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S’investiga la diversità de’ cieli da gli elementi
ESERCITAZIONE TERZA.
Intende Aristotile dimostrare la diversità de’ corpi celesti da gli elementari,
il che fa egli ora per mezo della diversità de’ moti, già che questi sono effetti
della natura; onde essendo diversi, insinuano parimente diversità di corpi mobili
o naturali, etc. Contra la qual dottrina argomentate voi, Sig. Galileo; le cui
obiezzioni, che sono molte e circa varii punti, è bene dividerle, per l’ordine e
per chiarezza, in molte parti.
1. Primieramente dunque dite che la diversità de’ cieli da gli elementi, secondo la dottrina di Aristotile, «non ha altra sussistenza che quella ch’ei deduce dalla diversità de’ moti naturali di quelli e di questi; di modo che, negato che il moto circolare sia solo di corpi celesti, ed affermato che ei convenga a tutti i corpi naturali mobili, bisogna per necessaria conseguenza dire che gli attributi di generabile o ingenerabile, alterabile o inalterabile, passibile o impassibile, etc, egualmente e communemente convenga a tutti i corpi mondani, cioè tanto a i celesti quanto a gli elementari, o che malamente e con errore abbia Aristotile dedotto dal moto circolare quelli che ha assignato a i corpi celesti». E rispondendo al vostro Simplicio, che lo fate parlar per Aristotile, confermate la medesima obiezzione in questa maniera:
2. «Dicovi per tanto che quel moto circolare, che voi assegnate a i corpi celesti, conviene ancora alla Terra: dal che, posto che il resto del vostro discorso sia concludente, seguirà una di queste tre cose, cioè, che la Terra sia ancor essa ingenerabile ed incorruttibile, come i corpi celesti, o che i corpi celesti sieno, come gli elementari, generabili, alterabili, età, o che questa differenza di moti non abbia che fare con la generazione e corruzzione.» Ed indi a poco soggiungete:. «Voi dite che la generazione e corruzzione non si fa se non dove sono contrarii; i contrarii non sono se non tra’ corpi semplici naturali, mobili di movimenti contrarli; movimenti contrarii son quei solamente che si fanno per linee rette tra termini contrarii, e questi sono solamente due, cioè dal mezo ed al mezo, e tali movimenti non sono di altri corpi naturali che della terra, del fuoco e de gli altri due elementi; dunque la generazione e corruzzione non è se non fra gli elementi. E perchè il terzo movimento semplice, cioè il circolare intorno al mezo, non ha contrario (perchè contrarii son gli altri due, ed un solo ha un solo per contrario), però quel corpo naturale a quale tal moto compete, manca di contrario; e non avendo contrario, resta ingenerabile, incorruttibile età, perchè dove non è contrarietà, non è generazione nè corruzzione: ma tal moto compete solamente a i corpi celesti: dunque soli questi sono ingenerabili ed incorruttibili.»
Questa dottrina apportate voi di Aristotile e per Aristotile; a cui poscia opponete in questa guisa: «A me si rappresenta assai più agevol cosa (dite) il potersi assicurare se la Terra, corpo vastissimo e per vicinità a noi trattabilissimo, si mova di un movimento massimo, qual sarebbe per ora il rivolgersi in sè stessa in ventiquattr’ore, che non è l’intendersi ed assicurarsi se la generazione e corruzzione si facciano da’ contrarii, anzi pure se la generazione e corruzzione ed i contrarii sieno in natura».
4. «E se voi, Sig. Simplicio, mi sapeste assignare qual sia il modo di operare della natura nel generare in brevissimo tempo cento mila moscioni da un poco di fumo di mosto, mostrandomi qual sieno quivi i contrarii, qual cosa si corrompa e come, io vi riputerei ancora più di quello che io fo, perchè io nissuna di queste cose comprendo.». 5. «In oltre avrei molto caro d’intendere perchè questi contrarii corruttivi sieno così benigni verso le cornacchie, così fieri verso i colombi, così toleranti verso i cervi ed impazienti verso i cavalli, che a quelli concedono più anni di vita, cioè d’incorruttibilità, che settimane a questi. I peschi, gli ulivi, hanno i medesimi terreni, e sono posti a i medesimi freddi, a i medesimi caldi, alle medesime pioggie e venti, ed in somma alle medesime contrarietà; e pur quelli vengono destrutti in breve tempo, e questi vivono molte centinaia d’anni.»
