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Traduzione dal tedesco di Giovita Scalvini, Giuseppe Gazzino (1835-1837)
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Montagne dello Harz, paese di Scirke ed Elend.
Faust e Mefistofele.
Mefistofele. Non ti vien voglia di un manico di granata? Io per me mi desidero il più nerboruto dei becchi; che da qui a lassù è da camminare ancor molto.
Faust. Finch'io mi sento bene in gambe ho abbastanza di questo nocchioso bastone. E che giova voler accorciare la via? Io godo dell'andarmi aggirando per le tortuosità della valle, e inerpicarmi quindi su per le rupi d'onde si versano l'eterne sorgenti dei ruscelli; questo mi alleggerisce la noja di una simile andata. Già le betulle si ravvivano all'alito di primavera, e par che se ne senta anche il pino; — e perché non ne verrebbe vigore anche alle nostre membra?
Mefistofele. In verità io non ne ho un sentore al mondo; sono una natura invernale, e vorrei piuttosto neve e ghiaccio sul mio cammino. Guarda come sorge lenta la luna fra quegli infuocati vapori! Come è mesto il lume della sua logora faccia! Fa sì poco chiaro che a ciascun passo vai a dare del capo in un albero o in una rupe. Però non ti rincresca ch'io domandi in nostro ajuto un fuoco fatuo. Ne veggo appunto uno colà che mena attorno giocondamente la sua fiammella. Olà, amico, poss'io pregarti di venirne verso di noi? Che vuoi tu starti colà ad ardere indarno? Vien qua, in buon'ora, e fanne lume su per la salita.
Il Fuoco Fatuo. Per buon rispetto io m'ingegnerò di correggere il mio leggier naturale; ma ben sapete che noi abbiamo per costume di andare a zigzag.
Mefistofele. Eh, eh! egli si studia di contraffare gli uomini. Va via dritto in nome del diavolo, o ch'io ammorzo d'un soffio quel tuo picciol guizzo di vita.
Il Fuoco Fatuo. Voi siete quassù il padrone, ben me n'avveggo, e farò come saprò meglio il piacer vostro. Ma badate che in questo dì la montagna ha addosso gl'incanti e la pazzia, e se un fuoco par mio deve insegnarvi il cammino, non avete a guardarla troppo pel sottile.
Faust, Mefistofele e il Fuoco Fatuo, cantando a vicenda.
Nel paese de' sogni, nel regno
Degl'incanti or mettiamo i vestigi.
Fatti onore, dimostra l'ingegno,
Ben ne guida per l'ombre e i prestigi,
Sì che ratto usciam fuori all'aperto
Su lo sterile giogo deserto.
Ve' come rapidi
Indietro fuggono
Arbor dopo arbori
Ve' come i vertici
De' monti girano,
Come traballano,
E si dirupano!
Come i lunghissimi
Nasi degli orridi
Macigni russano,
Come trombettano!
Giù per sassi e verdi clivi
Si devolvon freddi rivi.
Odo io 'l fremer de' torrenti?
O il rombar odo de' venti?
O son gemiti d'amanti?
Son concenti di quei belli
Di che il ciel spiegava l'ali
O son giubili, o son canti?
Vêr la terra, e da fratelli
Visser gli angeli e i mortali?
Soave all'anima
Speme m'infondono,
E desir trepidi!
Mi torna il giovine
Tempo nel cor;
Gli spirti tremano
Ebbri d'amor.
E le strane arcane note
L'eco mesta ripercote
Via per l'erta, come oscuro
Suon de' secoli che furo.
Gufi! Allocchi! non odi? e pavoncelle.
E civette ogni intorno! E le ghiandaje
Son tutte deste anch'elle?
Son salamandre qui per le prunaje?
O che pance! o che gambe!
E le radici in forma di serpenti
Su per gli scogli vanno
Vagando e per le ghiaje;
E ne annodan di strambe
Maravigliose, e danno
Subitani spaventi.
Giù dall'arbor viventi
Corron triboli e rovi,
E dov'è che il piè movi
T'avviluppi, t'impacci,
Sei colto in mille lacci.
Topi dipinti di color diversi
Van per le felci della landa in frotte,
E luccioloni volan per la notte
Con tai folgori quai mai non vedèrsi.
