< Elettra (D'Annunzio)
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Le città del silenzio
Le città del silenzio (I) Le città del silenzio (III)


LE CITTÀ DEL SILENZIO.

rimini.

R
IMINI, dove la cesariese

Aquila gli occhi dubbii al Fato avulse
col rostro e il diede al Sire che l’impulse
verso Roma sì cieco alle contese,

5in te non cerco i segni delle imprese
ma le tombe cui semplici ti sculse
pe’ i Vati e i Sofi quei che al genio indulse
pur tra il furor delle mortali offese.

Dormon gli Itali e i Greci lungo il grande
10fianco del Tempio, ove le caste Parche
sospesero marmoree ghirlande.

Ignorar voglio i nomi ed ascoltare
sol l’antico Pensier rombar nell’arche
come il Mar nelle conche del tuo mare.


urbino.

U
RBINO, in quel palagio che s’addossa

al monte, ove Coletto il Brabanzone
tessea l’Assedio d’Ilio, ogni Stagione
l’antica istoria tesse azzurra e rossa.


5E Guidubaldo torna dalla fossa
a tener corte, e tornano a tenzone
il Bembo e Baldassarre Castiglione,
Giuliano de’ Medici e il Canossa.

Ascolta Elisabetta da Gonzaga
10a fianco dell’esangue Montefeltro
poetar Serafino, il novo Orfeo;

o chiede la Gagliarda ond’ella è vaga,
ver lei musando l’armillato veltro,
al liutista Gianmaria Giudeo.


padova.

N
ON alla solitudine scrovegna,

o Padova, in quel bianco april felice
venni cercando l’arte beatrice
di Giotto che gli spiriti disegna;

5né la maschia virtù d’Andrea Mantegna,
che la Lupa di bronzo ebbe a nutrice,
mi scosse; né la forza imperatrice
del Condottier che il santo luogo regna.

Ma nel tuo prato molle, ombrato d’olmi

10e di marmi, che cinge la riviera
e le rondini rigano di strida,

tutti i pensieri miei furono colmi
d’amore e i sensi miei di primavera,
come in un lembo del giardin d’Armida.



lucca.

T
U vedi lunge gli uliveti grigi

che vaporano il viso ai poggi, o Serchio,
e la città dall’arborato cerchio,
ove dorme la donna del Guinigi.

5Ora dorme la bianca fiordaligi
chiusa ne’ panni, stesa in sul coperchio
del bel sepolcro; e tu l’avesti a specchio
forse, ebbe la tua riva i suoi vestigi.

Ma oggi non Ilaria del Carretto
10signoreggia la terra che tu bagni,
o Serchio, sì fra gli arbori di Lucca

rosso vestito e fosco nell’aspetto
un pellegrino dagli occhi grifagni
il qual sorride a non so che Gentucca.

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