< Elettra (Euripide - Romagnoli)
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Euripide - Elettra (413 a.C.)
Traduzione dal greco di Ettore Romagnoli (1930)
Primo episodio
Parodo Primo stasimo

Si avanzano Oreste e Pilade.

elettra
Vede i due giovani.

Dai lagni, amiche, ahimè, debbo desistere.
Presso alla casa, presso al focolare
questi stranieri erano ascosi, e balzano
or dall’agguato. Con la fuga, via,
tu pel sentiero, ed io sotto il mio tetto,
scampo cerchiam da questa gente trista.

oreste

Resta. Il mio braccio non temere, o misera!

elettra

Te ne scongiuro, Apollo, non uccidermi.

oreste

Altri uccider vorrei, di te piú infesti.


elettra

Parti, non mi toccar: qual n’hai diritto?

oreste

Giusto diritto n’ho, quanto altri mai.

elettra

E in arme presso al tetto mio m’agguati?

oreste

Resta, odi, e presto dirai com’io dico.

elettra

Resto: in tua mano son, ché sei piú forte.

oreste

Nuove a recarti del fratello io giungo.

elettra

O caro, o caro! È vivo dunque? è morto?

oreste

Vive: annunziar prima ti voglio il buono.


elettra

Sii tu felice per sí fausto annunzio!

oreste

Tale augurio per me, per te si compia.

elettra

Misero! E dove, in tristo esilio, vive?

oreste

Non sempre in un sol luogo: erra, e si strugge.

elettra

Giorno per giorno il pan forse gli manca?

oreste

No; ma d’ogni potere è privo un esule.

elettra

E qual messaggio suo vieni a recarmi?

oreste

Chiede se tu sei viva, e come vivi.


elettra

Vedi prima il mio corpo, adusto e magro.

oreste

Dai cordogli distrutto: io vedo e piango.

elettra

E raso il capo, a foggia degli Sciti.

oreste

T’ambasciano il fratello e il padre ucciso?

elettra

E quale cosa è d’essi a me piú cara?

oreste

E al fratello non credi esser tu cara?

elettra

Amico ei m’è, remoto e non vicino.

oreste

Perché dalla città lungi, qui vivi?


elettra

Nozze funeste, o straniïero, io strinsi.

oreste

Misero Oreste! — È Micenèo lo sposo?

elettra

Non quegli a cui volea mio padre darmi.

oreste

Parla, ch’io sappia, e a tuo fratello dica.

elettra

Nella sua casa qui vivo in disparte.

oreste

D’un bovaro la casa è, d’un bifolco.

elettra

Povero è sí; ma generoso e pio.

oreste

Questa sua pietà come dimostra?


elettra

Mai non ardí toccare il mio giaciglio.

oreste

Per qualche sacro voto? Oppur ti sprezza?

elettra

Ai miei parenti onta recar non osa.

oreste

Tali nozze egli ottenne, e non ne gode?

elettra

Chi mi die’, pensa, non ne avea diritto.

oreste

Teme d’Oreste la vendetta, intendo.

elettra

Certo, la teme; ma per giunta è probo.

oreste

Nobil cuore! Convien che si remuneri.


elettra

Se in patria tornerà chi adesso è lungi.

oreste

E tua madre, tua madre, l’ha permesso?

elettra

Gli sposi, e non i figli aman le donne.

oreste

E che sperò da tale oltraggio, Egisto?

elettra

Che, sposa a lui, gli generassi un debole.

oreste

Perché figliuoli non avessi vindici?

elettra

Questo voleva: il fio possa pagarmene.

oreste

E lo sa, che fanciulla ancor tu sei?


elettra

Mantenemmo il segreto: ei non lo sa.

oreste

E sono amiche tue queste che ascoltano?

elettra

Certo: i tuoi detti, i miei terranno ascosi.

oreste

Che far potrebbe, se giungesse, Oreste?

elettra

Onta è chiederlo. E che? Non siamo al colmo?

oreste

Come potrebbe gli assassini uccidere?

elettra

Osando ciò che quelli osâr sul padre.

oreste

E oseresti con lui la madre uccidere?


elettra

Sí, con la scure onde fu spento il padre.

oreste

Questo gli devo dir? Sei tu ben ferma?

elettra

Ch’io sgozzi, sveni mia madre; e poi muoia.

