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III. — Le passioni fondamentali.
1) Nelle proposizioni 1-3 viene determinato genericamente il concetto di passione.
Prop. 1. La mente nostra in alcune cose agisce, in altre patisce; e cioè in quanto ha idee adequate, in tanto necessariamente in alcune cose agisce e in quanto ha idee inadequate, in tanto necessariamente in alcune cose patisce.
Prop. 3. Le azioni della mente procedono dalle sole idee adequate: le passioni dalle sole idee inadequate.
Dio ha conoscenza adequata di tutte le cose ed è la causa adequata di tutte le cose: tutto procede in ultima analisi da Dio. Lo spirito nostro, in quanto ha idee adequate, ha queste idee così come sono in Dio: Dio e quel modo che costituisce lo spirito nostro finito, almeno in quel singolo punto, coincidono. In quel punto coincide anche la loro potenza causale: in quanto la mente nostra conosce adequatamente, in tanto partecipa allo stesso dominio che sulle cose ha Dio, non è passiva. In quanto invece lo spirito nostro ha idee inadequate, in tanto ha, in confronto con Dio, una conoscenza mutila: rispetto a questo punto il nostro spirito non ha per contenuto se stesso nella sua integrità e nella sua unità (in modo che da esso si esplichino i suoi rapporti e le sue attività), ma solo una parte confusa di sè, alla quale si contrappongono, come stranieri, altri elementi: la nostra potenza non coincide perciò in questo punto con quella di Dio, ha di fronte a sè potenze ostili, per opera delle quali soffre, cioè è passiva.
La prop. 2 non fa che ripetere ed applicare qui il principio del parallelismo: l’ordine delle azioni e delle passioni del nostro corpo è parallelo a quello dello spirito. Nello scolio Spinoza prende l’occasione per tornare sopra un argomento favorito: l’assurdità del concetto di libero arbitrio.
2) Le proposizioni 4-11 hanno per oggetto di stabilire quali sono gli atteggiamenti fondamentali della passione, che sono il desiderio (cupiditas), il piacere, il dolore.
Prop. 6. Ogni cosa, per quanto da essa dipende, si sforza di perseverare nell’essere suo.
Prop. 7. Lo sforzo, per cui ogni cosa si sforza di perseverare nell’essere suo, non è se non l’essenza attuale della cosa stessa.
Prop. 8. Lo sforzo, per cui ogni cosa si sforza di perseverare nell’essere suo, non involge alcun tempo finito, ma un tempo indefinito.
Prop. 9. La mente, sia in quanto ha idee chiare e distinte, sia in quanto ha idee confuse, si sforza di perseverare nell’essere suo secondo una durata indefinita ed ha coscienza di questo suo sforzo.
Prop. 11. Quando una cosa accresce o diminuisce, favorisce o impedisce la potenza d’agire del nostro corpo, l’idea della stessa cosa accresce o diminuisce, favorisce o impedisce la potenza di pensare della nostra mente.
Prop. 53. Quando la mente considera sè e la sua potenza d’agire, gioisce: e tanto più quanto più distintamente immagina sè e la sua potenza di agire.
Prop. 54. Quando la mente immagina la sua impotenza, ne è contristato.
La realtà, sia come estensione, sia come pensiero, non è un essere morto, mosso meccanicamente dall’esterno: è nell’intimo suo attività, vita, sforzo. Più volte Spinoza avverte che le idee non devono essere pensate come immagini inerti, quali le pitture d’un quadro, ma come atti d’una sostanza vivente. Anche in Dio l’essenza e la potenza coincidono: e la potenza non è potenza astratta, ma potenza attiva, attività infinita ed eterna. Così ogni modo eterno è un’affermazione vivente dell’essere suo: che solo impropriamente potrebbe essere detto un appetitus, un conatus, perchè non è un tendere verso una perfezione superiore, ma solo un persistere nell’essere proprio perfetto. Quest’attività non può negarsi, nè distruggersi da sè: nè nel mondo dei modi eterni vi può essere opposizione tra le essenze: ivi tutto è attività pura. — Per contro i modi in quanto finiti, in quanto cioè hanno un’esistenza limitata nel tempo, sono nell’essenza loro un vero tendere, un conatus; in quanto se da una parte anch’essi esprimono nell’attività loro un’affermazione dell’essere proprio, un’aspirazione a persistere nell’esistenza loro attuale secondo il tempo, dall’altra tendono a realizzare l’essere proprio nella sua purezza, aspirano verso la perfezione. Spinoza comprende ambo queste tendenze con l’espressione generica «perseverare nell’essere suo»: perchè in fondo anche l’aspirare verso la perfezione superiore è anch’esso, nel modo finito, un affermare l’essenza sua più profonda contro le limitazioni della sua esistenza nel tempo. Ma mentre quella parte di noi, che è costituita da idee chiare e distinte, non ha, in vero e proprio senso, che da perseverare nel suo essere perfetto, quella parte di noi che è costituita da idee confuse (cioè è ancora nel regno del senso) deve affermare il suo essere cercando la perfezione: ed è in questo suo conatus, il quale può essere contrariato o favorito, che hanno origine le passioni.
