< Erodiade
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ATTO SECONDO.


SCENA I.

ERODIADE, ANNA.

Anna.(Eccola. — Risolviamoci. — Il cor mi scoppia
Dalla pietà: ma Dio comanda;... e indugio?)
Regina.

Erodiade.                    O mia diletta, unica amica
Cento fiate non tel dissi? agli altri
Lascia i soverchi atti d’ossequio: io dolce
Amistà chieggo dal cor tuo. Tu sola
Me conosci e compiangi, e sai che rea
Esser può un’alma e odïosa al mondo,
E aver d’uopo d’amore! ed amar molto!
E non aver perduto anco ogni diritto
A benigna onoranza!— Ah, sì; me appieno
Sola conosci tu: lo stesso Erode
Gran parte ignora di mie ambasce. Oh! sempre
Ignori, deh, come mentr’io lo adoro,
Aborro in lui del fallir mio la causa,
E maledico il primo dì che io ’l vidi,
E vorrei disamarlo!— Amica.... oh cielo!
L’amplesso mio respingi? Onde?
Anna.     Regina—
Duolmen— tu vedi su mie ciglia il lutto.—
Dalla mia madre che a te fu nutrice
Un affetto eredai che per te ognora
In questo cor vivrà....
Erodiade.                                             Sorella mia!
Sorella mia! Vèr gli altri io scellerata,
Vèr te mai nol sarò. Più l’universo
Mi rigetta com’empia, ed io il rigetto,
Più a te s’avvince l’alma mia infelice,
Avida di pietà.
Anna.                              Cessa, ten prego.
Erodiade.                                             
Inseparate ognor vivremo; e quando
Questa implacata guerra di rimorsi
E di colpe e di rabbia avrà sepolto
La sventurata tua sorella, e ognuno
Imprecherà la mia memoria.... e forse
L’imprecherà lo stesso Erode, in braccio
Vilmente ritornato a mia rivale....
Oh sospetto! o furor! Pria il core ad ambo
Voglio strappar!...— Me lassa! Oh! che dicea?
Che ti dicea, sorella mia?— Che allora

Che ognun m’imprecherà, tu sola sempre
Compiangerai le mie sciagure, e sola
Alla mia figlia attesterai che, in mezzo
A’miei delitti, iniqua io si non era
Qual mi pingean.
Anna.                              Ma tai fur que’ delitti,
E il non pentirten.... ch’io, colei che tanto
Ti rïamai.... che l’amistà disdirti
Non poteva nè posso.... astretta sono,
Astretta....
Erodiade.                    Che?— ad abbandonarmi?
Anna.                                                            Il sono.
Erodiade.Anna! anche tu! M’aborre anche l’amica!
Anna.Non t’aborro, ma forza è che ti fugga.
Lo sposo mio, discepol di Giovanni,
Sino ad or tollerò ch’io a te servissi.
Egli sperava che tonata un giorno
Del suo maestro alle tue orecchie fora
La possente parola, e che risorta
Virtude fosse in te quel dì. Tonata
D’Erodiade all’orecchio è tal parola,
Ed Erodiade la spregiò. Non lice
Ch’io più teco rimanga.— Impallidisci?
T’adiri? Pregne di compresso pianto
Hai le pupille.— Oh mia regina! oh amica!
Non condannarmi. Sappi ch’io allo sposo
Disobbedir non posso. Ei di Giovanni
Non è solo il discepolo: ei veduto
Ha sulla terra l’Aspettato, il Divo,
E di lui cose mi narrò sì sante,
Che crederle m’è forza, e in tutte l’opre
Mostrar ch’io credo. Ed opra oggi su tutte
Dolorosa m’è imposta.... abbandonarti!
Erodiade.Anna! anche tu!— Va’, perfida: imparato
A rattener non ho gl’ingrati ancora.
Anna.Ah! non è ingratitudine; è spavento!
Alti delitti ai fulmini di Dio
Segno te fanno, o sciagurata, e teco

