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L'Orgoglio e la Pietà
Epilogo

L'ORGOGLIO E LA PIETÀ.

Dall'uscio spalancato della stanza, l'occhio dominava la ripida caduta della costa e si perdeva nell'infinito del cielo e del mare. I tre commensali, seduti attorno alla tavola mezzo sparecchiata, tacevano, assorti in una profonda contemplazione, e leggermente inebriati, più che dal vino di fuoco che un raggio di sole accendeva nei bicchieri, dalla vista grandiosa, dalla intensa e quasi ipnotica fissazione del perduto orizzonte. La pace era profonda: non una voce, non un movimento; le barche dalle alte vele latine parevano immobili, nella distanza.

Fritz Eisenstein, l'ospite, si scosse dal suo torpore, e passando una mano nella selva della sua capigliatura, esclamò:

— Sapete che noi dovremmo vederci più spesso? Non sarebbe un ideale

ridurci qui, tutti e tre, lontani dal chiasso, vivendo nel mondo dello spirito, nella pura astrazione?... Noi ricorderemmo la nostra vita passata, e nulla sarebbe più interessante del viaggio di esplorazione che ciascuno di noi farebbe nella coscienza dell'altro....

Allora, finalmente, dopo lunghe divagazioni, dopo un silenzio imposto dalla calma suprema dello spettacolo, una parola fu pronunziata in quella conversazione di giovani: la Donna.

— Ah, parliamone! — diceva Fritz Eisenstein, portando alle labbra con

un gesto automatico il bicchiere e riponendolo tosto in mezzo alla tavola. — Vi è stato un tempo in cui la fine di Edgardo Poe mi ha sedotto.... — E, con la stessa larghezza con cui aveva fatto gli onori di casa ai compagni, egli cominciò a raccontare un suo fosco dramma d'amore, con l'accento malfermo di chi, avendo rasentato un precipizio e provate le prime vertigini, non può ripensare al pericolo senza temere d'esserne tuttora minacciato.

Franz von Rödrich ascoltava attentamente, coi gomiti sulla tavola e la testa fra le mani, mentre Ludwig Kopfliche, un po' abbandonato, le braccia pendenti, gli occhi rovesciati, seguiva per aria le spirali azzurrine della sua sigaretta odorosa.

— Ed io ero in questa orribile alternativa — diceva Fritz Eisenstein — o

di lasciare scoprire la mia relazione con quella donna, di vederla perduta per sempre agli occhi del mondo, di esser la causa di una rovina irreparabile, o di spingerla — io stesso! — in braccio all'unico uomo che avrei voluto fare scomparire dalla faccia della terra!... Ah! i miei capelli cominciano a brizzolarsi? Lo strano è come non sieno già tutti bianchi di neve!...

Ludwig Kopfliche si attorcigliava ora lentamente i baffi candidissimi sulla faccia d'un bel roseo di salute e di gioventù, e i suoi occhietti luccicavano sotto la larga fronte curiosa.

— Non bisogna lamentarsi, perchè tutto può essere materia di studio e

di osservazione! Fra lo scatenarsi delle passioni più divoranti, c'è da fare delle raccolte preziose di piccoli documenti e di piccoli fatti! — Ed egli sviluppava le sue teorie di critico, di raffinato dilettante, capace di lasciare un brano del proprio cuore in fondo a una esperienza, pur di notare delle sensazioni nuove, o rare, o complesse.

— Ma l'analisi non uccide il sentimento?
— Può anche crearlo! A furia di critica, si può costrurre — come

diciamo noi tedeschi — quel sentimento che più ti aggrada. L'amore? Anche quello. Io posso far nascere in me l'amore, quando voglio, artificialmente....

E mentre egli raccontava i risultati di qualcuna delle sue complicate esperienze psicologiche, Fritz scuoteva la testa, e replicava, opponendo argomento ad argomento, e caso a caso. Vive, appassionate, enimmatiche, si evocavano intanto ai loro occhi le scomparse figure di donne e, ad un tratto, dinanzi alla irrompente piena di ricordi, le voci tacevano un poco. Allora si sentiva il silenzio solenne della campagna assopita sotto il sole declinante, mentre l'azzurro del cielo leggermente velato pareva l'immensa evaporazione del mare e le vele latine si tingevano di porpora.

Con la fronte sulla palma della mano, Franz von Rödrich lasciava annegare i suoi sguardi negli spazii profondi, e un brivido gli serpeggiò pel corpo quando gli amici si volsero a lui, strappandolo un po' bruscamente alla sua deliziosa rêverie.

