< Filocolo < Libro quinto
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Libro quinto - Capitolo 51
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Onorati così costoro da Mennilio, tenendo Ascalion stato di maggiore di tutti, sì come a Filocolo piacea, egli in sé rimembrando le passate cose, s’incominciò a dolere, veggendosi per l’antica amicizia di Lelio onorare da’ fratelli, e egli avea avuta paura di dare sepoltura al morto amico, essendovi presente, avvegna che tardi gli fosse noto: e similemente a Giulia più benivolo non essersi mostrato, e a Biancifiore nelle sue avversità: e le cose che già di lei avea dette per ritrarre Filocolo da tale amore, ora l’incominciarono a dolere. Egli fece a Filocolo vietare a Glorizia che in nulla maniera a Biancifiore dovesse narrare chi coloro fossero dove albergati erano, sappiendo bene che essa gli conoscea. Ma Filocolo, dopo alcun giorno, vedute le magnificenze de’ due fratelli, cioè di Mennilio e di Quintilio, e essendogli molto piaciute, e similemente l’onore che ad Ascalion e a loro tutti era fatto, e quello che Clelia, di Mennilio sposa, stata per adietro di Giulia sorella, e Tiberina, moglie di Quintilio, facevano a Biancifiore e a Glorizia e all’altre che con Biancifiore erano, li venne volontà di sapere chi costoro fossero, e domandonne Ascalion. - Come, caro figliuolo, non sai tu dove tu se’ e in casa cui? -. - Certo - disse Filocolo - in Roma so ch’io sono, e in casa di Mennilio; ma chi esso sia io non so: e s’io il sapessi, a che fare te ne domanderei io? -. Disse allora Ascalion: - Ora sappi che di costoro fu fratello Lelio, il padre di Biancifiore, il quale dal tuo padre fu ucciso, e quella donna chiamata Clelia, la quale tanto Biancifiore onora, sorella carnale fu di Giulia sua madre. Vedi ove la fortuna ci ha mandati! Io penso che senno sarebbe omai di qui partirci, però che di leggieri, se conosciuti fossimo da loro, potremmo in questa fine del nostro cammino ricevere impedimento: e io ho veduto, e molte volte udito, nave correre lungo pileggio con vento prospero, e all’entrare del dimandato porto rompere miseramente. La fortuna ci è in molte cose stata contraria: che sappiamo noi se ancora la sua ira verso noi è passata? Da fuggire è la cagione acciò che l’effetto cessi -. Queste parole udendo Filocolo si maravigliò molto, pensando alla grande nobiltà de’ zii di Biancifiore, e alla miseria in che la fortuna l’avea recata, ponendola nella sua casa come serva, e così da tutti riputata; e molto in se medesimo si contentò che donna di sì nobile progenie gli fu dagl’iddii per amante mandata e poi per isposa: e con Ascalion delle iniquità del padre e della madre verso di lei usate si duole, e più che mai le biasima e odia, e con turbato viso grievemente riprende il suo maestro riducendogli a memoria ciò che per adietro sconciamente della giovane aveva parlato, e dice che - meritamente gl’iddii dovriano a costoro notificare chi tu se’, acciò che dove tu onore ricevi, fossi, come hai servito, guiderdonato -. Poi con più temperato viso dice: - Veramente io dubito che conosciuti non siamo in questo luogo, però che costoro hanno sangue toscano: essi non mettono mai l’offese in oblio sanza vendetta. Se io forse da loro fossi conosciuto, io non credo che mi riguardassero per ch’io loro congiunto sia: ma come mi potrò io anche partire sanza la loro pace, o almeno sanza la loro conoscenza, la quale io in niuna parte posso meglio che qui trattare? -. Ascalion, che tutte le sue parole ascoltava, né niente si turbò per riprensione udita, però che già debita compunzione per se medesimo avea presa della commessa colpa, così gli disse: - Filocolo, tu e’ tuoi compagni siete giovani e per diverse parti del mondo sconosciuti siete pellegrinati, per la qual cosa alcuna persona non è che vi conosca per quelli che siete: però, se di qui partirti disideri, fare lo possiamo, né fia chi saputo abbia chi voi vi siate. Se la conoscenza e la pace de’ tuoi parenti disideri, non è prima da chiederla che i loro animi si conoscano: e però taciti dimoriamo come infino a qui dimorati siamo, infino a tanto o che mi parlino d’alcuna cosa, per la quale io possa a ragionare de’ tuoi fatti debitamente venire, o che io, eleggendo debito tempo, ne parli a loro, o che alcun’altra via ci si prenda migliore, per la quale il loro intendimento possiamo conoscere; il quale conosciuto, quello che operare deggiamo conosceremo -. A questo s’accordò Filocolo, e lasciarono il lungo consiglio.

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