Quelli che spiran l’aer che spiri. Io madre
Sono, e salvar l’amata prole anelo
Dalla ruina che minaccia. — Oh! madre
Fossi tu così tenera a tua figlia!
Pietà di lei ti prenderia; per lei
Piacare il cielo agogneresti. Ah, trema,
Che Dio vibrando i colpi suoi, li vibri
Anco sovr’essa, e tu sul suo ferètro
Urlar non debba: «Io sono, io, che l’uccisi!»
Erodiade.  Barbara! Oh atroce augurio! oh perturbanti
Detti! oh pensier che appunto e notte e giorno
Crudelmente m’assal! La figlia mia! —
Anna, arresta; non fia. Tu la diletta,
L’ultima amica d’Erodiade fosti.
Mi compiangevi, ed all’ammenda ancora,
Quando tutti odïavanmi, tu ancora
Mi spronavi, o fingevi, ed era pia
Finzïon di sorella. Ed io fingeva
Un possibil futuro, in che la pace
Quasi dell’innocenza in me tornasse;
Un possibil futur di si giust’opre,
Che da’ mortali appena i miei dellitti
Ricordati venissero da Dio
E da me stessa. Ah dunque egli era un sogno!
Anna.         Oh te infelice! egli era un sogno. Il santo
Precursor del Messia te a penitenza
Trar non poté: chi fia che più ti vinca?
Io di questo Messia vo’ cercar l’orme,
Vo’ gettarmi a’ suoi piedi, e supplicarlo
Ch’egli a te si palesi e vïolenza
Faccia al duro tuo core, e ancor ti salvi.
Erodiade.  Anna, ascolta. E che sai, se non di quelli
Alterissimi spiriti io forse sia
Che, quanto più garriti e concitati
A virtù, più disdegnano seguirla;
E allorché poscia ipocrita superbia
Tragge ogn’uomo a lasciarli, e a dir: «Felice
Me che a spirti si rei non assomiglio!»

Allor, per sè medesmi, e senza aita
D’alcun mortal, per intima possanza
Di magnanimo orgoglio, alteramente
S’alzan dal fango, e salgono, più ratti
Forse degli altri, di virtù il cammino,
Ed il piè non inciampa? Io quest’orgoglio
Talora in me parmi sentir. — Và, ingrata!
Non importa: abbandonami. Bisogno
D’amicizia non ho. Se vorrò, sola
Saprò avviarmi; e se vorrò, il mio piede
Salirà fermo. E che mi cal del trono?
Che mi cal degli onori? Il cor mi basta
Di scostarmi da loro.— Ah! di scostarmi
Da Erode, no, bastato mai non fora,
Se, — nè questa paura è in me recente,—
Se per la figlia mia questi presagi....—
Che dico? Oh me affannata! Oh amica! oh suora!
Deh, non lasciarmi ancor! Meco medesma
Sono in conflitto orrendo. All’ardir mio
Non prestar fede: ardire ostento, e tremo;
E quanto debil più mi veggo e prona
A cedere, a fuggir di questa reggia,
Tanto più forza e pertinacia ostento.
Anna.Misera!
Erodiade.               Il mio secreto or t’ ho svelato:
Debile sono, disperata io sono;
Affrontar l’ira più di Dio non posso;
Ei m’empie di terrori. E sappi ch’io,
Dopo che visto ebbi il profeta e udite
Le sue parole d’ira, il passo volsi
Alle mie stanze, e addormentata il capo
Sull’origlier la figlia mia posava.
Guardai quel caro volto; e impallidito
Quasi da morte mi parea. Si desta,
Fra mie braccia si getta, e dice: «Oh madre,
«Sognai che un ferro tu a svenarmi alzavi!»
Così mi dissei ed io stringeala al seno
Raccapricciando. Oh ciel! perchè tai sogni?

E perchè quel pallor? perchè sue guance
Più non adorna il riso antico? Oh figlia!
Pria che a punirmi ti percuota Iddio,
Tutta immolarmi per te vo’!
Anna.                                                       Che parli?
Si, Erodiade, tu sei di quegli alteri
Spirti che memorasti. Oh benedetta!
Come la tua pupilla arde! la mano
Come mi stringi risoluta! Un lampo
Di grazia egli è: profittane con ratto,
Immutabile oprar!
Erodiade:                                        Partir vogl’io,
Tosto partir; ma pria m’oda il profeta,
Un patto mi conceda.


SCENA II.

ERODE e dette.


Erode.                                             Oh ciel! quai detti
Sento?
Erodiade.               Il profeta....
Erode.                                   A nuovi oltraggi esporti
Vorresti?
Erodiade.               Non li temo. — Olà! Giovanni
Mi si radduca. — O amato Erode, è forte,
Più di noi forte è Iddio: pugnar con esso
Indarno volli; egli m’ha vinta.
Erode.                                                  Oh! speri
A tua fuga il mio assenso?
Erodiade.                                                  È necessaria:
Vana saria tua resistenza: impulso
Sovruman mi sospinge. Io qui da tetra
Mestizia e da paure e da rimorsi —
Nol vedi tu? — mi struggo ed insanisco.
E se tu mia partenza or divietassi,
Cresceresti miei mali; e questa vita
Insopportabil troncherei col ferro.
Erode.A tal siam giunti?

