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Libro quarto - Capitolo 139
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Votasi con grandissimo romore l’ampia prateria: niuna gente vi rimane, se non i vincitori, o quelli i quali, morti o feriti, non hanno potenza di fuggire; né alcuno ha ardire di più ritornare nel prato. Le lagrime delle vaghe giovani, che pietose riguardavano dell’alta torre, crescono per l’uccisione, e con quelle la loro speranza della salute di Biancifiore: e molte, non potendo sostenere di vedere l’uccisione, se ne levano. Altre porgono pietose orazioni agl’iddii per lo salvamento della picciola schiera: altra va e torna, altra alcuna volta non si parte, disiderando di vedere la fine. I vittoriosi cavalieri s’accostano al fummo dolenti della loro vittoria sanza morte, e, quella disiderando, niuno le sue piaghe ristringe, ma riguardando per lo campo si maravigliano di ciò che essi pochi hanno fatto, vedendo grande la moltitudine de’ morti e de’ feriti. Ciascuno ringrazia il grande cavaliere, non conoscendolo per iddio, e di molte cose il dimandano, ma esso a nulla né a niuno risponde. Ciascuno vorria vedere, se possibile fosse, i busti de’ corpi che essi morti estimavano. Alcuni di loro diceano essere convenevole omai gittarsi vivi sopra il loro fuoco, acciò che una medesima fiamma le ceneri di tutti raccogliesse in uno. Altri lodavano prima a loro porgere sepultura, e poi sé ardere, dicendo che degna cosa non era le loro ceneri con altre, che sì non si amassero, contaminare.

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