< Filocolo < Libro quinto
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Libro quinto - Capitolo 59
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- O cari compagni e amici, a me più che la vita cari, i nuovi accidenti nuove generazioni di parlari adducono, e però io sono certo che voi vi maraviglierete assai di ciò ch’io al presente ragionare vi credo; ma però che da nuova fiamma sono costretto, e secondo il mio giudicio il debbo fare, non tacerò ciò che il cuore in bene di voi e mio conosce. Noi, sì come voi sapete, non siamo guari lontani al giorno nel quale il terzo anno si compierà che voi per amore di me seguendomi lasciaste, sì com’io, le case vostre, e in mia compagnia, non uno solo, ma molti pericoli avete corsi, per li quati io ho la vostra costanza e fidele amicizia conosciuta, e conosco perfetta, e sanza fine ve ne sono tenuto. Ma come che l’avversità sieno state molte, prima da Dio e poi da voi la vita e ’l mio disio riconosco: per le quali cose mi si manifesta che se io a ciascuno donassi un regno, quale è quello ond’io la corona attendo, non debitamente vi avrei guiderdonati; ma il sommo Iddio, proveditore di tutte le cose, e degli sconsolati consiglio, ha parati davanti agli occhi miei degni meriti alle vostre virtù, i quali da lui, non da me, se ’l mio consiglio terrete come savi, prenderete, e in etterno sarete felici. E acciò che le parole, le quali io vi dirò, voi non crediate che io da avarizia costretto le muova, infino da ora ogni potenza, ogni onore, ogni ricchezza che io avere deggio nel futuro tempo nel mio regno, nella vostra potenza rimetto, e quello che più vostro piacere è, liberamente ne fate come di vostro: e ciò che io in guiderdone de’ ricevuti servigi v’intendo di rendere si è che io annunziatore dell’etterna gloria vi voglio essere, la quale e a voi e a me, se prendere la vogliamo, è apparecchiata, e dirovvi come -. E cominciando dal principio infino alla fine, ciò che Ilario in molte volte gli avea detto avanti che si partisse, quivi a costoro disse, come se per molti anni studiato avesse ciò che dire loro intendea. E mirabile cosa fu che, secondo ch’egli disse poi, nella lingua gli correano le parole meglio che egli prima nell’animo non divisava di dirle; la qual cosa superinfusa grazia di Dio essere conobbe, seguendo dopo queste parole dette: - Non crediate, signori, che io come giovane vago d’abandonare i nostri errori sia corso a questa fede sanza consiglio e subito: io ci ho molto vegghiato, e molto in me medesimo ciò ch’io vi parlo ho essaminato, e mai contrario pensiero ho trovato alla santa fede. E poi penso più inanzi che dove il mio consiglio non bastasse a discernere la verità, dobbiamo credere che quello di Giustiniano imperadore, il quale, in uno errore con noi insieme, quello lasciando, ricorse alla verità, e in quella dimora, come noi sappiamo, vi fia bastevole. Dunque de’ più savi seguendo l’essemplo, niuno può degnamente essere ripreso, o fare meno che bene. Siate adunque solleciti meco insieme alla nostra salute -.

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