6. «Di più, io non son restato mai ben capace di questa trasmutazione sustanziale (restando sempre dentro i puri termini naturali), per la quale una materia venga talmente trasformata, che si deva per necessità dire, quella essersi del tutto destrutta, sì che nulla del suo primo esser vi rimanga e che un altro corpo, diversissimo da quello, se ne sia prodotto; ed il rappresentarmesi un corpo sotto un aspetto e de lì a poco sott’un altro differente assai, non ho per impossibile che possa seguire per una semplice trasposizione di parti, senza corrompere o generar nulla di novo, perchè di simili metamorfosi ne vediamo noi tutto il giorno. Sì che torno a replicarvi, che come voi mi vorrete persuadere che la Terra non si possa mover circolarmente per via di corruttibilità e generabilità, avrete a fare assai più di me, che con argomenti ben più difficili, ma non men concludenti, vi proverò il contrario.»
7. Dopo questo discorso, per improvero al già detto Simplicio, che adduce darsi le generazioni e corruzzioni con l’esperienze, dite voler conceder il discorso di Aristotile quanto alla generazione e corruzzione fatta da’ contrarli, ma che in virtù de gli stessi contrarli provarete che anco i corpi celesti sieno corruttibili; e la vostra prova sommaria è questa: Quei che hanno contrarli son corruttibili; i cieli hanno contrarli; dunque son corruttibili. La maggiore è di Aristotile istesso: la minore si prova, perchè alterabile, inalterabile, passibile, impassibile, generabile, ingenerabile, corruttibile, incorruttibile, sono affezzioni non solo contrarie, ma contrarissime. Se dunque il cielo è incorruttibile, ingenerabile, inalterabile ed impassibile, avrà per contrario il corruttibile, il generabile, l’alterabile ed il passibile; e se un contrario si corrompe dall’altro, il cielo incorruttibile sarà corrotto dal corruttibile, etc.
8. Vi apponete la soluzione del vostro Simplicio: cioè che in quell’argomento sofistico vi sia contradizzion manifesta, cioè «i corpi celesti sono ingenerabili ed incorruttibili; dunque son generabili e corruttibili»; e poi la contrarietà non esser tra’ corpi celesti, ma tra gli elementi, i quali hanno la contrarietà di moti sursum et deorsum e della leggerezza e gravità; ma i cieli si movono circolarmente, etc.
9. Voi, impugnando questa risposta, domandate se la contrarietà per la quale i corpi son corruttibili, risieda nel corpo corruttibile o in altro; e risposto che in altro, soggiungete: «Però segue che per fare che i corpi celesti sieno corruttibili, basta che in natura ci siano corpi che abbino contrarietà al corpo celeste; e tali sono gli elementi, se è vero che la corruttibilità sia contraria all’incorruttibilità». Al che risponde Simplicio vostro, che non basta, ma devono i contrarli toccarsi e mescolarsi fra loro, il che non occorre del cielo con gli elementi; perciò non sono contrarli. E voi per altra via provate questa contrarietà, ed è questa:
10. Il primo fonte dal qual si cava, secondo la dottrina di Aristotile, la contrarietà de gli elementi, è la contrarietà de’ moti loro in su, in giù; adunque è forza che contrarii sieno parimente tra di loro quei principi da i quali pendono tali movimenti; e perchè quello è mobile in su per la leggerezza, e questo in giù per la gravità, è necessario che leggerezza e gravità siano tra di loro contrarie. E la leggerezza e gravità vengono dalla rarità e densità: nel cielo si trova raro e denso, anzi le stelle son chiamate parti più dense del suo cielo e perciò sono opache: dunque in cielo è contrarietà, e per conseguente i corpi celesti sono generabili e corruttibili. Risponde Simplicio, che non dipendendo questa rarità e densità da caldo e freddo nel cielo, non sono causa di questi moti, nè sono io vere contrarietà, ma opposizioni relative (che sono delle minori fra tutte l’opposizioni), cioè di poco e di molto, che non hanno che fare con la generazione e corruzzione. A cui voi soggiungete, che Aristotile ci ha ingannati, e che dovea aggiunger che al moto in su ed in giù non basta aver per principio il raro e denso, ma ci vuole anco il caldo ed il freddo da cui dipendano, e che questo caldo e freddo non ha che far niente con il moversi su e giù, ma che basti il raro e denso, già che un ferro infocato ha il medesimo peso che freddo.
