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Libro terzo - Capitolo 52
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Diana, che delli alti regni conoscea la miseria in che Biancifiore era venuta per le operazioni di lei, in se medesima si riputò essere vendica del non ricevuto sacrificio, e temperò le sue ire con giusto freno, e i santi orecchi piegò a’ divoti prieghi di Biancifiore; e li suoi scanni lasciati, a quelli di Venere se n’andò, e così le disse: - O dea, sono alle tue orecchie pervenuti i pietosi prieghi della tua Biancifiore, come alle mie? -. - Certo sì - rispose Citerea, - e già di qui mi volea muovere per andare a porgerle il dimandato conforto; ma tu, che niuna tua ira vuoi sanza vendetta da te cacciare, lascia omai le soperchievoli offese e perdona il disaveduto fallo alla innocente giovane, acciò che io non abbia cagione di contaminare i tuoi cori con più asprezza. Tu non meno di me se’ tenuta d’aiutare costei, però che ben che essa aggia me col core servita e serve, nondimeno ha ella te sempre con le operazioni servita, e ora a te, come a me, soccorso nella presente avversità domanda -. - Adunque - disse Diana - andiamo: le mie ire sono passate, e vera compassione de’ suoi mali porto nel petto; porgiamole il dimandato conforto -. A cui Venere disse: - Io la veggo sopra le salate onde vinta da angosciosi pianti soavemente dormire, e esserne portata verso il mio monte, al quale luogo io spero che ’l suo disio ancora farò con letizia terminare, avvegna che sanza indugio essere non può per quello che per adietro hai operato -.

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