— Franz, tu sei ammutolito?
— Non ci racconti la tua?
— Che cosa volete che io vi racconti? — rispose egli, con lo sguardo un

po' smarrito pel contrasto della chiara luce diffusa al largo e la penombra della stanza, dalla quale il sole si era già ritirato. — Per cercare che io faccia, non mi riesce di trovare in fondo alla mia memoria nessun fatto che sia degno di interessarvi come i vostri hanno interessato me. I casi più notevoli che mi sono capitati sono di quelli che, con parola espressiva, si chiamano fiaschi. Ora, i fiaschi è meglio vuotarli che raccontarli! — e nel ripetere il volgare doppio senso v'era qualcosa d'amaro nell'espressione della sua fisonomia.

— Egli è che voi ne avete già vuotati parecchi — osservò Ludwig

Kopfliche, che non beveva quasi vino — e sarebbe prudente di cambiar sistema!

— Conciliamo! conciliamo! — rispose Fritz Eisenstein porgendo un

bicchiere a Franz von Rödrich. — Vuota prima... Ora racconta!

— Volete? E sia! Ma non vi stupirete se nel mio racconto non v'è molto

nesso?... Io lascierò che i ricordi si svolgano da loro; e se vi annoio, siamo intesi? la colpa è vostra. Voi avete conosciuta la Cabianchi?

Fritz e Ludwig si guardarono.

— Quello splendore?... Quella maestà?...
— Sì, quello splendore, quella maestà di bellezza, completa, perfetta,

ideale! Quella bellezza che non si concepiva di poter ammirare altrimenti che in ginocchio, dal basso all'alto, colle mani giunte, nell'attitudine di un prete dinanzi all'idolo! Quella bellezza pura, serena, intangibile e intatta! Io l'ho amata... Parlo con persone che intendono che cosa si racchiuda in questa parola: Amore; quali eterogenei elementi entrino a formarne il significato. Fra tutti i secreti moventi che esercitavano la loro azione su di me, la curiosità di leggere in fondo a quel cuore, di risolvere l'enimma di quegli sguardi di sfinge tranquilla e superba, non era il meno forte.... Ma io l'amavo con più semplicità; la desideravo, anima e corpo, e tanto più intensamente, tanto più dolorosamente, quanto più scoraggiante era la leggenda che correva su quella Groenlandia ghiacciata. Chi potea vantarsi di aver avuto con quella donna una conversazione intima, sulle cose del cuore e dell'anima? La sua intimità, io voleva conquistarla. Ciò che mi arrestava di più in lei, era la sua serenità divina, di creatura superiore, a cui gli omaggi, il culto, sono dovuti, naturalmente; che nulla può commuovere, che nulla può interessare, E la frase di Spinoza mi tornava alla memoria; «Chi ama Dio non può far nulla perchè Dio lo ami in ricambio...» Vi era in questa indifferenza dinanzi alle prove della mia più fervida adorazione, della mia devozione più umile, qualche cosa che feriva il mio amor proprio, acutamente; non pertanto mi facevo forza, e persistevo, malgrado mille piccole amarezze, felice di sorprendere, di tanto in tanto, qualche barlume nella freddezza metallica di quegli sguardi. Alcune volte gli spiriti s'intendono, meglio che per via di lunghi discorsi, in un minuto di silenzio eloquente.... Noi eravamo alla terrazza del villino, verso il tramonto di una giornata autunnale. Il cielo dell'orizzonte era d'un rosa tenero che, per gradazioni delicatissime, sfumava in un verde impossibile a definire... Io ero riuscito a farle leggere un romanzo d'amore; ne avevamo parlato; mi era parso di scoprire, nel suo accento, qualcosa di tremante, di commosso, al ricordo del dramma... — Che cosa è la vita senza passione?... — Io ero stupito ancora delle mie parole; mi aspettavo di vedermi guardato con occhio curioso, come si guarda un originale, uno stravagante.... Ella guardava l'orizzonte, quel rosa e quel verde che infondevano una grande dolcezza nel cuore. Vista così di profilo, immobile, ai toni caldi del tramonto, ella era schiacciante di bellezza ieratica.... Tacevamo, e l'ora