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CAPITOLO XXVII.
Conclusione.
Tre mesi dopo gli avvenimenti narrati, e precisamente la mattina del 28 Febbraio 1870, il signor Josè Benalcazar ricco peruviano, domiciliato a Puno, accompagnato dagli indiani Tumbez e Culluchima, saliva i dirupati fianchi del Sorata, un alto monte che si eleva nel mezzo d’una ragguardevole catena che estendesi al nord-est del Titicaca. Gli avevano narrato, alcuni cacciatori, che molti guanachi erano stati visti correre su quelle balze e il signor Benalcazar aveva intrapresa la non facile ascensione colla speranza di abbatterne qualcuno.
Era già giunto ad una grande altezza, quando l’indiano Culluchima che lo precedeva di un centinaio di passi, inoltrandosi in una stretta gola, improvvisamente tornava indietro colla più viva sorpresa scolpita sul viso.
— Padrone, disse, non avanzare. All’uscita della gola c’è uno scheletro legato ad una croce.
Il signor Benalcazar punto spaventato armò, per ogni precauzione la carabina che portava in ispalla e s’inoltrò nella gola. Proprio all’uscita egli vide, con orrore, uno scheletro umano legato solidamente ad una specie di croce con larghe cinghie. Non aveva indosso alcun pezzo di stoffa nè alcun pezzo di carne. Persino gli occhi gli erano stati strappati e il cranio spezzato, fosse dal robusto becco dei condor.
— Padrone, disse Culluchima. Vi sono delle lettere incise su quel masso di basalto. Forse vi spiegheranno il mistero.
Il signor Benalcazar s'avvicinò al masso indicato che stava proprio ai piedi della croce e lesse:
“I tesori degli Inchi portano sventura.”
Furono quelle parole una rivelazione per il peruviano.
— Si tratta di una vendetta degli Inchi, disse. Senza dubbio quel disgraziato era qui venuto a cercare i tesori di Huascar.
— Così deve essere, disse Culluchima. So che su questi monti vivono alcuni discendenti dei Curachi di Huascar e voi sapete che i soli Curachi di quel disgraziato imperatore sapevano ove erano stati nascosti i tesori ambiti dagli spagnuoli.
— E sai tu dove sono nascosti?
— No, e se anche lo sapessi non ve lo direi. I discendenti dei Curachi vegliano attentamente e uccidono spietatamente chi desta a loro qualche sospetto.
— Sai dove possiamo trovare degli indiani?
— Sì, padrone.
— Guidami alle loro capanne. Non lascierò questi monti finchè non avrò saputo chi sia l’uomo assassinato dagli Inchi.
Il signor Benalcazar mantenne la parola. Quattro giorni errò su quei monti, interrogando or questo e or quell'indiano e riuscì a sapere che l'assassinato era un uomo raccolto sul lago Titicaca. I discendenti dei Curachi prima l'avevano trascinato fra quei monti, poi ucciso a tradimento con due colpi di fucile e appeso a quella croce.
Quell’uomo, dicevano gl’indiani, aveva manomesso il tesoro di Huascar.
Il signor Benalcazar non si fermò qui e continuando le sue indagini, da un indiano chiamato Guipu potè avere una bussola, un magnifico cronometro d’oro e una bisaccia contenente molte carte scritte che erano state trovate indosso all’assassinato.
Quelle carte erano le note dell’ingegnere John Webher sul meraviglioso viaggio compiuto sotto le due Americhe!
Nel 1878 il signor Benalcazar, allora domiciliato a Callao, possedeva ancora quelle pagine. Un capitano portoghese, il signor Olvaez Fernando comandante del brick il Tago, assicurò di averle viste e lette coi propri occhi.
Fine.