Ora dal vento spersi,
Or addensati sul cammin malvagio,
Ne addoppiano il disagio.
Ma su, dimmi: Stiam noi, o andiam noi?
Tutto tutto qui il monte si gira
Con le rupi e cogli arbori suoi.
O, che giochi ne fan! Mira mira
Immillarsi i volubili fochi
E gonfiare e scoppiare! O, che giochi!
Mefistofele. Tienti saldo al lembo del mio mantello. Qui su a mezzo la costa è una roccia da dove vedrai con tua gran maraviglia come Mammone arda per tutta la montagna.
Faust. Che strano chiarore si accende colaggiù alle falde, e s'interna fin entro le più profonde gole del monte! Là sorge un fumo, colà esalano pingui zolfi; e da quel lato balena fuori dai vapori una luce che, trasformandosi, ora discorre per l'aria in sottili filamenti, ed ora prorompe a guisa di grandi polle d'acqua. Ivi se ne va via serpendo per la valle, diramata in cento rigagnoli, e là oltre, s'ingorga e frange giù tra i macigni. Qui da presso piovigginano scintille, simili a sparnicciata arena d'oro. — Ma guarda, come quella petrosa giogaja si affuoca tutta lunghesso la cima!
Mefistofele. Non ti pare che il nostro Mammone abbia superbamente illuminato la sua reggia per simil festa? O tua gran ventura che hai veduto questo! Parmi già udire il furibondo accorrere dei convitati.
Faust. Come imperversa la procella per l'aria! e che fieri buffi mi da dietro nella coppa!
Mefistofele. Ghermisci i vecchi scheggi di quella rupe, che il turbine non ti rovini giù nel profondo. Una grossa nebbia raddensa la notte. Odi risonare di grandi scrosci la foresta, e i gufi svolazzare di qua e di là pieni di spavento! Odi scheggiarsi le colonne di questi palagi di eterna verdura; — odi il cigolare e il frangersi dei rami; il violento squassarsi dei tronchi, lo svellersi e lo squarciarsi delle radici! E rami e tronchi e ceppi s'intralciano, si avviluppano, si dirompono, e mirando vanno giù ad accatastarsi nei fondi declivi del monte, dove fra i loro rottami ulula e sibila il vento. Odi tu voci su in alto? — di lontano? — da presso? Sì certo tutta la montagna risona di un tempestoso magico canto!
Streghe in coro.
Traggono al Broken le Streghe in masnade.
La stoppia è gialla ed è verde la biada.
Sovra la cima è il solenne ridotto;
Là siede Uriano sul sasso dirotto.
Vassi per greppe, per bronchi e per stecchi.
Le streghe t-o, putano i becchi.
Voce. La vecchia Baùbo, vien sola soletta; <poem>Sur una scrofa ella monta alla vetta.
Coro. Onore, onore a chi onor si conviene! <poem>Onore a Baùbo, a madonna che viene.
O, che mirabil scrofa cavalca!
E che codazzo di streghe! che calca!
Voce. Tu che via festi?
Voce. Passaimene presso<poem>All'Inselstaino. Ivi dentro d'un fesso
È una civetta; — nessuno la tocchi!
Volli guatarvi, e m'ha fatto un par d'occhi!
Voce. Perché sì forte? Deh, va in tua mal'ora!
Voce. E m'ha graffiata che sanguino ancora!
Coro di Streghe.<poem>La via è larga, per tutti v'è loco:
Questo affollarsi è un orribile gioco!
Scopa ti pettina, forca ti stroppia;
Affoga il bambolo, la madre scoppia.
Il nostro andare è un andar di lumaccia;
Ve' come innanzi ogni donna si caccia!
Che quando a casa del diavolo vassi
Le donne han sempre su noi mille passi.
Cotesto è grande sottilizzamento:
Se in mille vanci le femmine drento,
Ancor che vadan più ratte che sanno,
D'un salto gli uomini drento ci vanno.
Vien su! Ti sferra dai sassi se puoi.
Noi volentier su verremmo con voi
Siam lindi e lucidi, garbo abbiam molto;
Ma tutto è indarno; il salire n'è tolto.
Le stelle fuggono, l'aer s'abbonaccia,
La luna vela la mesta sua faccia.
