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Multiplicava ciascuna ora alla sconsolata nave più pericolo, e ancora che il romore e del mare e de’ venti e de’ tuoni e dell’acque fosse grandissimo, ancora il faceano molto maggiore le dolenti voci de’ marinari, le quali alcune in ramarichii, altre in prieghi agl’iddii che gli dovessero atare dolorosissime delle loro bocche procedeano, conoscendo il pericolo in che erano. Le quali cose Filocolo per lungo spazio avendo vedute, e a quelle e conforto e aiuto co’ suoi compagni avea porto quanto potuto avea, vedendo la loro salute ognora più fuggire, con gli altri insieme quasi disperato piangendo s’incominciò a dolere, dicendo così: - O fortuna, sazia di me omai la tua iniqua volontà. Assai ti sono stato trastullo, assai hai di me riso, ora in alto e ora in basso stato. Non penare più di recarmi a quell’ultimo male che continuamente hai disiderato: fallo tosto. Non m’indugiare più la morte, poi che tu la mi disideri: ma se esser puote, io solo la morte riceva, acciò che costoro, i quali per me ingiustamente i tuoi assalti ricevono, non sofferiscano sanza peccato pena. I tuoi innumerabili pericoli tutti, fuori che questo, m’hai fatti provare, e in questo, il quale ancora non avea provato, ogni tua noia si contiene: sia adunque questo, sì come maggiore, a me per fine riserbato nelle mie miserie. A questa niuna cosa peggiore mi può seguire se non morte. Io la disidero: mandalami, acciò che gli altri campino, e la tua voglia s’adempia e i miei dolori si terminino. Sazisi ora ogni tua voglia, e in questo finiscano le tue fatiche e i miei danni. O miseri parenti rimasi sanza figliuolo, confortatevi, ché più aspro fine gli seguita che voi non gli dimandavate: egli è ora nelle reti tese da voi miseramente incappato. Le vostre operazioni questa notte avranno fine e la vostra letizia non vedrà il morto viso, il quale vivo invidiosi lagrimato avete. Solo in questo m’è benigna la fortuna, e in questo la ringrazio, che sì incerta sepoltura mi donerà, che né vivo né morto mai a’ vostri occhi mi ripresenterò: per che se mi odiate, come le vostre operazioni hanno mostrato, sanza consolazione in dubbio viverete della mia vita; se mi amate, come figliuolo da’ parenti dee essere amato, la fortuna, rapportatrice de’ mali, morto mi vi paleserà sanza indugio, e allora potrete conoscere voi debita pena portare del commesso male. Ma la mia oppinione sola questa consolazione ne porterà con l’anima al leggero legnetto d’Acheronte, pensando che la vostra vecchiezza in dolore si consumerà, la quale non consentì che io lieti usassi i miei giovani anni. O Nettunno, perché tanto t’affanni per avere la mia anima? Cuopri la trista nave se possibile è, e me solo in te ne porta. Finisci il tuo disio e le mie pene a un’ora: non nuoccia il mio infortunio agl’innocenti compagni -. E poi ch’egli aveva per lungo spazio così detto, e egli con più pietosa voce alzava il viso mirando il turbato cielo, e diceva: - O sommo Giove, venga la tua luce alla sconsolata gente, per la quale i non conosciuti cammini del tuo fratello ci si manifestino, e aiuta il tuo popolo che solo in te spera, e, sanza guardare a’ nostri meriti, con pietoso aspetto alla nostra necessità ti rivolgi, e se licito non ci è di potere la dimandata isola prendere con le nostre ancore, prenda la già non nave, sanza pericolo di noi, qualunque altro porto. Umilia il tuo fratello a cui niuna ingiuria facemmo mai, muovasi la tua pietà a’ nostri prieghi, né resistano i commessi difetti, i quali sì come uomini continui adoperiamo. E tu, o santo iddio, a cui non ha tre dì passati, o forse quattro feci debiti sacrificii, aiutaci, e la ’mpromessa fatta dalla santa bocca non la mettere in oblio. Non si conviene agl’iddii essere fallaci, né possibile è che siano; ma cessi che così la tua promessa mi sia attenuta, come quella di Giove fu a Palinuro. Io non men tosto disidero di prendere altri liti, se possibile non è d’avere questi, che per tal maniera la promessione ricevere. O santa Venus, aiutami nel tuo natale luogo. Non mi far perire là ove tu nascesti e dove tu più forza che in altra parte dei avere. Ricordati della mia diritta fede. Cessino per lo tuo aiuto questi venti, e manifestisici la bellezza del bel nido di Leda e la figliuola di Latona, e i mari, che di sé fanno spumose montagne, nelle sue usate pianezze riduci. Vedi che niuno di noi non può più; solo il vostro soccorso sostiene le nostre speranze: quello solo attendiamo. Non si ’ndugi: l’albero, le vele, i timoni e le sarte da’ venti e dall’onde ci sono state tolte. E i tuoni e le spaventevoli corruscazioni e le gravi acque cadenti da cielo e mosse da’ venti ci hanno i nocchieri e i marinari e noi vinti, e renduti impossibili a più aiutarci: in tempestoso mare, sanza guida e in isconosciuto luogo, abandonato da ogni speranza, per li tuoi servigi così mi ritruovo -.