SCENA III.

GIOVANNI e detti.


Erodiade.                              Uomo di Dio, qui l’empia
Iezabel più non miri: è domo alfine
L’orgoglio mio. Deh, co’ tuoi preghi placa
Quel tremendo Signor, che ancor non amo,
Ma innanzi a cui l’altera fronte a forza
Nel mio spavento inchino. Al mio distacco
Da questo trono (ove fu giusto Erode
Prima che assiso fosse al fianco mio,
E dove al fianco mio parve tiranno),
Al mio distacco da ogni onor, dall’uomo
Che sommamente amai, che sommamente
Amo ed amerò sempre, un patto chieggo
Un patto sol! — Su questo trono.... appresso
Al mio Erode.... la rea donna non torni
Che lui non amò mai, che siccom’io
Non puote amarlo.
Anna.                                   (Oh sciagurata!)
Giovanni.                                                       Accieca
I tuoi giudizi l’ira, o traviato
Eppur nobile spirto. E tu quell’ira
Estinguer sappi; in Sefora un’egregia
Ravvisar sappi. Ah! leggi imporre a Dio
Può chi tornar vuol di giustizia al calle?
E poi tu dire: «Io scenderò da loco
Che non è mio, pur ch’altri non vi salga!
D’un ben mi spoglierò, purchè nol goda
Tal che da me spogliato andonne prima!»
Dio vuole intiere le virtù; Dio intieri
D’iniquità vuol gli abbandoni. E iniquo
Non fòra, o donna, il livor tuo, se — astretta
Da memoria di guerre e d’ingiustizie
Che fur tua colpa e t’atterriscon oggi,
Astretta tu a fuggir di questa reggia, —

Da questa reggia escluder tu volessi
Una innocente?
Erodiade.                              Che dicesti? Astretta?
Non son, nol sono!
Giovanni.                                        Il sei. V’ha una misura
D’infortunio nell’anima, d’angoscia —
Su delitti compiuti ad uno ad uno,
Senza considerarli, indi veduti
Ne’ giorni che il Signor toglie l’ebbrezza
Dell’impudenza e del coraggio — a cui
L’uom non resiste. E tal misura, o donna,
In te si trova, e beneficio estremo
È del Signore. Ed opra anco è d’antiche
Alte virtù che t’adornaro, e spente
Appien non sono; e più, di quella grande
Possa d’amor che a’ cari tuoi t’avvince.
Il so, misera; il so, d’Iddio gli strali,
Più che per te medesma, ahi! li paventi
Per l’uom che fuggir devi, e per l’amata
Che dal tuo sen nasceva. Ah! tanto amore
Saría infecondo di pietà?
Erodiade.                                        Partiamo.
Mia figlia.... — Anna, qui traggila.1
Erode.                                                       Ed io fremo,
E tanta audacia pur sostengo? Oh quale
Possanza m’incatena anzi un inerme,
Un prigioniero, un ch’al mio cenno è polve!
Giovanni.Qual? la possanza di Colui che parla
De’ deboli pel labbro, e allor son forti.
Qual? la certezza ch’ei ti pone in core,
Che nel mio ministero io non ho scopo
D’umana gloria, o guiderdon; che l’odio
Stimol non m’è, bensì l’amor, lo zelo
Del voler del Signore; e che, s’a un cenno
Polve puoi farmi, questa polve il vero,
Il terribile vero avrà pur detto!
Erode.Sì, la possanza ch’anzi a te mi frena

È irresistibil fede: è quella fede
Che a tua virtute io presto; il non averti
Mai sospettato di bassezza o fraude!
Ma ben anco il desio, ch’abbia alfin pace
Questa infelice che per me fu rea,
E di cui mi perturba e intenerisce
L’insanabil dolor.— Donna, in eterno
Dal mio sen lontanata io non t’avrei.
Ma se al ritorno di tue gioje scerni
Necessità placare Iddio, piegando
Per alcun tempo la cervice, e giorni
Di penitenza conducendo, affretta
Alla natia Gerusalemme il passo.
Preghiamo entrambo, ed obbediamo, e forse
Dio spegnerà sue folgori, ed allora....
Erodiade.Oh vero fosse! Oh Erode! io rivederti?
Ma la rival....
Giovanni.Cessate. A che di rara
Forza, o Erodiade, t’ha dotata Iddio?
Un mostro omai pe’ tuoi delitti, aperto
Stava a’ tuoi piè l’abisso: oggi puoi santa
Ridivenir. Ma irremovibil sia
La pensata virtù: tronca gl’indugi.—
Ecco la figlia tua: dalle la mano:
Non ammollirti.
Erodiade.2                              Addio!
Erode.Così mi fuggi?