Ronzando i magici festivi cori
Sprizzan per l'ombre infiniti fulgori.
Aspetta, aspetta! Deh, siimi cortese!
Laggiù chi grida tra l'orride scese?
Teco mi togli! deh, teco mi togli!
Da trecent'anni vo su per gli scogli Né posso al sommo condurmi; e starei Pur volontieri lassù co' par miei!</poem>
Ambo i Cori.Porta la scopa, la forca, il bastone;
Per l'aer valica ratto il caprone.
Se per salir non sai oggi aver ali,
Tu se' spacciato, in eterno non sali.
Io, da gran tempo per sorger mi affanno
O quanto gli altri già innanzi mi stanno!
Senza riposo è la tresca de' piedi,
E son pur sempre quaggiù, come vedi.
Le streghe tiran vigor dagli unguenti;
Per vela un cencio puoi spargere ai venti;
E buona barca di un truogolo fai.
Chi non vola oggi non vola giammai.
E quando sòrti sarem su l'altura
Radiam col volo la vasta pianura;
Tutta copriam la campagna via via
Col nostro stormo di stregoneria. (Si calano.)
Mefistofele. Vedi l'affollarsi, l'urtarsi, il rimescolarsi che costoro fanno. E strillano e mugolano e cinguettano e ronzano e zufolano; e sfolgorano e sfavillano, e putono ed ardono! Oh, il grandissimo indiavolio! Tienti bene stretto a me che non ci smarriamo nella folla. Olà, dove sei tu?
Faust (di lontano). Qui!
Mefistofele. Po'! già trasportato fin là? Or via, qui mi convien fare da padrone di casa. Largo! il cavalier Volante! su largo, graziosa marmaglia! Fate strada! Qua, dottore, afferrami, e d'un salto vediam di gettarci fuori di questo scompiglio, ch'io medesimo mal so reggere a tante mattezze! Quindi poco discosto splende non so che cosa di un lume così nuovo, ch'io mi sento trarre verso quel prunajo. Vientene, vientene! facciamo di guizzare fin là.
Faust. O viluppo di contraddizioni che tu se'! Ma va, fa di me il piacer tuo. Gran senno è il nostro veramente! C'inerpichiamo sul Brocken per godere della Valpurga, e nel bello dello spasso ne piace star soli.
Mefistofele. Eh via, mira là quelle fiamme tutte screziate! Sono una briosa combriccola; e ben sai che in piccola compagnia l'uomo non è solo.
Faust. Io nondimeno n'andrei più volentieri lassù. Già veggo levarsi la vampa, e avvolgersi il fumo; — ed oh, come tutti traggono in calca verso il Maligno! Là certo vi si deono sciogliere molti enigmi.
Mefistofele. E del pari molti enigmi vi si avviluppano. Or tu lascia fervere il gran mondo; e noi c'incantucceremo qui in pace; che già per antico l'uomo gode di comporsi un suo piccolo mondo nel gran mondo. Veggo colà alcune giovani stregoncelle tutte nude, ed altre vecchie che fanno gran senno a coprirsi. Or tu sii cortese per amor mio, e per poca fatica avrai gran diletto. Odo risonare non so che istrumenti. Che maledetto baccano! Ma bisogna assuefarvisi. Vien via meco, vieni: egli non c'è scampo. Io vo innanzi e t'introduco alla lor compagnia: e tu mi avrai nuovo obbligo di nuovi servigi. Ehi, che ne dici, amico? Ti par egli un picciol luogo questo? Tendi l'occhio in là, a pena ci vedi in fondo. Un centinajo di fuochi ardono tutti in fila, e vi si balla, vi si ciancia, vi si cuoce, vi si bee, vi si fa all'amore. Or mi di' se potremmo star meglio altrove?
Faust. Come vogliam noi introdurci a costoro? Pensi tu di darti per mago o per diavolo?