Tutto questo vale tanto dall’aspetto fisico dei modi quanto dall’aspetto spirituale, ossia dalla mente, con parallelismo perfetto: ciò che nega il nostro essere corporeo nel suo conatus è anche una negazione della nostra mente; ciò che favorisce od impedisce la nostra potenza corporea favorisce od impedisce anche la nostra potenza spirituale. Anzi Spinoza sembra qualche volta dare una specie di primato all’attività corporea in modo che la mente sembra non essere che un riflesso del conatus corporeo, una ripercussione spirituale degli appetiti corporei. Nello scolio della prop. 9 sembra quasi preludere alla teoria somatica delle passioni: «da tutto questo è chiaro che noi non ci sforziamo, non vogliamo, non appetiamo, non desideriamo qualche cosa perchè lo giudichiamo buono, ma anzi che noi lo giudichiamo buono per ciò che ci sforziamo, lo vogliamo, lo appetiamo e desideriamo». Ma nella parte 2a dello scolio alla prop. 11 Spinoza ristabilisce chiaramente l’equilibrio. Certo la mente segue il destino del corpo: tolto il corpo, è tolta la mente. Ma ciò non perchè il corpo valga a determinare o negare l’esistenza della mente: la negazione della mente risale ad un’altra idea che è ostile alla nostra mente nella stessa misura che è ostile al nostro corpo quell’altra corrispondente attività corporea, dalla quale il nostro corpo è negato.
La passione fondamentale (degli stati attivi che accompagnano il conoscere adequato Spinoza dirà in breve alla fine di questo libro) è perciò l’appetitus o cupiditas, col quale nome Spinoza intende (in quanto può essere anche uno stato attivo) «l’essenza stessa dell’uomo in quanto è pensata come determinata da una sua qualche affezione all’azione» (def. 1)1; ma, considerato solo come passione, può dirsi il conatus del modo finito verso la perpetuazione e la perfezione dell’essere suo: essa è ciò che sotto l’aspetto puramente spirituale diciamo volontà. Quando l’appetitus è favorito nel suo tendere verso la perfezione abbiamo la gioia (lætitia) quando è contrariato, abbiamo il dolore (tristitia). È chiaro che queste tre passioni fondamentali sono in fondo una sola e medesima cosa: la gioia è l’appetitus nella sua espansione, il dolore l’appetitus nella sua compressione. E ciò tanto è vero che la gioia e il dolore fomentano l’appetitus, la prima in quanto eccita un desiderio più intenso della vita e dell’azione, il secondo in quanto provoca una reazione che è tanto maggiore, quanto maggiore è il dolore (prop. 37).
Qui è da notarsi un punto. Spinoza pone come causa del dolore la diminuzione della nostra potenza (o essenza), il passaggio ad una minor perfezione: ora come è ciò possibile? Ogni cosa nella sua vera essenza è indistruttibile: se la nostra essenza potesse venir diminuita, ossia parzialmente negata, l’unità divina potrebbe contenere in sè delle negazioni. Ciò che può venir negato, diminuito, ecc., è quindi soltanto la realtà particolare del nostro essere finito, quella forma limitata e peritura, che traduce nel tempo il nostro essere eterno e la cui distruzione può essere dolorosa, ma non tocca il vero essere nostro. È solo in questo senso che le cause esterne possono distruggere una cosa (prop. 4), che vi sono cose di natura contraria che si negano e si distruggono. L’essere finito, che ha idee inadequate, considera, nella sua cecità, questa forma effimera come la sua essenza e potenza e perciò gode o soffre della sua espansione o diminuzione, come se si trattasse d’un reale passaggio ad una perfezione maggiore o minore. Ora può darsi che questo sia il caso: allora la gioia (sebbene sempre imperfetta, in quanto è passione ancora) è legittima e il dolore da fuggirsi. Ma può darsi altresì che questa nostra individualità fittizia sia diventata un ostacolo al progresso verso la perfezione: allora si ha il caso, che anche Spinoza ammette, delle gioie funeste e dei dolori salutari.
3) Tutte le altre passioni derivano da queste tre: il desiderio, la gioia, il dolore. In ciò seguono certe leggi che Spinoza inserisce man mano nella trattazione e che sarà bene raccogliere qui insieme.
