce diretta del sole, modificare eziandio questa luce refratta e già modificata dal prisma. Il contrario mostrano le sperienze deI Neutono. Vedreste l’oro, lo scarlatto, l’oltramare, l’erba, con ogni altra specie di cose variamente colorate, che tutte rosseggiano, se nella stanza buia vi cadon su i raggi rossi della immagine, verdeggiano ne’ verdi, azzurreggiano negli azzurri; e così discorrendo per tutti gli altri. Con questo però, che ogni cosa, come è naturale a pensare, apparisce più vivace e più vaga a quel lume, che è del suo stesso colore: toltone però le cose bianche, che pigliano indifferentemente di qualunque tinta si voglia; come quelle che, per la propria loro qualità dello apparir bianche, riflettono indifferentemente qualunque colore, e chiamar si potriano il vero camaleonte ed anche il Proteo dell’ottica. - E questo diamante - soggiunse allora la Marchesa alzando alquanto la mano - basterebbe porlo ne’ diversi raggi della immagine a trasformarlo in un rubino, dirò così, in uno smeraldo, in un zaffiro? - Non ha dubbio: - io risposi - e similmente quei minutissimi atomi che volan per aria, allo scorrere che fanno d’uno in altro raggio della immagine, che listan l’ombra, cambian colore, ed hanno giusto sembianza di lucidissima polvere or di rubino, or di crisolito ed ora di altra pietra preziosa. Non così fanno, come io vi diceva, i corpi colorati. Il corallo per esempio lo vedreste spiritoso ne’ raggi rossi, illanguidir ne’ verdi, e negli azzurri presso che spento. Tutto all’opposto il lapislazzoli, il quale si mostra brioso negli azzurri, smonta o smarrisce ne’ verdi, e più ancora ne’ gialli, ed è quasi perduto ne’ rossi. Così ogni corpo riflette in grandissima copia o trasmette, se è diafano, que’ raggi che sono di quel colore che mostra; gli altri più o meno, in proporzione che sono più o meno vicini al suo colore per grado di refrangibilità; ma niuno ha forza di trasmutare il colore dei raggi della luce. Che debbo io dirvi di più, Madama? Immutabile si conserva il colore, quand’anche incontri che raggi di differenti specie si taglino tra loro: un verde, per esempio, e un violato; un rosso e un azzurro. Dopo l’incrociamento tali si mostrano, né più né meno, quali erano in prima. In una parola, invincibili si mantengono i colori della luce, e somiglianti sempre a se medesimi a qualunque cimento, a qualunque tortura, diciam così, e’ vengano posti dalla sagacità de’ filosofi, qualunque sia l’assalto che loro si dia. - Veramente - disse la Marchesa - un grande esempio di costanza si è cotesto; né so se altro somigliante fosse sperabile di ritrovarne nelle cose sotto alla luna. - Ben crederei, Madama, - risposi - che da straordinaria maraviglia dovessero esser prese le donne gentili all’udire di cotesta, non più udita, costanza neutoniana. E ce ne avrà, son sicuro, assai di quelle alle quali andrà più a sangue la vecchia sentenza: che i colori sono mutabili per natura.

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