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A LUIGI MIO FRATELLO.
Scrissi queste Tragedie e queste Cantiche in un luogo di sì tetra solitudine e di tal dolore, che il mio intelletto doveva essere più che mai debole. Rivedutele nondimeno, dacchè sono risorto fra i viventi, qualche fiducia mi tornò che non sieno indegne di comparire al pubblico. Desidero di non ingannarmi.
Le offro a te, amico dolcissimo fin dalla infanzia; a te abbastanza indulgente da non isgradire questo tributo, comecchè tenuissimo ne sia il merito; a te che, ardente quanto modesto cultore delle lettere, spronasti pur me a seguirle, e così mi facesti acquistare un conforto perenne. Il pregio di questo fu da me altamente sentito ne’ lunghi dieci anni, in cui niun’altra dolcezza mi restava (dopo la religione, suprema consolatrice, e dopo il compianto di un carissimo socio di sventura1), fuorchè l’abitudine d’esercitare, poetando, la mente ed il cuore.
SILVIO PELLICO.
- ↑ Piero Maroncelli da Forlì.