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Tacque Florio, e Ascalion così gli rispose: - O caro a me più che figliuolo, tu mostri nel fine delle tue parole di me avere poca fidanza, e simile nel pregare che fai di che io mi maraviglio. Certo non che a’ tuoi prieghi ma a’ tuoi comandamenti, se la mia vecchiezza fosse tanta che il bastone per terzo piede mi bisognasse, mai dalla tua signorevole compagnia né da’ tuoi piaceri mi partirei infino alla morte. Ben conosco come amore stringe: e però muovati qual cagione vuole, che me per duca e per vassallo mi t’offero a seguirti infino alle dorate arene dello indiano Ganges e infino alle ruvide acque di Tanai, e per li bianchi regni del possente Borrea, e nelle velenose regioni di Libia, e, se necessario fia, ancora nell’altro emisperio verrò con teco. Le quali parti tutte cercate, dietro a te negli oscuri regni di Dite discenderò, e se via ci sarà ad andare alle case de’ celestiali iddii, insieme con teco le cercherò, né mai da me sarai lasciato mentre lo spirito starà con meco -. Così appresso ciascuno degli altri giovani rispose, e si profersero lieti sempre al suo servigio, dicendo di mai da lui non partirsi per alcuno accidente, e che più piaceva loro per l’universo con lui affannare, che nel suo regno, sanza lui, in riposo vivere. Allora li ringraziò Florio tutti, e pregolli che sanza indugio ciascuno s’apprestasse di ciò che a fare avesse, ch’egli intendea con loro insieme di partirsi al nuovo giorno vegnente appresso quello.