11. Dopo ritornate di novo a voler dar bando dalla natura al moto retto, per dar, coll’uniformità del moto circolare, egualità a gli elementi ed al cielo; per il che fare portate di novo in campo quelle istesse ragioni quasi ad unguem, ma nel senso totalmente l’istesse, che poco avanti apportaste, ed io ho compendiosamente recitate ed esaminate nella precedente Esercitazione: cioè, che per mantenimento dell’ordine dell’universo, quanto alla local situazione, non ci sia altro che il moto circolare; che il moto per linea retta serva solo a condur i corpi al suo luogo e qualche particella di quelli, quando ne fusse separata; che il globo terrestre, si deve mover in cerchio, in retto, over esser immobile: in retto, è impossibile, essendo nel suo luogo; l’esser immobile ripugna al chiamarsi naturale, ed Aristotile dovrebbe aver detto che fra i corpi altri sono mobili, altri immobili; dunque deve moversi circolarmente, e solo le particelle rimosse dal suo luogo si movano in retto: e questo basta a l’esser mobile di moto retto, nel modo che si dice generabile, e pure a pena qualche particella di essa si genera, e così corruttibile per alcuna delle sue picciole parti; e perciò questa contrarietà di moti si dia alle parti, ed al tutto si dia il moto circolare una perpetua consistenza nel suo luogo: quel che si dice della terra, si dica con simil ragion dell’aria e del fuoco, e non assignargli moto del qual mai si son mossi, e quel che sempre gli conviene (che è il circolare) chiamarlo preternaturale, scordandosi di quel che ha detto l’istesso Aristotile, che nessun violento può durar longo tempo.
12. Per epilogo, volete che si faccia comparazione del discorso d’Aristotile col vostro, qual sia più probabile, cioè quello d’Aristotile, che con la diversità de’ moti semplici investiga la diversità de’ corpi celesti ed elementari, ed il vostro, che supponendo le parti integrali del mondo esser disposte in ottima costituzione, esclude per conseguenza da i corpi semplici naturali i movimenti retti, come di niun uso in natura, e stima la Terra esser essa ancora uno de’ corpi celesti, adornata di tutte le prerogative che a quelli convengono; e che questo discorso (giudicando voi sotto il nome del vostro Sig. Sagredo) più consoni che quell’altro. Questa è la dottrina vostra: or veniamo ad esaminarla.
1. Alla prima dico, che per via resolutiva ed inventiva non si può procedere altrimenti per ritrovar la diversità fra gli elementi e ’l cielo, che quella del moto naturale; essendo egli principal effetto della natura, da cui le cagioni, e dalla cui diversità le differenze altresì delle cagioni, si conoscono. Non mancano però altri metodi, che questa diversità con l'incorruttibilità insieme de’ cieli (già per questa principalmente s’intendono diversi da gli elementi) ne mostrano, i quali in varii luoghi il medesimo Aristotile adduce: come, nel primo del Cielo, è il non aver esso cielo materia di cui sia stato fatto, la quale sola è radice di dissoluzione e di contradizzione, anzi, per la privazione che ha sempre seco indissolubilmente congiunta, inclina all’eccidio del suo proprio composto attuale; nell'ottavo della sua Fisica, per ragion di ordine, di dipendenza, conservazione e perpetuità dell’universo: conciosia che le cose corruttibili non hanno entro lor stesse principio di eternità, anzi di mancamento; perciò se in eterno devono conservarsi, necessariamente da incorruttibile natural cagione dipendono; e vedendo, ciò che sotto il circuito del cielo si trova, esser dissolubile, ed i moti celesti con la diversità de’ tempi apportar queste varietà, a loro appoggiamo ragionevolmente la costanza delle cose caduche, come a causa immortale da cui dipendono. Nella sua Metafisica similmente vuole che in ogni operazione si abbia da aver ricorso e dipendenza ad una causa efficiente prima: e nell’ordine naturale (di cui si parla) si vedono l’une dipendenti dall’altre con ordine essenziale, invariabile, e le sullunari corruttibili tutte; perciò ricorriamo alle celesti.