fuggiva, adorabile.... Lentamente, io avevo cavato il guanto dalla mia destra, e pigliando a un tratto congedo da lei, tenni, per la prima volta, la sua mano nuda nella mia. Era il freddo della sera? Un brivido mi passò pel corpo a quel contatto soave. Quanto tempo si può stringere una mano? Due, cinque secondi? A me parve che quella stretta durasse indefinitamente. Alla sensazione di freddo che mi aveva scosso, ora succedeva un tepore dolcissimo che, a ondate, dalla mano mi saliva pel braccio e mi serpeggiava per tutti i nervi... — Ci rivedremo presto?... — Martedì, al viale dei Platani. — Che scoppio d'allegrezza nell'anima!... Io mi sorprendevo, per le strade affollate, ad esclamare: È mia! È mia! Quanti mi avranno preso per pazzo?... Con quale ansia aspettavo che il tempo scorresse, che arrivasse quel martedì, quando avrei... che cosa! Non lo sapevo io stesso!... Io ero lì, a percorrere il viale coperto d'un tappeto di foglie morte, spiando la sua comparsa, sussultando ad ogni rumore, ad ogni forma lontana... Ella non veniva ancora.... Degli amici m'incontravano, mi trattenevano; io avrei voluto strozzarli.... Il tempo passava, le ore suonavano una dopo l'altra all'antico convento di San Domenico, le ombre si allungavano.... Ella non veniva.... Il freddo della sera mi pungeva, le gambe mi si piegavano.... Ella non veniva... Perchè? Che cosa le avevo fatto?... Ma insomma, non era quella mia disperazione puerile? Un contrattempo fa presto a sorgere... Però io provai una puntura acutissima, lancinante, quando, uscito di lì, nella baraonda della via, la scorsi, serena, indifferente, incedere tra la folla con lo sguardo fisso dinanzi a sè, senza guardare nessuno. Tu hai pratica del magnetismo, Ludwig?... Io la chiamavo imperiosamente, cogli occhi, e come ella si voltò a guardarmi, lo feci l'affronto di non salutarla. Avevo voglia di piangere. Mi sentivo umiliato, avvilito da quella indifferenza, da quella serenità. Mi rivedevo, ridicolo, lì, in quel viale dei Platani, ad aspettare chi non veniva; a desiderare chi il desiderio non aveva mai compreso... Io stetti quindici giorni senza cercarla; meglio, evitandola. Poi la passione fu più forte. Ella pareva non essersi accorta di nulla; mi accolse come l'avessi lasciata il giorno prima. Le repulse decise, una dichiarata ostilità non mi avrebbero fatto tanto male quanto quella incoscienza serena che offendeva la mia passione d'amante e la mia dignità di uomo... Mi allontanai ancora; poi tornai nuovamente a lei... Vado per le lunghe? Un giorno, era sola. Come mi lasciai trascinare dalla piena dell'affetto? Che cosa le dissi? Io ero stupito della mia eloquenza; le frasi mi sgorgavano dalle labbra facili, incalzanti, come in certi momenti di dormiveglia, quando ci sembra di parlare con la stessa facilità con cui si legge in un libro stampato... — Voi non credete all'amore? Che cosa bisogna fare per convenirvi? Come dimostrarvi di che miracoli l'amore è capace? Come provarvi che non ostante l'accumularsi del ghiaccio, tra i rigori iperborei, le fiamme d'un vulcano possono erompere?... — Io ero al suo fianco, vicino, molto; sentivo il suo profumo penetrante salirmi al cervello; la guardavo supplicante... Nulla!... Non importa!... presi la sua mano nelle mie mani scottanti... Ella la ritirò... Non importa!... non volevo che mi sfuggisse, contavo di vincerla... Ah!... quella mano che ella mi aveva tolto, ora me la porgeva!... Come? Come si fa l'elemosina ad un miserabile, ad un fastidioso miserabile che vi stia dattorno, inevitabilmente!... Nel suo sguardo, l'impassibilità del Dio... No! Tutto il mio orgoglio dimenticato, soffocato, calpestato per l'amore di quella donna, si ridestò gigante, irresistibile. No!.... Se io avessi preso quella mano, sarei stato probabilmente l'amante della signora Cabianchi. Quella mano, io non la presi....

