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UN CASO IMPREVISTO.
Come le carrozze si fermarono dinanzi alla porticina della casa in costruzione, e ne cominciarono a discendere i padrini col fascio delle sciabole avvolte in un vecchio panno verdastro di tavolo da giuoco, la comitiva raccolta nel Caffè della Stazione, in fondo alla piazza lì dirimpetto, si agitò.
— Eccoli!... Eccoli lì!
— Ci sono tutti? — chiese il Monterani.
— Manca ancora il marchese. Quello lì non è il dottor Salandri?
— E l'altro dottore?
— Non si vede. Sono già le tre.
Tutti gli occhi erano rivolti da quella parte; il cameriere, col tovagliolo sotto il braccio, se ne stava fermo sull'uscio a curiosare.
— Ed il motivo di questo duello? — chiese l'avvocato Corsi. — Se ne sa
nulla?
— È semplicissimo. Luzzi annoiava il marchese con le sue assiduità
presso la moglie.
— Ed il marito non ha trovato di meglio che mandarlo a sfidare?
— A proposito, — interruppe il Monterani rivolgendosi a Baldassare
Gargano, che non aveva ancora aperto bocca. — Tu non sei stato pregato dal marchese di rappresentarlo?
— Sì, ma non ho accettato.
— Hai delle ragioni speciali?
— Ho giurato, dopo l'ultima volta che presi parte ad una quistione
d'onore, di non fare più il padrino a nessuno.
— Perchè?... Che cosa ti è successo?
— Una scena che non dimenticherò mai più.
— Qualcuno dei combattenti è rimasto sul terreno?
— Al contrario; il duello non avvenne.
— Oh, allora?
— Racconta, racconta un poco! — insistettero tutti, ad una voce.
— Bisogna innanzi tutto sapere, — cominciò Baldassare Gargano, — i
motivi pei quali si scendeva sul terreno. Fu una sera, a..., al Circolo dello Sport, dove mi ero recato per caso, per non sapere che cosa fare di me . Avevo sfogliato dei giornali, scambiata qualche parola con alcune conoscenze, ed ero passato nella sala dei bigliardi. Stavo per sedermi, attirato dall'interesse di una partita impegnata fra due delle più forti stecche, quando scorsi, appoggiato allo stipite di una porta, quasi nascosto dalla tendina, il conte di Bauern; sapete, il figlio del ministro di Sassonia?.... In altre circostanze, quell'incontro non mi avrebbe fatto nè caldo nè freddo; ma il conte era stato di fresco colpito da una grande sciagura: la morte della sua giovane moglie adorata e pianta amarissimamente. Il triste avvenimento, che aveva commosso tutti coloro dai quali la contessa era stata conosciuta, non era molto recente, datava forse da quattro o cinque mesi; nondimeno, era quella la prima volta che lo sconsolato marito riappariva in pubblico. Questo fatto stesso vi potrà dare un'idea dell'intensità di un dolore le cui traccie, appena io ebbi scorto il conte, potei leggere sulla sua figura disfatta, nella magrezza e nel pallore del viso che l'abito nero contribuiva a mettere in ispicco, nello smarrimento degli sguardi nuotanti come in un vapore di lacrime. Il lutto che aveva nelle vesti, era anche nell'anima — di quanti vedovi credete voi che si possa dire altrettanto? Egli è che la contessa di Bauern, la gentile creatura così rapidamente sparita, riuniva tutte le condizioni per rendere felice un uomo — se la felicità è possibile. Bellezza, grazia, cultura, nobiltà di nascita e di sentimenti, austerità di costumi; ella aveva tutto; ed io non so se un nuovo Pigmalione, foggiandosi da sè un essere destinato a dividere la propria vita, avrebbe potuto farlo più perfetto. Per ogni dove, il conte di Bauern era guardato con un sentimento di invidia, che la possessione di un tale tesoro destava, ma che — pur troppo! — doveva presto mutarsi in pietà, quando il rapido estinguersi di quell'esistenza venne in certa guisa a dimostrare come essa non fosse fatta per questa terra....
— Ecco, ecco il marchese! — interruppe il Monterani.
S'intese infatti il rotolare di un legno che venne anch'esso a fermarsi dinanzi alla casa in costruzione. Erano tre le carrozze stazionanti ora lì vicino, circondate da alcuni curiosi che domandavano notizie ai cocchieri.