Nè mancano altre ragioni, come sanno quei che sono versati nelle speculazioni
e dottrine Aristoteliche. Voglio solo accennarvi che quella parte nella quale
voi, Sig. Galileo, dite, la dottrina d’Aristotile non aver altra sussistenza, per provar la diversità de’ cieli da gli elementi, che quella della diversità de’ moti, è falsa. Vi dico bene che è la più naturale dell’altre, quasi sperimentale, e vi soggiungo che nel suo genere è efficacissima, per quanto può l’umano ingegno, e sola bastarebbe; sì che se voi la buttarete a terra, col provare che anco gli altri corpi, cioè gli elementari, di sua natura si movano circolarmente, per desio ardentissimo del vero mi accosterò alla vostra opinione, dirò che Aristotile abbia errato, e vedrò pacificamente la soversione della più bella parte della sua filosofia, nè mi farà niente di compassione.
2. Starò per tanto aspettando al suo luogo di veder con nove dimostrazioni moversi la Terra in giro, ed allora concederò qual più vi aggraderà delle tre indotte conseguenze, cioè che, o anch’ella sia ingenerabile, come i cieli, o quelli corruttibili, come è ella, o che la differenza di Aristotile sia nulla. E questo basti per questa parte.
3. La terza instanza (premesso il fondamento della dottrina d’Aristotile), se bene all’apparenza dimostra qualche vigore, è nondimeno in verità manchevole anch’ella; perchè, quantunque la Terra sia a noi vicinissima e trattabilissima, tutta via il conoscere il suo moto, essendo noi posti in mezo a molti (siano di cieli, per ora, o di altri), ne è quasi, e forse senza quasi, impossibile. Il moto locale si conosce dal variar gli spazii ed i siti; ma quando questi per moti altrui si possono variare, è variabile ed incertissima la lor cognizione. In questo modo nella Terra vediamo questa varietà, e così multiplice, che non sappiamo da chi deriva; ed è sin ora stato universalmente creduto che più tosto ogni altro corpo ne sia cagione, che la Terra: talchè è falsissimo che per la sua vicinità ne sia più cognoscibile il suo moto, che le generazioni e corruzzioni continue che si fanno de’ contrarii; perchè, chi non sa che il caldo estingue il freddo, il dolce l’amaro, il dolore il diletto, etc.? e dall’altro canto, non sapendo alcuno sin adesso, da che il mondo è stato creato, che la Terra si mova, o pur sapendolo pochissimi (per non dir sognandolo), overo essendo di ciò difficilissima controversia, è vanità espressa dir che questo sia più noto di quello, chiamar, dico, più noto quel che da niuno è conosciuto appena cade nell'incertissima opinione, di quel che per sensata cognizione ne è consapevole ogn’uomo; tanto potreste dire, la notte esser più chiara del giorno, le tenebre della luce. E molto maggior stravaganza è la vostra, mentre dite non esser noto se la generazione, correzione e contrarii siano in natura: però di questo errore vi accorgete in parte, già che poco di sotto chiaramente con destrezza lo ritrattate.
