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Libro quarto - Capitolo 85
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"La torre dove le donzelle dimorano, come voi nel nostro porto entrando poteste vedere, è altissima tanto che quasi pare che i nuvoli tocchi, e si è molto ampia per ogni parte, e credo che il sole, che tutto vede, mai sì bella torre non vide, però ch’ella è di fuori di bianchi marmi e rossi e neri e d’altri diversi colori tutta infino alla sua sommità, maestrevolemente lavorati, murata. Ella, appresso, ha dentro a sé per molte finestre luce, le quali finestre divise da colonnelli, non di marmo, ma d’oro tutti, si possono vedere, le porte delle quali non sono legno, anzi pulito e lucente cristallo. Questo tutto di fuori a’ riguardanti si può palesare, ma dentro ha più mirabili cose, le quali, chi non le vede, impossibile gli pare a crederle, udendole narrare. Elli vi sono cento camere bellissime, e chiare tutte di graziosa luce, e molte sale; ma tra l’altre sale una ve ne dimora, credo la più nobile cosa che mai fosse veduta. Ella tiene della larghezza della torre grandissima parte, volta sopra ventiquattro colonne di porfido di diversi colori, delle quali alcune ve n’ha sì chiare, che, rimirandovi dentro, vedi ciò che per la gran sala si fa: e fermansi le lammie di questa sala sopra capitelli d’oro posti sopra le ricche colonne, le quali sopra basole d’oro similemente sopra ’l pavimento si posano. Queste lammie sono gravanti per molto oro, nelle quali riguardando niuna cosa vi puoi vedere altro, salvo se pietre nobilissime non vedessi. In questa sala ne’ pareti dintorno, quante antiche storie possono alle presenti memorie ricordare, tutte con sottilissimi intagli adorne d’oro e di pietre vi vedresti, e sopra tutte scritto di sopra quello che le figure di sotto vogliono significare. Quivi ancora si veggono tutti i nostri iddii onorevolissimamente sopra ogni altra figura posti, co’ quali gli avoli e antichi padri del nostro amiraglio tutti vedere potresti. In questa sala non si mangia se non sopra tavole d’oro, né niuno vasellamento se non d’oro v’osa entrare. Io non vi potrei narrare interamente di questa quanto n’è: che vi poss’io più di questa dire se non che infino al pavimento, e il pavimento medesimo, d’oro e preziose pietre è? In questa mangia sovente il nostro amiraglio con la tua Biancifiore e con l’altre donzelle. Ancora è in questa torre, tra le cento camere, una che di bellezza tutte l’altre avanza: e certo appena che quella dove Giove con Giunone ne’ celestiali regni si posa, si possa a questa agguagliare! Essa è di convenevole grandezza, e ha questa propietà, che alcuno non vi può dentro passare sì malinconico, che mirando al cielo della camera, dove in maestrevoli compassi d’oro, zaffiri, smeraldi, rubini e altre pietre si veggono sanza novero, egli non ritorni gioioso e allegro. A fronte alla porta di questa, sopra una colonna, la quale ogni uomo che la vedesse la giudicherebbe di fuoco nel primo aspetto, tanto è vermiglia e lucente, dimora il figliuolo di Venere ignudo con due grandissime alie d’oro, graziosissimo molto a riguardare; e tiene nella sinistra mano uno arco e nella destra saette, e pare a chiunque in quella passa che questi il voglia saettare; ma egli non ha gli occhi fasciati come molti il figurano, anzi gli ha quivi belli e piacevoli, e per pupilla di ciascuno è un carbuncolo, che in quella camera tenebre essere non lasciano per alcun tempo, ma luminosa e chiara come se il sole vi ferisse la tengono. Dintorno ad esso ne’ cari muri tutte le cose che mai per lui si fecero sono dipinte. Ne’ quattro canti di questa camera sono quattro grandissimi arbori d’oro, i cui frutti sono smeraldi, perle e altre pietre, e sì artificialmente sono composti, che come l’uomo con una verghetta percuote il gambo d’alcuno di quelli, niuno uccello è che dolcemente canti, che al cantare non sia udito, e ripercotendolo tacciono. In mezzo di questa camera sopra quattro leoni d’oro, una lettiera d’osso d’indiani elefanti dimora, guarnita con letto chente a sì fatta lettiera si richiede, chiuso intorno da cortine, le quali io non crederei mai poter divisare quanto siano belle e ricche. Né alcuno piacevole odore è, o confortativo, che in quella entrando l’uomo non senta soavemente odorando. In questa camera, in questo così nobile letto dorme sola Biancifiore: e questa grazia singulare più che l’altre riceve, perché di bellezza e di costumi avanza ciascuna altra, ben che l’altre molto onorevolemente dimorano ciascuna nella sua camera. Ma nella sommità di questa torre è uno dilettevole giardino molto, nel quale ogni albero o erba che sopra la terra si truova, quivi credo che si troverebbe: e in mezzo del giardino è una fontana chiarissima e bella, la quale per parecchi rivi tutto il giardino bagna. Sopra questa fontana è un albero il cui simile ancora non è alcuno che mai vedesse, per quello che dicono coloro che quello veduto hanno. Questo non perde mai né fiore né fronda, e è di molti oppinione che Diana e Cerere, a petizione di Giove, antico avolo del nostro amiraglio, pregato da lui, vel piantassero. E di questo albero e di questa fontana vi dirò mirabile cosa: che qualora l’amiraglio vuole far pruova della virginità d’alcuna giovane, egli nell’ora che le guance cominciano all’Aurora a divenire vermiglie, prende la giovane, la quale elli vuol vedere se è pulcella o no, e menala sotto questo albero. E quivi per picciolo spazio dimorando, se questa è pulcella le cade un fiore sopra la testa, e l’acqua più chiara e più bella esce de’ suoi canali; ma se questa forse congiugnimento d’uomo ha conosciuto, l’acqua si turba e ’l fiore non cade. E in questo modo n’ha già molte conosciute, le quali con vituperio da sé ha cacciate. In questo giardino si prendono diversi diletti le donzelle e in questa maniera che detto v’ho dimorano libere di poter cercare tutta la torre infino al primo solaio; da indi in giù scendere non possono né uscire mai sanza piacere dell’amiraglio. Potete avere udito come dimorano: ora sotto quale guardia vi narrerò.

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