< Filocolo < Libro quarto
Questo testo è completo.
Libro quarto - Capitolo 99
Libro quarto - 98 Libro quarto - 100

Dopo alcuni ragionamenti s’asettano costoro alle tavole, come piacque al castellano, e con gran festa mangiano splendidamente serviti. E già presso alla fine del mangiare, Filocolo cominciò a dubitare non corto venisse il suo avviso ad effetto, però che già tempo gli parea, con ciò fosse cosa che altro non restasse al levare delle tavole se non le frutta. Ma mentre che in tale pensiero alquanto alterato dimorava, Parmenione giunse quivi il quale contentò assai Filocolo nella sua venuta, e salito in su la sala, nelle sue mani recò la bellissima coppa e grande d’oro, la quale con gli altri tesori Felice re ricevette per pregio della giovane Biancifiore dagli ausonici mercatanti, e quella piena di bisanti d’oro, tanto grave che appena avria più Parmenione potuto portare, coperta con uno sottilissimo velo, davanti Sadoc la presentò, dicendo: - Bel signore, quel giovane al quale voi ieri per vostra benignità la vita servaste, avendo egli per sua presuntuosità la morte guadagnata, questa coppa con questi frutti che dentro ci sono, i quali nel suo paese nascono, vi presenta, e, appresso, sé e le sue cose offera, al vostro piacere apparecchiate -. Vedendo questo Sadoc, e ascoltando le parole da Parmenione dette, tutto rimase allenito e con cupido occhio rimirò quella, nel cuore lieto di tal presente. Nondimeno, della magnanimità e cortesia di Filocolo maravigliandosi molto, e rivolto dove Filocolo sedeva, con benigno aspetto il riguardò, e poi disse: - Grande e nobile è il presente, e prezioso è il terreno che sì fatti frutti produce: e se non che egli mi si disdice l’essere villano verso di chi a me è stato cortese, forte saria che io tal presente prendessi, però che a Giove saria grandissimo e accettevole cotale dono -. E fatta prendere la coppa di mano a Parmenione, gli disse: - Voi potrete di colui che vi manda pensare quello che del più nobile uomo del mondo si possa dire, e però che io mi sento insofficiente a rendere grazie convenevoli di tanto dono, a quelle non procedo, se non che per questo: egli ha me, e le mie cose, e ciò che per me si potesse, sì a sé obligato, quanto io potessi essere più -. Parmenione, fatta convenevole riverenza, si partì.

Questa voce è stata pubblicata da Wikisource. Il testo è rilasciato in base alla licenza Creative Commons Attribuzione-Condividi allo stesso modo. Potrebbero essere applicate clausole aggiuntive per i file multimediali.