4. Alla quarta sareste tanto obligato a risponder voi, quanto il vostro Simplicio, overo ogni Peripatetico, ogni filosofo; poichè se vi par difficile di sapere come da contrarii si generino cento mila moscioni, e professando voi di filosofo, dovreste dichiarare secondo la vostra dottrina come da non contrarii si generino, in qual altra maniera. È facile in vero proporre difficultà e dubii; il solvergli (come egregiamente diceva il sapientissimo Socrate) ha del faticoso, del difficile. Io nondimeno, quanto alla contrarietà in universale, ve ne abbozzerò il modo, ed avrò sodisfatto in qualche parte al vostro quesito: la maniera diversa tocca a voi, e da voi si ricerca; aspetterassi forse sentirla. La contrarietà, dunque, che in ogni generazione, in ogni corruzzione si ricerca, è di due sorte, cioè positiva e privativa: la prima è per qualità repugnanti, nemiche, le quali si trovano nell'agente immediato e nel paziente; la seconda è per il mancamento e per la forma, la quale è propriamente opposizion privativa, ma secondo l’uso delle scole vagliami chiamarla contraria. Eccovene chiaro l’essempio. Se il fuoco avrà da operar nell’acqua, col suo calore cercherà di vincer il freddo di quella, e con la sua siccità l’umidità che in lei si trova; e così ridottala a condizioni incompossibili, o non convenevoli alla sua natura, non può in modo alcuno sussistere, ma infallibilmente tende alla corruzzione: si disfà (dico) la forma dell’acqua, ed in quella stessa materia, mancante della forma precedente, s’induce la forma del fuoco, la quale non potea esser introdotta nè prodotta senza il mancamento della precedente; e così il mancamento o privazione, insieme con la forma, fanno opposizion privativa circa la generazione: talchè ambedue insieme queste opposizioni a qualsivoglia generazione e corruzzione conio vengono, supposti gli agenti e pazienti sustanziali diversi, ne i quali si fondino, perchè niuno è contrario a sè stesso, nè di sè stesso generativo nè corruttivo. Ed al proposito di moscioni, la materia loro propinqua è il fumo del mosto, la quale ha però, nel suo modo, forma (tal qual si sia) informe o imperfetta di quella fumosità; questo fumo ha del terreo sottile, ed il calore che trae di sua natura dal mosto è anco umido grandemente, le quali disposizioni sono attissime alla formazione di questi imperfetti animaletti: la terrestreità gli serve per sussistenza stabile; l'umidità, per impastargli, a punto come l’acqua nella farina per far il pane; il caldo, per dargli principio di vita e di operazione; la rarità leggiera aerea, per soministrargli spiriti agili al movimento. Tali sono le disposizioni, ma però con qualche difetto, onde da gli agenti, per mezzo delle qualità contrarie, devono ridursi all’ultima intiera perfezzione. Il terrestre dunque, che nel fumo è raro e dissoluto, deve dall’umido connettersi con l'attività del caldo operativo, nel modo che si stringe o rapprende il latte col fuoco; e così alla terra, secca e fredda, si oppongono in questa azzione i contrarli, cioè il caldo e l’umido. La superfluità dell’umido, repugnante alla solidezza e consistenza, a proporzione da temperato terreo secco coll’ aiuto del calore si asciuga e si agiusta; il caldo inordinato da freddo aqueo si riduce a dovuta temperie, e l’agilità aerea di semplice naturalezza prende indifferenza per il moto animale. Or il fumo, fatto denso, temperato, mobile, indifferente, non è più fumo, ha persa la sua forma, ed in questa maniera dal suo distruggersi si è generata la natura de’ moscioni; altrimenti, restando egli incorrotto, i moscioni non avrebbon ricevuto l’esser vitale: ed eccovi l’opposizion privativa, dico del non esser fumo e dell’esser moscioni. A questa tal generazione concorrono immediatamente gli elementi con le loro qualità operatrici, sopponendo però sè stessi, o più tosto le lor materie, per fondamento sustanziale, sì al fumo predetto, che è misto, come a i moscioni, che di quello si generano: l'agente però principale è il cielo, con i suoi instromenti communi ad ogni generazione. Ed eccovi dichiarati in universale questi contrarii.
5. La quinta instanza ricerca per risposta il medesimo fondamento che la quarta precedente, ma per darle formalità compita, deve ricorrersi alle condizioni particolari delle forme proprie e de’ semi specialmente. Queste forme, que, traendo virtù dalle cagioni effettive onde derivano, a quelle si assomigliano, e secondo il vigore di quelle formano, e quasi (per così dire) sigillano o imprimono, la preiacente materia più o meno tenacemente. Come il pesco non solo dalla terra, ma più prossimamente dal suo seme, riceve la natural perfezzione, così il fico, il cavallo, il cervo: talchè la terra vicina, ove le piante nascono e si nutriscono, non è la lor materia prossima, quella dico di cui devono esser ammassate o composte, quella dalla quale sortiscono diversi temperamenti, onde sono più e meno duraci; ma essa terra è solo ricettacolo, ministra, del nascere e del nutrirsi, come l’utero negli animali; e perciò, benchè gli ulivi ed i fichi siano piantati nell’istessa terra, a i medesimi freddi e caldi, venti, pioggie età, hanno diversa varietà dalla propria semenza, non già dal luogo, come voi supponete. L’istesso a proporzione si dica de gli animali, etc.