Mefistofele. Veramente io ho per uso di andare incognito. Se non che ne' dì di gala ognuno sta sull'onorevole, e mostra i suoi ordini. Io non ho la giarrettiera che mi segnali, ma quassù è in gran riverenza il piè di cavallo. — Vedi tu là quella lumaca? Ella vien via strisciando lenta lenta, e col menare intorno delle corna ha già avuto qualche fumo di me; ond'io non riuscirei a celarmi dove pure lo volessi. Su, vientene; andremo di fuoco in fuoco; tu sei l'amoroso ed io il dimandante. (Ad alcune persone sedute intorno a carboni mezzo spenti.) Che fate voi costì in un angolo, miei vecchi signori? Molto vi loderei se vi vedessi darvi buon tempo nel bel mezzo del trambusto e dell'allegra gioventù; ché ognuno ha tempo di covar le ceneri in casa.
Un Generale.Il mondo è ingrato, e vivere in affanno
Per l'util della patria è gran follia;
Il popol fa quel che le donne fanno;
I giovani vezzeggia e i vecchi oblia.
Il mondo di dì in dì cade più in basso,
E per me son co' vecchi: i vecchi onoro;
Che quando noi facevam alto e basso,
I popoli godean l'età dell'oro.
Noi pur non fummo gonzi veramente,
E del ladro anche avemmo un cotal poco;
Ma la fortuna si mutò repente,
Allor che più parea farne buon gioco.
Da chi, da chi i buon libri oggi son letti!
O che crassa ignoranza! o che cervelli!
Quanto ai leggiadri nostri giovinetti
Non fur mai visti simil saputelli.
Il nuovissimo dì certo è vicino:
Addio bel monte! addio leggiadra corte!
Conciossiachè io sono al lumicino,
Così anche il mondo è vecchio e in fin di morte.
Strega Rigattiera. Signori miei, non passino oltre a quel modo; non lascino fuggire l'occasione. Veggano, veggano che fiore di mercante! Qui v'è di tutto; e son nullameno tutte cose rarissime e senza eguali in terra; tutte famose per qualche gran malanno recato, quando che fosse, agli uomini e al mondo. Io non ho in bottega un pugnale dal quale non sia grondato sangue, non una tazza che non abbia dato a bere un segreto veleno, e distrutte le più robuste complessioni; non un ornamento che non lasciasse una donna da bene; non una spada che non rompesse un'alleanza, o non trafiggesse l'avversario alle spalle.
Mefistofele. Madonna, voi conoscete male i tempi. Quelle cose vostre sanno dell'antico, e ciò che è stato è stato. Provvedetevi, in buon'ora, di novità, che le novità sole possono allettarci.
Faust. Io son mezzo fuori di me. Questa in ultimo non è che una fiera!
Mefistofele. La turba trae tutta insieme all'insù. Tu credi di sospingere e sei sospinto.
Faust. Dimmi, chi è colei?
Mefistofele. Mirala bene! Ell'è Lilith.
Faust. Chi?
Mefistofele. La prima moglie di Adamo. Guardati dalla sua bella capigliatura, quell'unico ornamento di cui faccia pompa; che dove ell'abbia allacciato con essa alcun giovane, nol lascia andare così di leggieri.
Faust. Vedine qua due a sedere: la vecchia con la giovine a canto; e par ch'ell'abbiano già saltato ben bene.
Mefistofele. Stanotte son senza requie; e già rientrano in ballo. Su, lesti! veggiam di pigliarcele.
Faust (ballando con la giovine). Una volta un bel sogno fec'io:
Vedea un melo, e sovresso due belli
Tondi pomi; men venne desìo,
E sul melo salii per avelli.
Il desio delle tonde pomelle,
Figli d'Eva, in voi nasce con voi.
Molto godo che anch'io d'assai belle
N'ho in giardino; le cogli se vuoi.
Una volta un mal sogno fec'io:
Vedea un'arbore fessa per mezzo;
E nell'arbore...;
Benché... gli feci buon vezzo.
Me le inchino umilissimamente,
Cavaliere dal piè di cavallo.
Son quell'arbore, ho... patente,
..., se a schifo non ballo.
Proctofantasmista. Maledetta ciurmaglia! Che pazze licenze son queste? Non ve l'abbiamo noi già provato e riprovato le mille volte? Uno spirito non deve mai stare compostamente in sui piedi; ed ecco voi ballate in tutto alla guisa di noi uomini!
La Bella (danzando). Che borbotta costui del nostro ballare?