— Ah! Tu non l'amavi! — esclamò Fritz Eisenstein, picchiando sulla

tavola e facendo col capo vivi segni di denegazione.

— E poi, scusa — aggiunse Ludwig Kopfliche accendendo un'altra

sigaretta — l'osservatore non deve aver tutte queste fisime pel capo! La ricerca del fatto, innanzi tutto. Sarebbe bella che il fisico non volesse curvarsi a guardare dentro il microscopio, col pretesto che l'uomo deve tener alta la fronte! Sarebbe ancora più bella che il fisiologo rinunziasse a provare l'efficacia d'un rimedio, per non aprire le viscere d'una creatura vivente!

— Ah! eccomi giunto al mio secondo caso, — riprese Franz von Rödrich,

dopo aver lasciato dire gli amici fissando le vaghe forme vaporose che si disegnavano all'orizzonte. — Una creatura vivente, e di che vita intensa, acuta e torturante! Voi non l'avete conosciuta. Il suo nome? Che cosa importa! Ella si chiamava la Leggiadria, la Grazia, l'Incanto. Nulla, in lei, di regolare e di previsto; il volgo la giudicava brutta. Ella era bella, della sovrumana bellezza consistente nell'espressione, nella simpatia, nell'anima rivelantesi dagli sguardi, dalla voce, dalla stessa attitudine di un corpo flessibile, ondulante, superbamente modellato. Dal primo giorno che la vidi, una dolcissima intimità si stabili fra di noi. Io non ricordo di aver mai scambiato con lei, fuorchè in presenza di altre persone, i luoghi comuni delle conversazioni quotidiane. Che scienza del cuore ella aveva! Come era organata per la sofferenza l'eletta creatura, tutta spirito, tutta fantasia, — e come aveva sofferto! Vi era una tragedia nella sua vita, ed ella era ancora sotto l'impressione del fulmine cadutole dinanzi. Come esprimere l'intenerimento che ella mi dava? Io avrei voluto al mio comando ogni potenza per riparare l'evidente ingiustizia commessa a suo danno dal Destino, per restituirle i suoi sogni e le sue speranze, per cospargere di petali di rosa il suo cammino.... A poco a poco, arrivai a credermi capace di questo miracolo. Il prepotente amore nasceva in me: si traduceva, mio malgrado, in ogni mia parola, in ogni mio atto. Ah! che charme! che charme!... Ella mi comprendeva, mi era grata, mi amava.... Come spiegare altrimenti la metamorfosi che si operava in lei, l'adorabile sorriso che le splendeva ora negli umidi sguardi, la rifioritura di tutto il suo essere oppresso e quasi avvizzito dall'inclemente stagione?... Il mio più fervido voto stava dunque per essere compiuto? La gioia aspettata stava dunque per entrarmi nel cuore!.. Oh, perchè, invece, una nebbia di tristezza si levava in me lentamente, ed invadeva le più recondite pieghe dell'anima? Perchè quel sentimento di profonda, di angosciosa commiserazione alla vista della creatura adorata? Perchè quella ostinata visione del male di cui le sarei stato causa, delle nuove inevitabili lacrime, delle nuove torture? In chiesa, un venerdì, il giorno che ella dedicava alla preghiera.... Era in ginocchio dinanzi l'altare dell'Addolorata. Non mi vide. Io bevevo la magia della sua vista, e il luogo, l'ora, tutto mi disponeva ad una mistica tenerezza. Oh, la povera adorata creatura! Come era debole, e tenue, e delicata, e fragile! Come il suo viso era lavato dal pianto! Come il più leggiero tocco l'avrebbe fatta dolorosamente vibrare in tutte le fibre! Come bisognava essere crudeli per tormentarla, ancora!... E un giorno che noi eravamo soli, e che io le ero vicino, e che le nostre fronti si avvicinarono per leggere le parole di un poeta, le mie labbra le sfiorarono le tempie.... Un grido represso, una angoscia nell'occhio rovesciato, uno scoloramento nel viso, un affannoso sollevarsi del seno.... Io presi le sue mani, le sue povere bianche mani tremanti che ella aveva portato sul cuore; io le baciai, filialmente.... La sera ero partito, lontano....

— Ah! Tu non l'a... — cominciò Fritz Eisenstein; ma levandosi ad un

tratto da sedere, in preda ad una grande emozione, si corresse vivacemente: — No! No!... Tu l'amavi; oh se l'amavi! Ed è bella, ed è buona, ed è vera questa pietà!...

Ora, il cielo dell'oriente si colorava d'ametista e il mare si venava di grandi striscie, come un amuerro. Le barche si avvicinavano alla costa, in lunghe file, e il silenzio pareva piovere più profondamente sulla campagna e sul mare.

— Che poesia nella rinunzia! — esclamò ancora Fritz Eisenstein, con un

gesto largo.

— Il Buddha! il Buddha! — disse sommessamente il raccontatore.

Allora Ludwig Kopfliche, il dilettante, si rialzò sulla sedia, buttò la sua sigaretta, incrociò le braccia sulla sponda della tavola, e immobile in tutta la persona, come un idolo antico, cominciò:

— Quando Sachia-Muni era ancora il principe Siddârtha, aveva ogni

virtù del perfetto cavaliere. In un punto soltanto non rassomigliava a tutti gli altri. Nessuno era più abile di lui ad inseguire la caccia per la foresta; ma quando, al galoppo del suo focoso cavallo, con l'arco teso, vedeva saltellare rapidamente la gazzella spaurita, invece di lanciare la freccia egli si arrestava, preso da un subito tremore; e lasciando i suoi compagni, se ne andava con uno strano sogno di tristezza e di pietà....

— «Voi che volete seguire la strada regale» — disse Franz von Rödrich, 

pendo l'amico con un segno della mano — “ascoltate le quattro grandi verità! La prima è di conoscere il dolore; la seconda di penetrare la sua causa: il desiderio. La terza consiste nella fine del dolore, che è l'amore di sè vinto, la brama domata. La quarta è di conoscere la via che conduce al rifugio....„

E mentre il sole tramontava e il velo dell'ombra si distendeva sul cielo e sul mare, i tre buddisti tacevano, nell'aspirazione al promesso Nirvâna.

FINE.

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