6. Alla sesta, che non siate restato mai ben capace di questa trasmutazion sustanziale, io non so che farvi: so benissimo che pienamente da Peripatetici vien dichiarata, e dimostrata ancora con esperienze e con ragioni. Di grazia, dichiaratela vói in altro modo; e dovete assolutamente farlo, perchè chi scrive contra alcuna posizione, o pretende dar nove dottrine contra l’antiche, non basta che dica «Quelle non sono buone, io non l’intendo», ma con ragioni mostrar ove pecchino, e poi con fondamenti più saldi produr le nove. Io per me vi confesso che mi par talmente necessario, che nelle predette trasmutazioni sustanziali niente della precedente materia composto resti, che sia inintelligibile e repugnante il contrario. Nella corruzzione del legno che si converte in fiamme, ditemi, per cortesia, che cosa resta nelle fiamme del legno precedente? che cosa resta di fuoco nel cenere? di uomo ne i vermi? di terra nell'aria? e così di tutte l'altre cose che si corrompono, eccetto che un primo commune informe subietto, principio materiale a tutte le cose generabili, da cui debbano prodursi, già che il farsi del niente eccede il naturai potere. Che voi non abbiate per impossibile, un corpo rappresentarvisi sotto varii aspetti differenti assai per semplice trasposizion di parti, senza corruzzione generazione, e che simili metamorfosi si veggano tutto il giorno; se non parlate di mascherate over di mutazioni favolose di Proteo, in sogno però, di stravestimenti di Mercurio, di inorpellamenti incrostature, io per me non ne veggo, non ne ho viste, nè credo da vederne mai.1 Dovevate dir dove e quali sono, apportarne essempi altre certezze; le scienze hanno i suoi principii, e le ragioni non si contentano delle pure asserzioni. Eh volesse Iddio, Sig. Galileo mio, che (secondo l’opinion d’Anasagora) non fusse il corrompersi altro che un occultarsi, il nascere altro che un novello apparire, ed a voi fusse concesso dal cielo esser di ciò fausto annuncio a gli uomini, acciò eglino, all’importantissimo fatto reale aggiungendo la verità indubitata, colmi di letizia e di gioia, liberi da gli orribili orrori di morte, e nella certezza di eternità variabile, stimando sè stessi felici, ergessero a voi trofei di gloria incomparabile, immortale! Ma la cosa è del tutto diversa dal vostro dire: così non fusse! Potreste forse dire, che restando tal ora gli accidenti medesimi della cosa corrotta nella generata di novo (come l’istesso odore dell’acqua rosa che fu prima nel fiore), si argomenti l’istesso soggetto o natura. Questo è argomento d’intricata conseguenza; ed io, nel primo della Generazione, gli ho risposto a bastanza, nè voglio qui replicar altro, tanto meno quanto che voi non l’apportate. Che si abbia da far più assai a provar che la Terra non si mova circolarmente perchè è corruttibile, di quel che avrete a far voi, che con altri argomenti più difficili e non men concludenti proverete il contrario, vi dico che la corruttibilità è una delle cagioni perchè la Terra abbia naturalmente il moto retto e non il circolare, cioè, che essendo corruttibile, risguarda per opposito il suo contrario corruttivo, e l’uno e l’altro avranno moti contrarii, i quali non possono esser eccetto che retti; ma oltre di questa non mancano altre ragioni, che l’istesso Aristotile apporta nel secondo del Cielo.