— Dicevo dunque — riprese il raccontatore — che vedendo per la prima
volta al Circolo il vedovo conte, non potei esimermi da un movimento di curiosità. Senza essere molto intimo con lui, lo conoscevo abbastanza. Al tempo della sua disgrazia, ero andato a lasciargli una carta — formalità che ha il grande vantaggio, come tutte le formalità, di dispensarvi da ogni altra cura; però, vedendolo al Circolo, notando la sua tristezza, la curiosa espressione dei suoi occhi nei quali si leggeva la ricerca della distrazione in lotta col bisogno di concentrarsi nel proprio dolore, credetti conveniente di avvicinarlo. Quando gli fui accanto, mi pentii della mia iniziativa. Il conte di Bauern, presente col corpo in quella sala di bigliardo rischiarata dalle sei lampade dai grandi riflettori, ne era lontano con lo spirito — infinitamente lontano. Dove vagava esso? che cosa cercava? quale visione seguiva? Non lo so; so questo: che ebbi appena l'agio di stringergli la mano, di balbettare non ricordo più quali frasi di convenienza, e passai in una sala vicina.
«Quando il diavolo ci mette la coda....
— Un'altra carrozza!... Il medico del Luzzi....
— Silenzio! — ingiunse l'avvocato, che l'interesse aveva già
preso. — Quando il diavolo ci mette la coda?
— Nulla può impedire il precipitare delle catastrofi. Giusto quella
sera, un'indisposizione della Nevosky aveva fatto sospendere lo spettacolo, e un tempo orribile aveva reso problematico per molta gente l'impiego della serata.
«A poco a poco, una comitiva rumorosa si formò nel Circolo, alla testa della quale era Rodolfo Vialli, un capo scarico, un essere leggiero più della cenere di questa sigaretta. Si chiacchierò, dapprincipio; si commentò la malattia della cantante, si mise non so che scommessa, e a un tratto il Vialli, pigliandosi sotto il braccio l'Ansaldi, un dilettante di musica suo competitore, lo trascinò al bigliardo. La curiosità mi spinse di nuovo da quella parte; il giuoco cominciò, fra il sopravvenire continuo di nuova gente....
All'orologio del caffè scoccò la mezz'ora.
— Debbono già essere in guardia — disse qualcuno.
— State a sentire! — ingiunse di nuovo l'avvocato.
— Se voi volete — riprese il narratore — che io vi ridica in qual modo
da una questione d'arte il discorso sdrucciolasse a poco a poco nella maldicenza, io non potrei contentare la vostra curiosità. Sapete come avviene: una parola tira l'altra: si sa donde si parte, non si sa dove si va a parare. Si parlava di uno scandalo scoppiato in una famiglia dell'alta società, uno dei soliti drammi domestici: il marito che scopre la colpa, la moglie che deserta la casa coniugale per seguire l'amante.
«Povero Geppino, — esclamava il Vialli, parlando di quest'ultimo — che tegola sul capo! Queste cose, da principio, sembrano il paradiso, come all'amante di Saffo pareva il paradiso salir le scale di casa portando l'amica sulle braccia. Arrivato in cima, stava per morire dalla stanchezza!...» Non so più chi osservò: «Quando si affronta una situazione, si ha il dovere di subirne le conseguenze.» — «Non dico il contrario — rispose lentamente il Vialli, studiando se gli convenisse di tirare la sua palla sulla bianca o sulla rossa. — Non dico di no.... ma l'adempimento di un dovere non è sempre una cosa allegra.... — E, mancata la carambola: Il malanno al dovere!... La fortuna è di poter rompere a tempo!...» L'Ansaldi, anche lui, sbagliò il suo colpo. «Alla rivincita!... — disse il Vialli, ma irritato da un nuovo sbaglio: — Le liberazioni, — esclamò, — come quella della Bauern non capitano tutti i giorni!...»