oreste

Deh,
se fosse qui vicino, a udirti, Oreste!

elettra

Gli occhi miei non lo riconoscerebbero.

oreste

S’intende: foste separati parvoli.

elettra

Solo un potrebbe degli amici miei.

oreste

Quei che, si dice, lo scampò da morte?


elettra

L’aio del padre mio, vecchio cadente.

oreste

Ed il tuo padre ucciso ebbe sepolcro?

elettra

E quale! Lungi dalla reggia, a spregio.

oreste

Ahimè, che dici! Oh come udir le pene
anche d’estranei, morde il cuor degli uomini!
Tuttavia, parla, ch’io sappia, e al fratello
tuo riferisca queste nuove, ingrate
ma necessarie. A chi non sa, compagno
non è cordoglio, ma solo a chi sa.
Vero è che troppo chiare aver le idee
anche ai saggi talora apporta biasimo.

coro

E nutro anch’io la stessa brama: ch’io
vivo dalla città lungi, ed ignoro
ciò che lí avviene, ed or vorrei saperlo.

elettra

Parlerò, se conviene; e ad un amico
narrar conviene le sciagure orrende

di me, del padre mio. Ma, stranïero,
poi che m’incíti a favellar, ti prego,
d’entrambi a Oreste annunzia i mali. E primo
di che vesti son cinta, e come sordido
è tutto quanto mi circonda, e in che
tugurio, io nata in una reggia, or vivo,
la spola usando, a tessermi da me
le vesti, se non voglio esserne priva
e andare ignuda; e da me stessa attingere
debbo l’acqua del fiume. E feste sacre
non ci sono per me piú, non piú danze.
E le donne schivar debbo, ché vergine
sono, e bandir di Càstore il ricordo,
del mio parente, a cui promessa fui,
pria che fra i Numi egli ascendesse. E in trono
la madre mia sopra le frigie spoglie
siede, ed al soglio suo vicine stanno
le schiave d’Asia che predò mio padre,
che manti idèi con fibbie d’oro stringono.
E nella reggia, di mio padre il negro
sangue marcisce ancora; e chi l’uccise
sale sul carro ove salí mio padre,
lo scettro stringe ond’ei guidava gli Èlleni,
nelle mani omicide, e va superbo.
E senza onor la tomba d’Agamènnone
mai libagione non riceve, mai
ramoscello di mirto; e la sua pira
d’ogni ornamento è priva. Ed il consorte
di mia madre, l’illustre, come dicono,
l’affogato di vino, la calpesta,
e pietre avventa sul marmoreo tumulo,
e contro noi cosí parlare ardisce:
«Oreste, il figlio tuo, dov’è? Davvero

difende bene il tuo sepolcro!». Parla
cosí, contro l’assente. Ora, tu reca
queste novelle a Oreste, io te ne supplico.
Lo invitan molti, ed io, dei molti interprete:
le mani, il labbro, il cuore mio lo invocano,
il capo raso, e quei che gli die’ vita
Quale onta! Il padre i Frigi sterminò,
e il figlio non saprà, giovine, e d’alta
nascita, un solo, uomo contr’uomo, uccidere?

coro

Ecco giunge anche lui, dico il tuo sposo:
ha compiuto il lavoro, e a casa torna.
Entra Auturgo.

auturgo

Ehi là! Chi son questi foresti presso
all’uscio mio? Per che ragioni battono
a queste porte rustiche? Bisogno
avrebbero di me? Ma non conviene
ad una donna favellar con giovani.

elettra

Non sospettare, o mio diletto: quanto
dicevano saprai. Questi foresti
un messaggio d’Oreste a me recavano. —
Di ciò che disse, ospiti, voi, scusatelo.

auturgo

Che dicon? Vive? Ancor vede la luce?


elettra

Dicon che vive; e veritieri sembrano.

auturgo

Del padre i mali, i mali tuoi, rammemora?

elettra

Speranza n’ho; ma che può fare un esule?

auturgo

E d’Oreste un messaggio a noi recarono?

elettra

Di mie sciagure ad informarsi vennero.

auturgo

Ne vedon parte, e tu parte puoi dirgliele.

elettra

Le sanno: nulla piú v’è ch’essi ignorino.

