< Galatea (Barrili)
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XIX

XX.

Galathea for ever.

21 settembre 18...

Tiriamo le somme. Io ho trentacinque anni, e Galatea ne ha ventuno. Forse sono un po’ troppo vecchio per lei. Ma c’è chi sostiene che l’uomo debba avere dieci o dodici anni più della moglie, essendo ragionevole ch’egli abbia giudizio per due. A questo patto, io sono ancora troppo giovane; e mi consolo, pensando che il dente del giudizio non mi è nato ancora. Una pazzia avrò causato di fare, non terminando il mio Don Giovanni. Poco male, del resto; ero appena al settimo canto, e il mio disegno avrebbe portato il poema ai quaranta.

Ha ragione Filippo Ferri. Perchè darsi pensiero della posterità, la quale non si darà pensiero di noi? E farà bene, dal canto suo; noi dal nostro ci leveremo il gusto di mandarle qualche saggio del nostro valore, ma non in carta stampata; in carne ed ossa, piuttosto, in buona salute e di ottimo umore, che sappia ridere di lei, vedendola fare le medesime sciocchezze ond’è rallegrato il secolo nostro, non dissimile in ciò dai passati. Del resto, se il mondo durerà ancora nel secolo ventesimo et ultra, sarà sempre in forza di una buona consuetudine che noi abbiamo ereditata dai nostri maggiori, quella di prender moglie e di far famiglia; buona consuetudine, che io non raccomanderò mai abbastanza ai miei cari ed amati contemporanei.

Galatea leggerà questa sera il mio memoriale. L’ha chiesto, ed io glielo porterò, condotto diligentemente fin qui. Lo giudicherà; e se vorrà condannarlo alle fiamme, non sarò per lagnarmene. Le cose buone e piacevoli che ci son registrate, le ho tutte scolpite nel cuore; non è necessario che rimangano scritte sulla carta. E finalmente, io voglio inaugurare l’altra buona consuetudine di far tutto ciò che a lei piacerà. L’umano consorzio va male, dacchè il codice costringe le mogli ad obbedire ai mariti. Chi sa che non voglia andare un po’ meglio, se i mariti prenderanno il verso d’obbedire alle mogli?


22 settembre 18...

“Ho letto, e scrivo io, Galatea. Prima di tutto mi piace il nome, e lo assumo per mio. Direi una bugia, se soggiungessi che mi piace egualmente tutto ciò che è scritto in questo memoriale del signor Rinaldo Morelli. Vedo che la pelle di Spagna è stata lì lì per dare al cervello del mio fidanzato, e non saprei consolarmene, se non rendessi giustizia alla sua sincerità, che sovra ogni altra cosa mi è cara. Fors’anche lo scrittore s’è lasciato un po’ vincer la mano dal suo ippogrifo, e l’amor della frase lo ha condotto oltre i termini del vero. Teniamo conto anche di questo, e conchiudiamo col nostro Shakespeare, che all’s well that ends well. In casa mia, del resto, non entrerà pelle di Spagna; ne faccio promessa formale. Ma io non sarò prepotente, e qualche freno accetterò ancor io; per esempio, non giuocherò più al lawn-tennis. Che idea, per altro; non amare un giuoco tanto bello! Ma sui gusti non si discute; ciò che non piace a lui, non piacerà a me, di sicuro.

“In un’altra cosa ci troviamo pienamente d’accordo: il simulacro di bronzo a Duci. Buci lo ha meritato. Ha, veramente, corso il rischio di guastar sulla fine quello che aveva cominciato; ma quello che aveva cominciato era buono. Vedi il memoriale di Rinaldo al capitolo quarto. E ne sia lode a Buci, sapientissimo cane, che ride senza far rumore, e pensa ottime cose dei suoi amici, senza tingersi le dita d’inchiostro. Il guaio intanto è accaduto a me. Con che coraggio stenderò io la mano a Rinaldo? specie sapendo per esperienza recente che egli....

“Basta; sarà quel che sarà. Intanto non gli neghiamo il “visto, si approva.„

Galatea.„


Ma che inchiostro! che inchiostro! Paura io, dell’inchiostro!.. Vi siete persuasa ora? È fuggita, si capisce, dopo avermi accoccato quello che lì per lì le è venuto alla mano; un gomitolo di refe. Sempre lei, sempre lei; viva Galatea, Galathea for ever! Ma non senza una giunta, intendiamoci. Galatea Morelli, s’ha a dire. Sarete meno mitologica, mia dolce bambina; ma tanto più vera, e sommamente piacevole a me.

Rinaldo.

FINE.

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