A) Quante sono le specie di oggetti che agiscono su di noi, tante sono le varietà delle passioni, perchè ogni passione è l’aspetto attivo d’un’idea inadequata, la quale esprime in sè tanto la natura dell’essere nostro quanto la natura dell’oggetto che le corrisponde. La gioia che deriva dall’oggetto A esprime quindi la natura dell’oggetto A ed è diversa dalla gioia che deriva dall’oggetto B e così via. Così pure ad ogni oggetto corrisponde il suo desiderio: il desiderio con cui appetisco l’oggetto A è diverso dal desiderio con cui appetisco B, come è diversa la rispettiva gioia (prop. 56).
B) Le passioni si differenziano anche per la natura diversa del soggetto: un solo oggetto può affettare diversamente più uomini: ed anzi, dato il mutamento che avviene di continuo nell’individuo umano, può affettare lo stesso uomo diversamente in tempi diversi. Il che è naturale, poichè la passione non è che la volontà di essere dell’individuo favorita o impedita da altre volontà di essere: il che può aver luogo in condizioni estremamente diverse (prop. 51, 57).
Prop. 57. Ogni passione di ciascun individuo differisce tanto dalla passione d’un altro quanto l’essenza dell’uno differisce dall’essenza dell’altro.
Scolio. Di qui segue che le passioni degli animali irrazionali (che essi sentano non possiamo dubitare, dato il nostro concetto della coscienza) tanto differiscono dalle passioni degli uomini, quanto la loro natura differisce dall’umana. E l’uomo e il cavallo son mossi dalla libidine di procreare: ma questo da libidine equina, quello da umana. E così le libidini e gli impulsi degli insetti, dei pesci e degli uccelli debbono essere diversi gli uni dagli altri. Sebbene perciò ogni individuo viva contento della natura che lo costituisce e ne goda, quella vita tuttavia, di cui ciascuno è contento, e quel godimento altro non sono che l’idea o l’anima dello stesso individuo e così la natura dell’un godimento è tanto diversa da quella dell’altro, quanto l’essenza dell’un individuo è diversa da quella dell’altro. E ancora ne segue che vi è una grande differenza tra il godimento che attira l’ubbriaco e quello cui mira il filosofo: ciò che ho voluto qui notare di passaggio.
Spessissimo avviene che, mentre godiamo della cosa desiderata, il corpo acquisti da quel godimento una nuova costituzione da cui è determinato altrimenti ed altre immagini delle cose sono destate in lui, onde la mente comincia nello stesso tempo a rappresentarsi e desiderare altre cose. Così, per es., quando ci rappresentiamo qualche cosa che ci piace, desideriamo goderne, cioè mangiarlo. Ma mentre così ne godiamo, lo stomaco si riempie e il corpo diventa altro. Se pertanto, col corpo già così diversamente disposto, sorga in noi la immagine dello stesso cibo, perchè l’abbiamo dinanzi, e quindi anche li desiderio di mangiarne; a questo desiderio ripugnerà quella nuova costituzione del corpo e quindi la presenza del cibo, che prima desideravamo, ci sarà adesso odiosa: e questo è ciò che diciamo fastidio e disgusto. (Et., III, 59, scol.).
C) Il medesimo oggetto può essere causa di due stati contrarî, che si alternano, oscillando, nell’animo nostro: abbiamo allora quello stato che intellettualmente costituisce il dubbio e nel riguardo della passione Spinoza chiama fluctuatio. Ciò è possibile sia in quanto lo stesso oggetto può affettare in modo contrario due parti diverse dell’essere nostro, sia in quanto lo stesso oggetto, constando di parti e di aspetti diversi, può simultaneamente affettare in due sensi contrari la stessa parte dell’essere nostro (prop. 17, scol.).
D) L’ultima legge applica alle passioni le leggi di associazione: associazione per contiguità (prop. 14) e per somiglianza (prop. 16). In questi casi può sorgere facilmente la fluctuatio (prop. 17).
Prop. 14. Se la mente è stata simultaneamente affetta da due passioni, quando in seguito sarà affetta dall’una di esse, sarà affetta anche dall’altra.
Prop. 16. Quando immaginiamo una cosa avere alcunchè di simile all’oggetto che suole affettare la mente di gioia o di tristezza, sebbene ciò che le due cose hanno di simile non sia la causa efficiente di tali passioni, per ciò solo tuttavia la prima cosa sarà per noi oggetto di amore o di odio.
Di qui il fatto che cose per sè indifferenti possono per accidente causare in noi gioia o tristezza, amore oppure odio: Spinoza vi riconduce i fatti in apparenza così misteriosi delle simpatie e delle antipatie (prop. 15). La prop. 50 applica lo stesso principio alla speranza ed al timore: di qui sono sorte le credenze nei presagi e tutte le relative superstizioni. Un altro corollario è dato dalla prop. 46: quando un uomo d’una certa classe o nazione è stato per noi causa di gioia o di tristezza, siamo inclinati ad estendere questo sentimento a tutta la classe od a tutta la nazione.
- ↑ Queste definizioni sono le definizioni delle passioni raccolte da Spinoza nell’appendice al libro terzo.