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DISCORSO

Della Tribolazione.


Rare volte, o forse emmi intervenuto non mai, che volgendomi a considerare le miserie onde gli uomini su la terra vivendo son travagliati, io non ingombri l'anima sommamente di maraviglia, ed insieme di estrema compassione; e son sicuro che ogni persona fornita di senno se ne verrà prontamente con esso me.

Cerchiamo con gli occhi e con la mente, esaminiamo l'umana generazione quanto ella è grande, nè però troveremo o maschio o femmina, o vecchio o giovine, o soggetto o principe, o ricco o povero, il quale non sostegna procella di guai, e non dolgasi per mille maniere han tributato. Puossi egli venire incontra a si manifesta verità? non certamente. E come? se tabulazione è passione per bene che ci abbandona, o per male che ci sorprende, chi di noi dall'una di queste disavventure percosso non fassi dolente, o per alcuna stagione ne viva sicuro? Veggiamo di quante rose e da quante parti e per quante maniere siamo assaliti.

Ecco i campi dell’aria: prendono nitro e vizio, spandono peste, ed ella ne ruba la vita e senza contrasto ne inette improvvisamente settera; il mare, non meno acerbo avversano, co' monti dell'onde combatte e vince le flotte, e disperdendo le rannate ricchezze ci attossica con l‘amaritudine della povertà: ed anco la terra, frodando le nostre speranze e venendo meno a’ bisogni, invola i sostegni del vivere, nè ci lascia la vita se non con pentimento di essere nati. Questi elementi affliggono, nè se n’accorgono, né centra noi nutriscono mal talenti, e pure ci affliggono. Che dunque faranno gli uomini, i quali obbliando la carità si disamano, e mettendo in prova l'ingegno, ed armando ogni loro possanza si danno battaglie? Nè solamente vogliono affliggersi e porsi in guai, ma bramano di disfarsi, e procacciano loro struggimento? Un crudo tiranno rapisce i poderi, o depreda l’oro ed vivere ci pone in forse; sorge invidia, e con aperti latrati ne macchia la fama, e con maliziose menzogne l'adombra. onde l’anima turbasi, e perde quiete conoscendosi innocente, e non pel tanto mira in pericolo sua bontà. Dell'ire che dirassi? e che degli odj potrassi dire? Per loro colpa abbiamo noi giornate serene? e puossi uomo promettere tranquillità? Non bene intesa parola, cenno non ben giudicato, opera tratta a sinistro intendimento mette subitamente le spade in mano, spandevi il sangue, e quindi le famiglie vestonsi a bruno, ed i casati si riducono a nulla, e si additano per esempio di fiera ventura. Ma se la forza dell’odio e infesta, il mal amore certamente non ci reca giocondità. Qual fiamma accende foresta con tanto impeto con quanto voglia lussuriosa infiamma giovinezza disconsigliata, maggiormente quando la ragione vien meno in affrettare l'appetito, ed egli trascorre rapidamente in verso i vizj dal mondo appellati virtù, onde i malvagi si pregiano e vanno altieri di titoli disonorati? Per costoro le fanciulle insidiando si adescano, le maritate s’insidiano, ed agli anni maturi non si perdona; e di qui tra le numerose popolazioni la onestà, quasi donna e disonesta, si scopa e dallesi bando. Qual dunque padre, o qual fratello, o quale consone fia bastante a menare giorni tranquilli soffrendo oltraggi ai forti, o stando sol lo spavento di sofferirli? Non dissi dunque bugia, quando allarmai la vita degli uomini essere scuola di tormenti, in cui apprendiamo di tribolarci.