7. La settima parte non è realmente obiezzione alcuna, ma un semplice ritrattarsi di quel che avete detto di sopra. Deh, Sig. Galileo, come poco fa non sapevi in qual guisa i contrarii concorrano alla generazione, nè se si trovino in natura, ma dicevi che si faccino generazioni sustanziali solo per apparenza, ed ora in un tratto queste generazioni e questi contrarii cortesemente ammettete? Dove è la stabilità delle vostre posizioni? ove l’immutabilità e sodezza della vostra dottrina? sete voi contrario e ripugnante a voi stesso? Ma veniamo all’altra parte. Dite che i cieli sarebbono corruttibili, perchè hanno per contrari i corpi corruttibili, alterabili, etc. Dove (per vita vostra) avete trovato o conosciuto mai che il corruttibile e l’incorruttibile, l’alterabile e l’inalterabile etc, siano contrarii, anzi contrariissimi? sarà forse Iddio, sommo benefattore universale e total bene dell’universo, essendo incorruttibile impassibile ed inalterabile, contrariissimo a noi? sarà l’anima nostra immortale, nemica al proprio corpo, a cui dà e conserva la vita e l’essere? l’intelligenze avranno contrarietà con i corpi che muovono? la materia con le forme? Vi dà tanto travaglio un termine con quella dizzioncella in, che ovunque ella si apponga, ivi vi sforzi a poner contrarietà? Eh che importa solo diversità che appena inferiscono contradizzione, come corruttibile, non corruttibile, etc. E secondo il vostro intendere, per questa cagione in tutti i simili a i predetti sarebbe vera contrarietà, onde il colore sarebbe contrario all’odore o al suono, perchè quello è visibile, ed invisibili questi. Non è dunque contrarietà di natura, no: altri sono i requisiti di contrarii, altri di disparati, di contradittorii e di diversi, i quali bene talvolta, per penuria di voci, per distinto guergli fra di loro proferimo l’uno con dizzione affirmativa, l’altro con negativa. 8. Di qui passo all’ottava, dicendo che la soluzione del vostro Simplicio non è buona: ma ciò non importa nè a voi nè a me, ed io l’accenno solamente per non interromper l’ordine.
9. Mentre poi dice che la contrarietà è tra corpi corruttibili, che si muovono di moto retto, non di circolare, e voi soggiungete (e sia nella nona parte), se risieda la contrarietà nel corpo corruttibile, e rispostovi di no, aggiungete «Dunque l’incorruttibilità che risiede (secondo voi) nel cielo, avendo per contraria la corruttibilità de gli elementi, farà che il cielo (posto pur da voi incorruttibile) sia corruttibile»; al che è stato risposto a pieno di sopra, ed ora replico non nugatoriamente, ma per mostrar confermato il vostro argomento così efficace e far io veder l’espressa vostra intenzione, acciò chi non ha letto il vostro libro non pensasse che fusse posto per modo di argumentare, come si suole nelle materie scolastiche. Risponde di più Simplicio, che non basta l’esser contrario, ma bisogna che i contrarii si tocchino; al che non occorre dir altro, nè in ben nè in male.
10. La decima è, che per cagion di rarità e densità dovrebbono esser corruttibili i cieli, essendo queste affezzioni contrarie, già che sono principii di moti contrarii etc. Io vi rispondo, che se di sua natura fussero questi affetti cagione di contrarii effetti, io non sarei restivo in concedervi che ancor essi fussero contrarii, ed il vostro argomento non mi dispiacerebbe; anzi mille volte che in simili occasioni l’ho sentito apportare, mi è parso più efficace di molti i quali a questo proposito si sogliono addurre: ma la verità è che tali sorti di accidenti non sono per sua natura cagione di movimenti contrarii, ma accidentalmente solo. E mi dichiaro. La quantità di mole non ha in sè stessa attività alcuna, anzi, a guisa di informe materia, dopo aver terminato i corpi naturali, ed elementari e celesti, presta solo capacità a gli accidenti che in tali corpi devono soggettarsi: per questo è communissima a tutti, nè induce (come tale) distinzione da corpo a corpo; essi accidenti però, che in quella si ricevono, possono più o meno esser intensi o vigorosi, conforme alla mole maggiore o minore, più o meno densa. La densità, dunque, e la rarità sono pure quantità con vario sito, cioè con minore o maggiore approssimazione delle