«Amici miei, io non so ripetervi quel che provassi in quell'istante. Che cosa voleva dire il Vialli? O avevo frainteso?... Automaticamente, appena egli ebbe pronunziato quel nome, gli occhi mi andarono alla portiera dove avevo visto il conte. Egli era ancora lì... scorsi soltanto i suoi occhi, gli occhi lucenti come fossero di fosforo. Si erano quegli altri accorti come me della sua presenza? Pe rchè nessuno si alzò? perchè io stesso non mi alzai di scatto gridando al malaccorto: Taci, sciagurato: non vedi tu chi ti ascolta?... Vi sono dei momenti nei quali una tragica fatalità sembra pesare su di noi; nei quali, con la nitida percezione di quel che ci avviene dintorno, noi abbiamo, come negl'incubi, l'assoluta impossibilità di far nulla per arrestare il corso delle cose.... Io vi dico tutto questo ora; in quel momento non vi fu il tempo di pensarne una minima parte. «Augusto Secchi — continuò il Vialli, sbattendo per terra la sua stecca — è stato ben fortunato di liberarsene....
«Oh, che scena; che terribile scena! S'intese sul tavolato il rumore di un passo, che fece voltare tutta quella piccola folla, e il conte di Bauern, come un'apparizione fantastica, si avanzò verso il Vialli. Nessuno si mosse; io non avevo fiato da respirare. Quando il conte fu vicino al giuocatore, disse con voce d'una freddezza stridente — lasciate pure correre l'espressione — che mi risuona ancora all'orecchio: «Mentitore vigliacco!...» Come allo scatto di una molla, il Vialli alzò la stecca; allora il conte, in un lampo, glie la strappò di mano e mandando indietro l'uomo con un urto nel petto, ruppe sul ginocchio il forte bastone come fosse un fuscellino.... Cieco d'ira, il Vialli fece per slanciarsi su lui, ma era troppo; il terrore da cui eravamo stati ammaliati svanì; dieci, venti persone si slanciarono in mezzo, io fra questi; e, trovatomi vicino al conte, lo trascinai in un'altra stanza....
«Egli era stato ammirabile di coraggio e di sangue freddo; ancora non un tremito tradiva l'emozione che certo aveva dovuto essere formidabile. Tutti, concordemente, condannavano il Vialli. Calunniare una donna su cui nessuno aveva mai avuto nulla da dire, infamare la memoria di una morta senza nessuna possibile scusa, e ciò dinanzi a tanta gente, dinanzi al marito, era una leggerezza che rasentava la colpa. «So che ho torto — esclamava egli nell'altra stanza — ma non sono disposto a soffrire in pace gl'insulti.» Il fatto è che, non potendo trovare padrini fra le persone presenti, fu costretto ad andarli a cercar fuori. Il conte, da parte sua, mi pregò con una correttezza impeccabile che in quel momento era ancor più notevole, di assisterlo in questa circostanza, indicandomi il barone Narconi come testimonio. «Accettino ogni patto; desidero solo che si faccia presto. Se è possibile, domani stesso.» E andò via. Erano trascorsi pochi minuti, che tornò l'altro coi suoi secondi. Avrei voluto stabilire ogni cosa in poche parole; facevo i miei conti senza il signor Mendosa, il padrino del Vialli. Un avvocato in tribunale, un diplomatico incaricato di negoziare un trattato, non è più minuzioso, più meticoloso, più circospetto, più attaccato alle forme di quel che egli era. Io non avevo una gran pratica di queste cose; ma parevami che vi fosse poco da discutere. La qualità delle offese, il modo con cui erano state fatte, quale fosse la più grave, a chi toccasse la scelta delle condizioni, le condizioni stesse: tutto fu soggetto di lunghi dibattimenti. Prevedevo che, con quella specie di contradditore, avrei avuto molto da fare sul terreno. Come Dio volle, si stabilì che lo scontro, alla spada, a discrezione dei dottori, sarebbe avvenuto il domani alle otto del mattino.