Faust (danzando). Eh, egli si ficca da per tutto. Quand'altri balla bisogna ch'egli lo commenti e lo giudichi; e se non può bisbeticare su ciascun passo, egli è come se il passo non fosse fatto. Sovra tutto poi gli monta la stizza, quando ne vede ire innanzi. Se vi piacesse di volgervi continuamente in giro, come suol fare egli nel suo vecchio molino, forse troverebbe che ogni cosa sta a perfezione, specialmente se tratto tratto voleste fargli un profondo salamelecche.
Proctofantasmista. E ancora siete lì? Egli è insopportabile! Orsù, sparite! Noi abbiamo dilucidato ogni cosa, noi! La plebaglia de' diavoli non vuol freno né regole. Noi siam pieni di senno, e vanno attorno per Tegel non so che spettri. Quanti anni or sono che noi ci travagliamo a dissipare sì fatti errori! e il mondo non è ancor bene stenebrato. Egli è veramente insopportabile!
La Bella. Vattene dunque, e non ci rompere più il capo con le tue ciance.
Proctofantasmista. Spiriti, io ve lo dico in faccia; io non so patire uno spirito soverchiatore; il mio spirito non soverchia mai. (Continua la danza.) Oggi, ben veggo, non ne verrai a capo in nessun modo; ma io sono pur sempre disposto a fare un viaggio, e spero ancora, prima ch'io sloggi dal mondo, di dare lo sfratto ai diavoli ed ai poeti.
Mefistofele. Egli va dritto dritto a sedersi in una pozzanghera, ché quest'è il suo quotidiano refrigerio, e quando le mignatte si sieno ben bene sfogate in succhiargli le natiche, egli è ad un tempo guarito degli spiriti e dello spirito. (A Faust, che è uscito di ballo.) Perché hai tu lasciato andare quella vezzosa fanciulla che danzando ti cantava sì dolcemente?
Faust. Ah! nel bel mezzo del canto le è schizzato di bocca un topolino rosso.
Mefistofele. Egli è assai semplice; e non bisogna stare così sulle sottigliezze: bastiti che il topo non fosse bigio. Chi può darsi fastidio di simili baje sul buono di appicare l'uncino?
Faust. Poi vidi...
Mefistofele. Che?
Faust. Mefisto, vedi tu là lontano una bella e smorta fanciulla, che si sta tutta sola in disparte? Ella si ritrae lenta lenta, e all'andare direbbesi che avesse i piedi ne' ceppi. In verità a me pare ch'ella somigli alla buona Margherita.
Mefistofele. Deh, lascia andare! ché non ne esce alcun bene. La è una figura magica, inanimata, un idolo. Male ne piglia a chi le si pone innanzi: quell'assiderato suo sguardo assidera il sangue, e l'uomo n'è rapidamente convcrtito in sasso. Tu hai certo udito narrare di Medusa.
Faust. Veramente son gli occhi di un morto, che non furono chiusi da una mano benevola. Quello è il seno che Ghita mi ha conceduto; quello il soave corpo di lei!
Mefistofele. Quello è tutto stregoneccio, o pazzo che sei, da lasciarti così subito affascinare! Sappi che a ciascuno ella sta innanzi in forma della donna ch'egli ama.
Faust. Che dolcezza! — ed oh, che struggimento! Io non so levarmi da quella vista. Ed è pure strano quel nastricello rosso posto come per vezzo intorno al suo bel collo, non più largo del dosso di un coltello.
Mefistofele. Tu di' il vero; e il veggo io pure. Ella potrebbe anche portare il suo capo sotto l'ascella, però che Perseo gliel'ha reciso. E tu andrai sempre così pazzo delle illusioni! Orsù, vientene là in vetta a quel poggio, che ti ricreerai come se tu fossi a Vienna nel Prater; e s'io non ho le traveggole, ivi è veramente un teatro. Ehi! che è quel che si prepara costà?
Servibilis. Si ricomincia subito. Una nuova farsa e l'ultima delle sette; ché tante appunto noi sogliamo darne quassù. Essa fu scritta da un dilettante, e sarà recitata da dilettanti. Signori, io mi vi scuso se sparisco, ma io mi diletto di alzare il sipario.
Mefistofele. Piacemi di trovarvi sul Blocksberg; che qui siete in luogo degno di voi.