Bene è vero che le tribolazioni vengono in Dio grandissimo, ed egli qua le ci mandi; nè ci si presenti alcuno davanti, il quale così sfacciatamente farsi sentire — Le cose terrene non appartenersi alla divina onnipotenza anzi la maestà infinita godersi le regioni alle del cielo, e non degnare, del beatissimo sguardo la minutezza delle cose caduche. .Malizia ed ignoranza da schernirsi e gastigarsi. Questo Universo usci della mano di Dio, ed egli lo si governa; ed è il governo forte, e non è senza soavità, diconlo le scritture leali degli uomini santissimi; e ciò grida la bellezza ammirabile della terra che mai non movesi, e de' cieli che sempre si volgono, e la unione di tante cose discordanti il ci ferma nell’animo saldissimamente. Diretemi: — Se la sovrana possanza dà legge agli affari degli uomini, a con provvidenza regime, perchè, veggiwno noi che Dio cotanto gli tribola? e fra le tabulazioni dell’ira e della superbia e della invidia e degli altri peccati come s'impaccia? e perchè? — Per avventura è Dio facitor d'opere ree? fuggasi totale bestemmia dagli animi ed alle orecchie di persona fedele non si avvicini giammai: tanto scellerata parola non fenda l'aria. Moderni eresiarchi hannola divolgata, edempi! non trovarono forca che gli impiccasse? — Non è Dio facitore d'opere ree; non è come dunque impacciasi per entro alle colpe? — Dirollovi: non è ninno peccalo, il quale seco parte di bene non abbia, e quel piccolo bene fassi da Dio: seguentemente, permettendo adempirsi il malvagio pensamento del peccatore, permettendo, dico, non lo spingendo nè raffrenandolo ma lasciandolo in libertà, Dio consente il peccare degli uomini; perciocché egli è valoroso che si può, e cosi prudente che sa del male produrre il bene; ed è di tanta bontà che egli vuole produrlo: e se ciò non fosse, male giammai non apparirebbe nell'universo. Taccio ogni esempio; la passione dell’amabilissimo Redentore veglia per tutti. Non poteva Dio grandissimo chiudere il passo a quella perfidissima iniquità agevolmente; ma dove la franchezza del mondo? dove lo scampo? dove il conforto degli uomini? di che lampi fiammeggierebbe la gloria di Cristo soggiogator dell’Inferno? la carità alta, la sua sofferenza infinita sarebbe apparsa con splendore tanto maraviglioso? Non per certo: e di Dio la possanza non misurata, e la sapienza senza alcun termine, e la bontade oltra confini non averebbe intieramente avuti suoi pregi, non per si sublime cagione cantala, non inchinata, non adorata. Lascia pertanto il Correttore dell’Universo trascorrere il male, perchè indi egli fanne sgorgare fontane di bene. In tale guisa per atto di Provvidenza manda Dio le tribulazioni agli uomini, ed ancora le manda loro per atto di sua Giustizia.

E come dobbiamo non essere tribolati, se siam peccatori? la prima disubbidienza di Adamo, quasi un nembo, coperse ogni ragionevole creatura. E di mano in mano noi che facciamo? ove con le opere, ove col pensiero spendiamo le ore velocissime che ci traggono alla sepoltura? non dentro a’ vizj? non in mezzo a malvagità? Non voglio favellare di questi secoli per minore contristamento, ma egli è vero, che il popolo ebreo, già scelto e tenuto da Dio come retaggio, non giammai soleva affliggersi, se egli con le colpe non chiamava primieramente la peni. Egli sotto il giogo de Madianiti trasse sospiri, oppresso da’ Filistei si vide misero, i tiranni dell'Assiria ne fecero scempio, e gli eserciti de’ Romani ne trionfarono: così fu. Ma volgete le Istorie sacrate, e date orecchio al canto de’ santi profeti, e vedrete che mai sempre destarono l'ira, e sempre inacerbirono il core cd armarono la destra a Dio grandissimo e contra sè stessi il vollero crudo. Flagellano dunque le tribulazioni il peccatore, e sono perciò esempi di giustizia; ma diasi vanto alla sovrana demenza dell'eterno Correggitore dell'universo, poiché sua Giustizia non si scompagna, anzi attiensi alla Misericordia, e viene inannellata con la Compassione; e con nostro pro, e perciocché ella mette gridi e ne chiama indietro, e non consento che perseveriamo nello sviarci da’ celesti comandamenti. E noi abbiamo dal reale profeta testimonianze certissime, perciocché egli, ricevendo assalto da disavventure e rendendosi afflitto, mandò fervida preghiera al Signore, e fu esaudito benignamente.

Soggiungo, per la Tribolazione scemarsi le pene, le quali colà soffrirebbe l’anima, dove ella si purga. In qual modo? in questo, che non pagandosi il fio dal corpo per scelleratezze in questo mondo da lui adoperate insieme con l’anima, ella invece di lui ne renderà ragione sotterra. E colà giuso i tormenti pesano maggiormente; laonde e vantaggio saldare i conti quassù. Dico più avanti: la Tribulazione non lascia precipitale, e ne ritiene si che nei peccati non trabocchiamo spessissime volte: che se le membra tormentansi da podagra non s’invoglieranno di libidine; ed il poverello soverchiato da digiuno non gonfierassi per orgoglio e non sarà presto alle brighe; e quello altiero sotto giudice in sicura prigione non penserà ad oltraggiare il meno possente. Questi sono benefici di che la Tribulazione ci privilegia; ma non sono soli. Ella ci ammaestra, che gli agi e le delizie tenute carissime non sono da molto prezzarsi quando agevolmente ci si dileguano. Che più? percossi da tribulazione facciamo noi altro che ricorrere a Dio? Se in mare veggiamo per tempesta la morte in viso, e in battaglia non abbiamo speranza di scampo; se si scote la terra e fa sembiante di volerci immantinente ingoiare; se i cieli avventano fulmini, non è il nome di Dio subitamente sulle nostre labbra? Allora la croce non ci segniamo per mezzo la fronte? Allora al Cielo facciamo voti, ed allora proponiamo di ben pentirci, allora giuriamo di lasciare i peccati; allora....