«Lasciai, la sera stessa, un biglietto dal portiere del conte, e il domani, alle sette, insieme col barone Narconi, passai da casa sua. Fummo introdotti in una sala di studio e il domestico passò ad annunziarci. Aspettammo, aspettammo: non veniva nessuno. Ci guardavamo l'un l'altro, non sapendo che cosa pensare. Ad un orologio vicino suonarono le sette e un quarto. E non veniva nessuno. È difficile farsi un'idea dell'imbarazzo in cui lo stranissimo caso ci metteva. Bisognava prendere una risoluzione mi avvicinai ad un bottone di campanello elettrico e suonai. Lo stesso domestico riapparve. «Avete annunziata la nostra visita?» — «Immediatamente.» — «Il signor conte è levato?» — «Signor sì.» — «Allora, ripassate a dirgli che non c'è tempo da perdere....» — Dopo qualche minuto, la porta si schiuse, ed il conte apparve. Si avanzò, lentamente, e con un tono di cerimonia, come dinanzi a degli sconosciuti, ci disse: «In che cosa posso servirli?...» Non mi perdo in commenti da darvi un'idea della nostra stupefazione, — più che stupefazione, cominciava ad essere sdegno. «Ma, scusi, iersera io le scrissi che lo scontro sarebbe avvenuto stamani alle 8!» — «Ah!» fece egli, e pareva cascasse dalle nuvole! Aveva ancora gli stessi abiti della sera, era evidente che tutta la notte non si era svestito. «Tutto è pronto — disse il barone — e sono già le sette e mezzo....» Il conte si passò una mano sulla fronte. «Dunque, bisogna andare?...»
«Imaginatevi come rimanessi! — In carrozza, nessuno disse una parola. Il conte guardava lo sfilare del paesaggio, e la sua destra passata nello sparato dell'abito aveva un piccolo tremito. Io cominciavo a sentire una viva inquietudine; quello che succedeva, mi faceva temere di peggio quando saremmo stati sul terreno, con l'aggravante che avremmo avuto da fare col terribile signor Mendosa. Il conte aveva paura di battersi: questa era la persuasione che, malgrado la scena drammatica a cui ci aveva fatto assistere la sera precedente, si faceva nel mio spirito. Il ridicolo della cosa ricadeva su di noi, ed io ero disposto a tutto, fuorchè a veder ridere il Mendosa alle mie spalle.
«Si arrivò. Era una villa signorile, nella cui corte, al riparo da ogni sguardo curioso, il combattimento doveva seguire. Il combattimento! Ma il conte di Bauern pareva avesse tutte le voglie, fuorchè quella di battersi. Guardava per aria, si pigliava la fronte tra le mani, strappava delle foglie dalle piante — e tremava! È vero che la mattinata era rigida. Malgrado la perdita di tempo, eravamo arrivati i primi. S'intese una carrozza fermarsi: era il nostro dottore. Alcuni istanti dopo, arrivarono tutti gli altri. Salutati quei signori, mi voltai a cercare del conte. Il conte era scomparso! Aveva oltrepassata tutta la corte ed era andato ad appoggiarsi ad un angolo dell'inferriata del giardino. Mi avvicinai a lui e lo ricondussi sul terreno, dicendogli con una concitazione che mi pareva troppo giustificata: «Spero che il signor conte non perderà la sua pre senza di spirito!» Quegli altri si avanzavano anch'essi. Allora, come il conte di Bauern scorse il Vialli, scoppiò in una risata....
— Il duello è finito! — esclamò ad un tratto il Monterani. — Ecco
Villardi che chiama la carrozza....
L'interruttore si alzò, per andare a chieder notizie, fra le proteste degli altri ai quali l'interesse del racconto aveva fatto dimenticare la curiosità che li aveva là radunati.
— Dicevi dunque?...
— Che il conte scoppiò ad un tratto, alla vista del Vialli, in una
risata. Dire l'impressione che quello scroscio di risa fece lì in mezzo, non è possibile; lo scoppio improvviso di un tuono a ciel sereno non avrebbe prodotto l'eguale. Ma la luce come di un lampo si fece ad un tratto nel mio spirito: mi slanciai verso il conte.... Il nostro dottore mi aveva prevenuto. Fermandomi con un gesto della mano, e mostrando quella scomposta figura, le cui palpebre tratto tratto battevano, dalla cui bocca uscivano mezze parole, egli disse vivacemente «Questo duello è impossibile; il signore non gode delle sue facoltà mentali....» E di subito, quasi a conferma di quella sentenza, il conte si strappò violentemente il vestito, frugandosi con una mano nel petto. Era impazzito....
— Oh! dalla paura?... — interruppe l'avvocato.
— No, — rispose Baldassare Gargano.
— E allora?
— Voi volete sapere perchè il conte di Bauern era impazzito?... Perchè
l'asserzione del Vialli nella sala dei biliardi era vera; perchè Augusto Secchi era stato proprio l'amante della contessa....
— Che!... — esclamarono tutti.
