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V
Allo stesso.
Dalla bottega d’un libraio,
Milano, li i6 novembre 1741.
Amico car.mo. V’ho scritto tanto l’altra volta, che oggi mi sbrigherò in due parole. Carissime mi sono le notizie che mi date intorno al Grazioli, ma, caro voi, tenetelo vivo il carteggio da lui propostovi, ché ne avrete piacere, e voi scrivete benissimo, e mi meraviglio come diciate che non volete quasi carteggiare seco lui, per non saper far le lettere berniesche. Per Dio, quella che a me scriveste vale un Perù, se non ci fusse quella leggenda in cui parlate di me in tal modo, che Dio ve la perdoni a voi, al Grazioli ed a quel padre che mi menzionate; ché a sommo onore mi sarei recato il poterlo conoscere, e se sapessi il suo nome, vorre’ scrivergli e ringraziarlo del favore che far mi volle; voi riveritemelo tanto, e tanto, e tanto. Oh, maledetta penna, la scrive cosi male, che mi fa quasi bestemmiare. Oh, che cose divine mi manda il Vettori ogni ordinario! Ne ho già un grosso tomo, e dice che me ne manderà ancora due volte tanto; e se verrà costà il Riviera, vi farò legger il tutto, ed ancorché ei non venisse, vuo’ che le vediate, e troverò io il modo di farvele avere, quando le avrò poste in ordine. Il mio abate Negri è ritornato a Milano per starci due anni. Il Pellegrini è giunto qui l’altra sera, al solito bello e gentile più che mai. Il Riviera non so se e’ sia ritornato da Abbiategrasso, dove si portò l’altro di, e se lo vedrò gli farò motto del sonetto, che sarà stampato subito, ma rimandatemi il titolo, che avete scritto cosi male che non intendo.
Orsù, addio, il mio Ricetti, a rivedersi presto: la penna mi fa arrabbiare. Addio a tutti.
Il v.ro Baretti. |