Vediamo pertanto gli affanni e le afflizioni ed i guai da Dio mandatici essere grazie singolari, sì veramente che gli uomini si apprestino di buon grado a riceverli. A spiriti così fatti apportano le tribulaationi suavità; gravi sono ed acerbe quando li scellerati le si protacciano; i peccatori sono che tormentansi e tormentansi stranamente e prima che pecchino ed in peccando e dopo i peccati commessi. Della quale cosa pienamente favellare sarebbe troppo lungo corso di ragionamento: ma dirne alquanto non sia senza nostro pro. E perché gli esempj vivamente fanno comprendere, e via più quanto maggiormente sono chiari, piacciavi di essere meco, e dare uno sguardo a Giulio Cesare, e vedere ove il trasse l’alterezza, e la eccelsa superbia dell’animo suo smisurato. Daremoci noi ad intendere, che egli pensasse di crollare l’imperio di Roma, e di abbatterlo senza infiniti pericoli, senza immensi affanni, senza travagli innumerabili? Dovrà guastare le leggi, corrompere gli animi de' cittadini, sommovere il popolo, eccitare contese infra potenti; plebe e senato mettere in discordia, e starsi in riposo e non sempre ondeggiare in procella d’affanni gravissimi. Gli eserciti che egli raunò, le battaglie ch’ei diede, le regioni che soggiogò, le genti tagliate sul campo, i principi condotti in trionfo, non gli costarono notti vegghiate, giorni travagliosi, cure, sospetti, noie senza numero, senza misura ? Gli amici nella guerra dispersisi, i parenti uccisi, Pompeo suo genero assassinato, non gli fecce piaga profonda nell’anima? e la dignità della patria calpestata come poteva alcuna volta non trarlo a piagnere? E dobbiamo ancora considerare, che non ogni volta sue imprese furono felicissime, e che in Ispagna su la pianura di Manda, vedendosi su riseo di essere sconfitto, ebbe la mano pronta per ivi scannarsi; cd in Egitto, dentro il porto di Alessandria, mirossi a segno che poteva bramare di altrove avere lasciata la vita. Con sì gran fascio di pene, ove condussesi? e tante molestie con le quali si afflisse quale mercede gli diedero? Certamente in mezzo della patria, a cui faceva forza ed oltraggio, innanzi ai senatori, a’ quali egli pose i piedi sul capo, sotto la immagine dell’avversario guerreggiato, egli, con venti spade macellato, trasse rovescialo di terra i sospiri, onde l’anima perseguitata si accompagnava da cordogli gravissimi. Cotale ci si manifesta Cesare datosi in possanza dell'alterezza. Ora veggiamo che fu di Antonio, idolatra della lussuria. Questi, partitasi la romana repubblica con esso Augusto, godevasi il mondo verso le parti dell’Oriente, ed in Egitto abbagliatosi nello splendore di quella reina, a nulla altro pensò salvo a’ diletti, i quali da lei se gli poteano creare. Roma obbliò, la moglie nobilissima prese a vile, e le guerre ebbe cose leggiere, e sovente abbandonò le vittorie, e più d’una volta lasciò consumarsi infra i disagi gli eserciti, vago di correre agli occhi di una barbara femmina: per costei sostenne essere chiamato rubello di Roma, ed armossi con tutte le sue forze, e fecesi all’incontra agli avversari, i quali erano suoi cittadini, erano suoi compagni, ed erano suoi parenti, e discordavano da lui perchè egli volea, ed egli volea perché tale era il volere della Cleopatra. Venne la giornata della battaglia, e mentre dovea sperar la vittoria, abbandonò i soldati infiammatissimi nella pugna, ed appiattassi in Alessandria come un perseguitato egiziano, ivi ritrovato da Augusto, ivi steccato ed ivi finalmente ridottosi a disperare trafissesi. È vero egli appagò suoi desiderj, è vero gioi di una bellezza per lui bramata; ma da quante afflizioni fu circondato? quante volle abbiamo da credere che egli fosse discaro a sè medesimo per vergogna? quanto internamente prendesse disdegno contra colei onde si traeva il vituperio? quante sospirasse la corona di tanti regni, i quali gli fuggivano di mano per pura viltà? Erano quelle delizie ben pagate da tribolazioni, o no?