auturgo

Quand’è cosí, da un pezzo esser dovevano
schiuse ad essi le porte. Entrate! In cambio

delle fauste novelle, avrete ospizio
quale offrir può la casa mia. Portate
dentro i bagagli, o servi. E voi parola
non aggiungete. Vi manda un amico,
e siete amici. Poverello nacqui;
ma non parrà ch’io sia di cuore ignobile.

oreste

È questo l’uomo, per gli Dei, che teco,
per non voler che sia macchiato Oreste,
l’inganno ordisce delle infinte nozze?

elettra

Sposo detto è costui di me tapina.

oreste

Ahimè!
Fissa norma non c’è che chiaro sceveri
degli uomini il valore; e alle loro indoli
niun ordine presiede. Io vidi già
un uom da nulla nascere d’un padre
nobile, e onesto un figlio di malvagi,
e gretteria nell’animo d’un ricco,
e generosità nel cuor d’un povero.
A qual criterio prestar mente, allora,
per dar giusto giudizio? Alla ricchezza?
Ti volgeresti ad un ben tristo giudice!
Forse al non posseder nulla? Ma ínsito
nella miseria è un morbo, ed ii bisogno

è maestro di male. O devo all’armi
badare? Solo per veder la lancia,
giurar vorrai che chi l’impugna è un prode?
Tutti gli eventi regge il caso, e al caso
conviene abbandonarli. In Argo principe
non è quest’uomo, di casato illustre
non mena vanto, eppur, nato di popolo,
nobil cuore dimostra. Ed ora, senno
farete voi, che andate errando, pieni
di pregiudizi? E l’onestà degli uomini
dai lor costumi giudicar vorrete,
dalla condotta loro? Alle città,
alle magioni, son presidio gli uomini
come costui; ma i corpi forti senza
cervello, servono a far mostra in piazza.
Né vale, a sostener l’urto nemico,
il braccio esercitato piú del debole:
dal cuor dipende anche il valor, dall’indole. —
Dunque, si accetti l’ospitalità.
Ben degna essa è del figlio d’Agamènnone,
per cui veniamo, or qui presente e assente.
Entriamo, o servi, in questa casa. Un ospite
povero, a me diletto è piú d’un ricco,
se di buon cuore; e le accoglienze debbo
lodare di costui. — Certo vorrei
che tuo fratello in prospera fortuna
m’accogliesse nel suo prospero tetto;
ma pur verrà: non ho fede nell’arte
dei profeti mortali; ma gli oracoli
del Nume ambiguo, crollo non conoscono.
Oreste, Pilade e i loro servi entrano nella casa di Auturgo.


coro
Piú di pria la speranza il cuor mi scalda,
o Elettra. Tarda la Fortuna giunse,
ma salda, forse, or qui si pianterà.

elettra

O poveretto, l’indigenza sai
della tua casa, e inviti ospiti tanto
da piú di te?

auturgo

                         E perché no? Se sono
di nobil cuore, come sembra, forse
non gradiranno a un modo il poco e il molto?

elettra

Or poi che certo, nelle tue strettezze,
fatto è lo sbaglio, récati dal vecchio
aio del padre mio, che ai greggi bada,
poi che scacciato fu dalla città,
del fiume Tànao su le ripe, dove
segna i confini fra l’Argiva terra
e il suol di Sparta, pregalo che passi
dalla sua casa, alcuna vettovaglia
per gli ospiti procacci, e venga qui.
Lieto sarà, renderà grazie ai Numi,
quando egli udrà che vivo è quei che un giorno
salvò bambino. Da mia madre certo

nulla otterrai, dalla paterna casa.
Triste novella, se la trista udisse
che Oreste è vivo, recheremmo a lei.

auturgo

Se tu lo brami, l’ambasciata al vecchio
io recherò. Tu entra svelta, e appresta
quello che c’è. Molto di quanto occorre
ad un banchetto, sa trovare, quando
vuole, una donna. E in casa, poi, c’è roba
per sazïare, almeno un giorno, gli ospiti.
In questi casi, se ci penso, vedo
che la ricchezza è certo indispensabile
per largheggiar con gli ospiti, e dai morbi
sollevar, con le spese, un corpo infermo.
Ma quanto occorre a nutricare un uomo
giorno per giorno, è poco; e tanto basta
per sazïare un ricco, e tanto un povero.
Elettra entra in casa. Auturgo si allontana.

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