SOGNO
DELLA NOTTE DI VALPURGA
OVVERO
LE AUREE NOZZE
DI OBERON E TITANIA
INTERMEZZO.
Noi di Midingo siamo gli strioni
Ch'oggi abbiam festa, e qui appariam da sezzo.
Acquosa valle ed orridi burroni
L'unica scena son dell'intermezzo.
Se cinquant'anni in tutti son rivolti
Auree le nozze diconsi fra noi;
Ma se son lieti i cor, sereni i volti,
Io auree nozze dico e prima e poi.
Se meco siete, o spirti, orsù scoprite,
Che giunto è tempo, il vostro aerio coro;
Titania ed Oberon non han più lite;
Novello amor li stringe a nozze d'oro.
Ecco vien Puche di traverso e a sesta
Gira nel ballo il piè radendo il suolo.
Cent'altri spirti fan per l'aer festa,
Ma il più bello è Ariel del bello stuolo.
A' begl'inni Arïel la bocca scioglie
E quai son note più sincere avanza;
Qualche insoave fior talvolta ei coglie,
Ma fior sovente d'immortal fragranza.
Sposi, che avete il cuor pien di rancori,
Fate profitto dell'esempio nostro;
Se v'è in desio tornar ai dolci amori,
Ite ver borea l'un, l'altro ver ostro.
La moglie ha il capo pien di grilli, e forte
Sbuffa il duro marito? Ambo gli afferra,
Quella al merigge, porta questo al norte,
Ed interpon fra lor mezza la terra.
Becchi di mosche e nasi di zanzare,
E pance di cicale allo scoverto;
Ranocchi in fronde e grilli per le ghiare
Son le viole e i flauti del concerto.
Come una bolla tonda di sapone,
La cornamusa or vien dal sacco enfiato,
Odi il suo rantolar, bada al bordone
Che manda fuor dal naso rincagnato.
Ventre di botta e denti di tignuola
E pie' di ragno e alucce al mammoletto;
Se mai fuor non n'uscisse una bestiuola,
Fuor n'uscirà un rimbombo, un poemetto.
Per la melata e i roridi fioretti
Sai dare un passettino, un salterello.
In ver non senza garbo mi sgambetti,
Ma non ti levi mai per l'aria snello.
Siam noi di carneval? son veri dei
Che per qui vanno o liete mascherate?
O gioia! io potrò dir: Cogli occhi miei
Vidi il bello Oberon, re delle Fate.
Corna né branche egli non ha, né coda!
E che fa questo a me? Che se gli Dei
Di Grecia eran demoni, ed ei li loda:
Io vi concludo ch'è un demonio anch'ei.
Or l'opre mie non son che esperienze,
Non son che bozze, e un far di fantasia;
Ma quando visto avrò Roma e Firenze,
Nessun mi andrà di par nell'arte mia.
Oimè, il malanno infra costor mi ha messo
Mai tal pazzie non vidi! E delle Fate
In tanto innumerevole consesso
Non più di due ne scerno incipriate.
Cipria e gonnella molto stanno bene
A corpi attempatelli ed a crin bianchi;
Nuda del capro mio premo le rene,
E mostro giovin petto e colmi fianchi.
A noi, che dame siam, starebbe male
Contendere con voi di simil sfoggi.
Voi pure il tempo toccherà con l'ale,
Diman sarete quel che noi siam oggi.
Becchi di mosche e nasi di zanzare,
Non vi affollate a quelle nude intorno;
Ranocchi in fronde e grilli per le ghiare,
Su state in tuono in sì mirabil giorno.
O bel consorzio che fa il cor giocondo!
Qui vaghe spose son, qui garzonetti
De' quai non vede i più leggiadri il mondo,
Illustre sangue tutti, e spirti eletti.
E se non s'apre il suolo e questa sora
E vana gente tutta non ingoja,
Mi getterò in inferno in mia malora.
Meglio l'inferno assai che tanta noja.
Con forbicine taglienti e pungenti
Insetti siamo, accorsi a questo spasso
Per rendere gli onor convenïenti
A nostro babbo sommo Satanasso.
