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coro
Strofe I
Sempre diletta m’è giovinezza; ma di vecchiaia il carico
sul capo, grave piú delle rupi
d’Etna mi pesa, su le mie pàlpebre
tende i suoi veli cupi.
No, non desidero di tutta l’Asia
l’impero avere, non la ricchezza,
né d’oro piena la casa, in cambio
di giovinezza,
che fra gli agi è bellissima,
e fra gli stenti. Aborro la vecchiaia,
la funesta, la lugubre.
Per sempre, deh!, scompaia
dalle case degli uomini,
dalle cittadi. Immersa
sia fra i gorghi del mare, oppur dell’ètere
fra i soffi a vol dispersa.
Antistrofe I
Se per prudenza, per senno, agli uomini simili i Numi fossero,
concederebbero due gioventú,
suggel visibile, per tutti gli uomini
in cui fulse virtú.
Ripercorrendo l’ultimo tramite,
tornar dovrebbero del sole al raggio;
mentre i degeneri compier dovrebbero
solo un viaggio.
Fra i tristi i buoni allor si scernerebbero:
cosí nella procella
il nocchier fra le nuvole
distingue alcuna stella.
Invece, or non c’è limite
chiaro fra il buono e il tristo:
sola una vita ha l’uomo; e nel suo volgere
sol bada a fare di ricchezze acquisto.
Strofe II
Le Muse con le Càriti
io vo’ che sempre l’une con l’altre sian confuse:
dolcissimo connubio!
Vivere io mai non vo’ senza le Muse,
ma di ghirlande ognor le tempie cingere.
Gode la voce alzare per Mnemòsine
il cantore ancor vecchio:
io le vittorie d’Ercole
a cantar m’apparecchio.
Vicino a Bromio largitor di grappoli,
vicino alla settemplice
lira, ed al flauto libio,
sempre sarà che onori
le Muse onde il mio pie’ spinsi nei cori.
Antistrofe II
Le Delíadi vergini
cantano di Latona la bellissima prole,
presso del tempio agli àditi
intrecciando vaghissime carole.
Io vo’ peani innanzi alla tua reggia
cantare, io vecchio al par di cigno candido,
dalle canute gote:
ché nobile materia
non manca alle mie note.
Figlio è di Giove; eppure la sua nascita
col suo valore supera.
Le fiere formidabili
sterminò la sua caccia;
onde tornò fra gli uomini bonaccia.