— Pare incredibile, non è vero? Eppure era stato così!... Rientrando
in casa, quella sera, con le terribili parole ancora risuonanti all'orecchio, che cosa aveva provato il conte di Bauern? Quale sospetto rodente gli era entrato nel cervello? Per quali gradi insensibili o per quale rapido passaggio, l'indignazione prodotta dall'infame calunnia aveva dato luogo al dubbio tormentatore? Quali prove, quali indizii, quali ricordi sorsero nella sua mente e presero corpo? Nessuno potrebbe ridirlo. Non si possono accertare che i fatti; ed il fatto accertato è questo: che, dopo la morte della moglie, il conte passò, quella sera per la prima volta, nella stanza un tempo occupata dalla defunta, e lasciata religiosamente nello stato in cui si trovava quando era abitata. Nessuno seguì il conte in quella stanza; ma, al nostro arrivo, il domestico aveva trovato lì il suo padrone. In quella stanza, nascosta dentro un piccolo armadio la cui chiave stava ordinariamente nel nécessaire da lavoro della contessa, il conte trovò la corrispondenza di Augusto con la propria moglie.... Centinaia di lettere, le prove palpabili — le più eloquenti, le più irrefutabili! — di ciò che aveva asserito il Vialli! Quella relazione, troncata dalla morte, durava da più di due anni; e nessuno — o ben pochi — l'avevano sospettata, e il conte aveva votato tutto sè stesso alla memoria della moglie idolatrata!... Che cosa accadde dentro di lui alla improvvisa rivelazione? Dovette essere un crollo spaventevole, una rovina terribile. Un ciclone che si abbatte sopra la vostra casa, su tutto il vostro paese; un disastro che vi porta via tutta la vostra fortuna e non vi lascia altro che gli occhi per piangere; la morte d'una persona cara che isterilisce la sorgente delle lacrime, dànno appena un'idea della miseria in cui il conte fu repentinamente piombato. L'amor suo per la contessa era tutta la sua vita; scomparsa la creatura reale, restava almeno nel suo cuore l'immateriale figura, la pura idea; ed in quella religione d'oltre tomba l'uomo trovava ancora una ragione — l'unica ragione di vivere. Ora avveniva questa cosa orribile: la profanazione d'un ricordo, la morte d'una fede!... Ad un tratto, quella imagine ideale portata gelosamente nell'anima, adorata, divinizzata, invocata a tutti gl'istanti come il supremo dei beni in tanta amarezza ed in tanta solitudine, ad un tratto si dissolveva in putredine.... Che cosa posso io dirvi ancora? Come poter seguire in tutte le sue fasi il processo svoltosi nel secreto della coscienza di quell'uomo? Io ve ne ho detto il risultato, lo smarrimento della ragione, preparato da lunghe ore di un'agonia spirituale, affrettato dalla vista di colui che per il primo gli aveva rivelata l'amara verità....
— Il marchese ha una spalla fracassata, — venne in quel momento a
riferire il Monterani.
— Ecco il giudizio di Dio! — esclamò l'avvocato Corsi.
— Non conosco cosa più buffa, — riprese Baldassare Gargano. — Ed il
comico di quella tragica scena, sapete voi qual era? Che il Mendosa, alla dichiarazione del dottore, esclamò guardando in giro: «È un caso imprevisto!...» Io non dimenticherò mai l'aria di meraviglia, di sbalordimento, di curiosità, di indignazione, di incredulità, che alla folle risata ed alle parole del medico gli si era dipinta sul viso: «È un caso imprevisto!...»
«Una fede perduta, una ragione smarrita, un'esistenza spezzata, il terribile dramma scoppiato in una coscienza, si riducevano per quel signore ad un caso imprevisto nella giurisprudenza cavalleresca. Evidentemente, il codice aveva una lacuna. Perchè non si dice in un articolo che cosa bisogna fare se uno dei due avversari perde la ragione sul terreno? E quali conseguenze diverse derivano, secondo che l'impazzito è l'offeso o l'offensore? Come va fatto il verbale? E come accertare la pazzia?...»
Vi era un grande umorismo nella serietà con cui Baldassare Gargano diceva quelle cose.
— Avete ragione! — esclamò l'avvocato. — La verità, — aggiunse poi, a
modo di conclusione, — è che siamo dei matti un po' tutti.