SCENA IV.

ERODE e GIOVANNI.

Giovanni.Ferma.
Erode.          In Gerusalem, no lungamente
Non avrà stanza! Riederà!
Giovanni.                                             Infelice.
S’ella riedesse! Il tolga Iddio. — M’ascolta.
Erode.Che?

Giovanni.Di colei ch’ami si forte, il bene
O la perdita vuoi? Se il bene, esulta
Dell’arduo suo coraggio, e sol paventa
Che non persevri; e a persevrar te accingi.—
D’amor delirio, gioventute, ebbrezza
Di regia signoria, spinta per l’empio
Sentier l’avean d’inverecondia. Affanni
Da Dio voluti, infermità, minacce
La sciagurata visitaro, e anela
Di sollevarsi da incontrato fango,
Di risalire a nobil vetta. In duro
Conflitto suda; e vincerà? Che fia
Se virtù non le basta? Ah questa sorga,
O Erode, in te. Uomo tu sei! T’appresta
A compir l’opra; e s’Erodiade arretra
Dalla dovuta ammenda, ella ti vegga
Amico vero. Salvala! inconcusso
Sia nell’ammenda il voler tuo!
Erode.                                                       L’afflitta
Respinger dal mio sen?
Giovanni.                                             Nella tua reggia
Lo scandalo cessar; rammemorarti
Che chi più in alto sulla turba siede,
Più puro de’ mostrarsi, e i giorni suoi
Santificar con quelle industri cure
Che intorno a lui nobilitano ogn’uomo,
Che confortano ogn’uomo alla vittoria
Di sè medesmo, al generoso culto
Dell’onestà, della bellezza eterna,
Al culto del Signore.
Erode.                                   Oh! ad uom favelli
Di cui leggi nel cor. Se avvolto un giorno
In vïolenti desiderii, a scherno
Presi la legge e gli uomini ed il cielo,
Occultamente io ne gemeva, e spesso
Avrei voluto essere un altro! un prence
Quale tu accenni! d’Israel la gloria!
L’eccitator d’ogni virtù! il seguace

Del Re immortal, l’immagin sua, colui
Che gli oracoli annunciano.... Che dico? —
Sì! Vuoi tu secondarmi? anzi alle turbe
Proclamarmi Messia? darmi de’ cuori
E delle menti il regno? A questo prezzo .
Mutarmi posso e cancellar le macchie
Che rampognan gli austeri a mia corona. —
Tu fremi!
Giovanni. Ah! giusto regna alfine, e il velo
Si squarcerà, donde a tua vista ascoso
Sta quel Messia, ch’esser vorresti indarno.


SCENA V.

SEFORA e detti.


Erode.Chi vien? — Chi sei? — Traveggo?
Giovanni.                                                       La regina!
Erode.Sefora!
Sefora.               Io son.
Erode.                          Tu in questa reggia?
Sefora.                                                       Io vengo, —
Qual sia per esser l’accoglienza, — il mio
Dovere a compier. Le paterne tende
Appo cui ricovrai, capir non ponno
Più d’Erode la moglie. Il genitore
Segue ad onta del mio supplice pianto
A rigettar di pace ogni pensiero,
A giurar tua rovina. Ed io la guerra
Sin dal primiero istante avea imprecata;
Io non volea vendette; io queste mura
Avea lasciato per sottrarmi all’ira
D’una rival, non per addur sovr’esse
Nemici ferri. Il padre mio, implacato
Contro a te, fuggo. Moglie tua son io:
Alto dover parlava, io gli obbedii.
Erode.E non pensasti?...
Sefora.                              Che a novelle angosce,

Forse maggiori, m’esporrei? Sì, Erode,
Ma in tua balía mi rendo. Al padre mio,
Con questo pegno fra le mani, imporre
Puoi dura legge.
Erode.                         Ah, questo è troppo, o donna!
Tanta virtù mi scuote. Alti rancori
Ci dividean, ma in pregio ognor ti tenni.
A nuove angosce non ti chiama Iddio. —
Olà! — tornata è la regina: a lei
Come a me stesso ognun presti onoranza.3


SCENA VI.

GIOVANNI.


Giovanni.Tutto opra Iddio per ricondur quest’empio
Alla salute: sperar deggio?— Io tremo!4

  1. Anna esce.
  2. Appena veduta la figlia, corre a quella, indi si volge ad Erode.
  3. Parte con Sofora.
  4. Li segue.
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