Ve' quello stormo come s'affaccenda,
E punge e morde e assai fa del dottore;
E di lor tresche usciti, per ammenda,
Anco verranti a dir c'hanno buon core.
Grato m'è assai l'andar per le confuse
Carole del Blosberg; che in veritate.
Anzi che i cori dell'aonie Muse,
Son abile a guidar quei delle Fate.
Se qual cosa esser vuoi tienti alle terga
Di quei che sanno. Nel mantel mi piglia!
Per l'ampio suo cocuzzolo il Blosberga
Al Parnaso alemanno s'assomiglia.
{{sc|Viaggiatore Curioso
Chi è costui che sta così in sul grande
Con la testa alta e coi passi spediti?
Ei fruga e annasa da tutte le bande.
“Gli è un che dà la caccia ai gesuiti.”
Io pesco volentier nell'acque chiare,
E nelle torbe pesco parimente;
Così tu vedi andarne a pare a pare
Qui co' dimoni la devota gente.
Tutto a' devoti, io non vi dico baja,
Ne' lor andirivieni è buon veicolo;
E sul Blosberga, senza che si paja,
Hanno fondato più d'un conventicolo.
Parmi, o di là sen vien per la foresta
Novello coro? Odo da lunge il lieto
Tamburellare. Oh, state! egli è la mesta
Canzon del monachino infra il canneto.
Ciascun mena le gambe a saltelloni,
E come meglio sa si disimpaccia:
Balla il bilenco, ballano i buzzoni;
Chi scuoter non sa i piè, scuote le braccia.
Sol di quei salti il mascalzon s'adira.
Che profittar vorria dell'aria bruna.
Tutte le bestie qui, come la lira
Solea d'Orfeo la cornamusa aduna.
Le mie opinïon non mi son smosse
Mai da sofisti, né da criticanti;
Se fosse ver che il diavol non vi fosse,
Io non vedrei quassù diavoli tanti.
Ben questa volta in me la fantasia
Ha preso il sopravvento alla ragione;
Perché, se è ver che tutto quanto io sia,
Oggi son anche un pazzo da bastone.
Ahi, l'entità s'è fatta il mio tormento;
Ed oggimai m'è andata nelle rene;
Quassù la prima volta ecco mi sento
Tutto tremar su' piedi; — oh, chi mi tiene!
Beato me che simil visïoni
Mi son concesse! Poi che da quest'irti
Cipigli di fantasmi e di demoni
M'è dato argomentarne i buoni spirti.
Seguendo le fiammelle ognuno estima
Che per la traccia v'ha di gran tesoro.
Or poiché Zweifel con Teufel rima
Dove potrei me' star che infra costoro?
O di ranocchi matto gracidare!
O grilli, dilettanti senza onore!
Becchi di mosche, nasi di zanzare,
Far non sapete al canto altro tenore?
Noi, turba grande sanssouci
Destri e faceti a tutti facciam festa;
Or che sui piè star non possiamo eretti.
Mirabilmente andiam sopra la testa.
Oimè i bei desinari, oimè le gaje
Cene, oimè il tempo che non fa ritorno
Strutte danzando abbiam sin le tomaje,
Ed a piè nudi or sgambettiamo attorno.
Noi siamo del padul novella prole,
A questa altezza sorti dalla gora;
E belli già splendiam nelle carole;
Tanto avanzar si puote in poco d'ora.
Simile a stella lucida ed accesa
Io caddi giuso dall'eteree vette;
E qui nell'erba sto lunga distesa.
Oh, chi sovra le gambe mi rimette?
Largo, largo! su, fatevi da fianco!
Spianansi l'erbe sotto le gravi orme!
Spiriti e' sono, ma gli spiriti anco
Han goffe membra spesso e ventre enorme.
Via non andate attorno sì panciuti!
Elefantuzzi mi parete al passo;
Il sollazzevol Puch fra tanti arguti
Spirti si paja il più milenso e crasso.
Se a voi benevol diede ali natura,
Ed ali dié l'ingegno e il cor gentile,
Meco poggiate al monte ove la pura
Olezza infra i roseti aura d'aprile.
Squarciansi in ciel le nubi, e lento lento
Alle valli la nebbia si raccoglie;
Nei rami l'aura, e nelle canne il vento,
E la volubil vision si scioglie.