E quelle erano, o Carissimi, veramente tribolazioni, perciocché venivano con peccati; né erano conosciuto come ammonizioni, ne come; correggimeti del Signore dell’Universo. Ma noi, se sofferendo pena la ci pigliamo con pazienza, se la reputiamo grazia celeste, se la facciamo ammenda di nostre colpe, non dobbiamo appellarci nè tormentati, nè tribolati; il fiele di sì fatte molestie non amareggia, e care sono le lagrime, le quali ci fa spargere quella angoscia, ed i sospiri soavi e le querele sono dolcissime. Nè queste parole escono di mia bocca; ciò che dico cantalo Davidde, il quale si converse a Dio mentre Dio lo trafiggeva pure con spine; affermavalo Isaia, predicando che Dio ricercasi da noi mentre noi siamo annoiali dalle molestie; affermavalo s. Jacopo, il quale ne ammaestra a pigliare allegrezza quando per mille vie siamo affannati; e finalmente Cristo benedetto ci si fa specchio; al quale fu mestiere patire, e quindi trapassare alla gloria. Ma noi troppo siamo vaghi delle delizie, e troppo spavento ci porge la povertà, e della morte tremiamo al nome, come di cosa oltre ogni termine miserabile; e ciò fassi contra ragione, ed a grandissimo torto. In quale guisa può questo mondo farci sentire contristamento da paventarci, se egli se ne trapassa ed in un momento ci scaccia fuori di sè? Non è la vita mortale un volo? un salto? un battere di palpebra? Che fia dunque vivere tribolato, salvo un lieve momento di pena?

Ma sia lungo, ma sia gravissimo, la tribolazione viene dall’altissima mano di Dio, viene per minore gastigo, viene per maggiore nostra felicita; giungiamo, giungiamo: che la destra di Dio grandissimo fassi a’ tribolati sostegno, porge vigore a' stanchi, non lascia cadere i mali allenati e i caduti solleva. Ed a si brevi, e si leggieri travagli quale mercede? reami, la cui grandezza né anco può comprendersi col pensiero: passeggiare le cime del Ciclo, trascorrere campi stellati, gioire di lume onde forte si abbagliano i raggi del sole, farsi compagno di martiri, schierarsi co’ vergini, trattare con gii apostoli, domesticarsi con gli angioli. Qual gioia di dentro! somma dolcezza mirare il tormento de’ condannali diavoli; rammentare di avere loro insidie schernite, loro sforzi vilipesi, loro persuasioni risospinte. Può essere in questo mondo bene che ci abbandoni, o male che ci sorprenda, onde tante beatitudini si disprezzino? Afflizioni di corpo, passioni di animo, acerbezza di fortuna, in paragone perdono loro perversità; ed essene fatta la prova in molti modi, e con molte persone. Tal uomo perdette ricchezze, e lodonne Dio grandissimo; altri, percosso di lunga infermità, diedegliene dolcissime grazie; fu chi si coperse d'infamia, e sostennelo con lieta sembianza. E noi perchè perderemo coraggio? non forti, non saremo costanti? Pentiremoci di cammino ove la Vergine santissima ci precorre? Miratela per Giudea, miratela per Galilea, miratela in Nazarette, miratela in Gerusalemme, e quivi miratela tribolata. Non è tribolata se in mezzo ai rigori del verno spone il parto carissimo ai fiali dell’agnello? Non se per salvarlo se ne fugge in Egitto? Non se lo scorge sempre in fatica, sempre in affanni, sempre insidiato, sempre oltraggiato? Bene è vero, che senza tribolazione la vide il Calvario, e che le pendici di Golgota la videro fortunata. Ah specchio degli afflitti, ah reina de’ martiri, volgete lo sguardo verso di noi, e dateci mano. E voi, o Carissimi, vogliate gli occhi disvelare dell'intelletto, e pigliare via verso il promessovi Paradiso. Ma se vivendo lepidamente, ed ogni ora più raffreddandovi, sperate di guadagnare sempiterne corone, voi non avete l’arte appresa che dal sacro Evangelio s'insegna.

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