parti: denso è quello che ha le parti più unite; raro, che le ha più disperse: perciò non è possibile che abbino operazione alcuna, nè per conseguente siano attivi principii di moto, ma accidentalmente solo e di essi moti e de gli altri accidenti ancora, massime de gli attivi: sì che le operazioni provengono dalle forme, e nella quantità, sia rara o densa, si fondano, e secondo che più o meno in tal quantità possono unirsi, sono più o meno efficaci nell’operare; ed in questa maniera il raro e denso sono disposizioni senza azzione, nelle quali la virtù operativa si fonda; talchè se non ci sarà tal virtù, siano pur rari o densi i corpi, non perciò avranno operazione: ed eccovene gli essempi manifesti. Sia, quanto esser si voglia, denso un globo di fuoco; non descenderà giamai, anzi più salirà che il men ’denso o che non farà una favilla, 40 se pur da terrestre mistura non sia ritardato: così il caldo in materia più densa sarà più veemente, il freddo, il dolce, l’amaro etc, perchè in quella più raccolta quantità quelli operativi accidenti più si uniscono e sono necessariamente più forti. Il moto per tanto, agente singolare fra gli altri accidenti, dipende effettivamente dalla virtù motrice, o sia dalla forma del corpo mobile o da altro (che non voglio ora entrare in questa disputa), quella indrizza al termine, al luogo prefisso, e secondo che il corpo che deve moversi è più raro o più intenso, così più potentemente vi si imprime esso moto, la potenza o virtù del quale è la velocità e tardità: ed in questo modo quelle virtù motive che di lor natura inclinano al moto retto, in questa disposizion di mole più o manco facilmente lo proseguiscono; quelle tali che ad altro, parimente stabiliscono la sua virtù sopra di queste machine: onde direi, e dico in effetto, che sono indifferenti ad ogni moto, e fondamentalmente servono a tutti; e si vede che i moti circolari artificiali e gli altri, come di ruote o simili, si eseguiscono meglio o peggio conforme alla densità e rarità della materia; onde in questa maniera sono cause accidentali, indifferenti, indeterminate, e nel cielo si accommodano al moto circolare, ne gli elementi al retto, come credo aver dichiarato a bastanza. Ed in questo senso ha parlato Aristotile, nel quarto della Fisica, al testo 86, mentre ha detto: Densum enim et rarum secundum hanc contrarietatem lationis factiva sunt, parlando del moto de gli elementi o del sursum e deorsum, se si potesse far nel vacuo, che del circolare non ha dubio, movendosi (secondo lui) il primo mobile non contenuto da corpo alcuno; e la contrarietà che accenna fra il raro e denso, è parimente occasionale e dispositiva passiva, e tale qual può bastare al moto per virtù principale della forma operante, non che per sè stessa basti nè serva alla corruzzione: di modo tale che, quantunque sia nel cielo il raro e denso, non sarebbe per questo corruttibile, non essendo per sè stesse queste passioni operative, ma sole quantità, come ho ancor detto. Ben sì che il grave e leve producono immediatamente il moto retto all’ingiù ed all’insù, e per lo più il grave è col denso ne i corpi elementari, il leve ne gli medesimi col raro; ma ciò di30 viene dalla virtù supposta e ricevuta nella quantità predetta, onde le virtù attive più o manco s’imprimono. Alcune cose però sono più dense e men gravi, come è manifesto del piombo e del ferro: dal che anco appare che dalla densità non dipende, come effetto proprio, la gravità, nè dalla rarità la leggerezza; altrimenti sarebbono invariabili.
11. La undecima obiezzione, essendo altrove stata indotta e soluta, avrebbe qui inutile repetizione.
12. La comparazione che pretendete fra il discorso d’Aristotile ed il vostro, io la faccio in un tratto ragionevolmente a favor di Aristotile. Egli per mezo di moti investiga la natura de’ corpi mobili, nè meglio può farsi, già che le cagioni remote da i nostri sensi ed incognite, da gli effetti propinqui e conosciuti
- ↑ Nell’esemplare dell’edizione originale postillata da Galileo è richiamata l’attenzione sulle parole «se non parlate,... da vederne mai» con un segno marginale in figura di una mano, che è dovuto allo stesso Galileo. Cfr. pag. 577, nota 1, e pag. 602, nota 1.