< Galateo overo de' costumi
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XIX XXI

E dèi oltre a ciò sapere che alcuni motti sono che mordono et alcuni che non mordono; de’ primi voglio che ti basti il savio ammaestramento che Lauretta ne diede, cioè che i motti come la pecora morde deono così mordere l’uditore, e non come il cane: perciò che, se come il cane mordesse, il motto non sarebbe motto ma villania; e le leggi quasi in ciascuna città vogliono che quegli che dice altrui alcuna grave villania sia gravemente punito; e forse che si conveniva ordinar similmente non leggieri disciplina a chi mordesse per via di motti oltra il convenevole modo; ma gli uomini costumati deono far ragione che la legge che dispone sopra le villanie si stenda etiandio a’ motti, e di rado e leggiermente pungere altrui. Et oltre a tutto questo, sì dèi tu sapere che il motto, come che morda o non morda, se non è leggiadro e sottile gli uditori niuno diletto ne prendono, anzi ne sono tediati, o, se pur ridono, si ridono non del motto, ma del motteggiatore. E perciò che niuna altra cosa sono i motti che inganni, e lo ingannare, sì come sottil cosa et artificiosa, non si può fare se non per gli uomini di acuto e di pronto avedimento, e spetialmente improviso, perciò che non convengono alle persone materiali e di grosso intelletto, né pure ancora a ciascuno il cui ingegno sia abondevole e buono, sì come per aventura non convennero gran fatto a messer Giovan Boccaccio; ma sono i motti spetiale prontezza e leggiadria e tostàno movimento d’animo. Per la qual cosa gli uomini discreti non guardano in ciò alla volontà, ma alla disposition loro, e, provato che essi hanno una e due volte le forze del loro ingegno invano, conoscendosi a ciò poco destri, lasciano stare di pur voler in sì fatto essercitio adoperarsi, acciò che non avenga loro quello che avenne al cavaliero di madonna Orretta. E se tu porrai mente alle maniere di molti, tu conoscerai agevolmente ciò che io ti dico esser vero: cioè che non istà bene il motteggiare a chiunque vuole, ma solamente a chi può. E vedrai tale avere ad ogni parola apparecchiato uno, anzi molti, di quei vocaboli che noi chiamiamo bistìccichi, di niun sentimento; e tale scambiar le sillabe ne’ vocaboli per frivoli modi e sciocchi; et altri dire o rispondere altrimenti che non si aspettava, sanza alcuna sottigliezza o vaghezza: -Dove è il signore? -Dove egli ha i piedi!- e -Gli fece ugner le mani con la grascia di San Giovan Boccadoro- e -Dove mi manda egli?- -Ad Arno!-; -Io mi voglio radere- -E’ sarebbe meglio rodere!-; -Va chiama il barbieri- -E perché non il barba ... domani?!-: i quali, come tu puoi agevolmente conoscere, sono vili modi e plebei; cotali furono, per lo più, le piacevolezze et i motti di Dioneo. Ma della più bellezza de’ motti e della meno non fia nostra cura di ragionare al presente, con ciò sia che altri trattati ce ne abbia, distesi da troppo migliori dettatori e maestri che io non sono, et ancora perciò che i motti hanno incontinente larga e certa testimonianza della loro bellezza e della loro spiacevolezza, sì che poco potrai errare in ciò, solo che tu non sii soverchiamente abbagliato di te stesso, perciò che dove è piacevol motto ivi è tantosto festa e riso et una cotale maraviglia. Laonde, se le tue piacevolezze non saranno approvate dalle risa de’ circonstanti, sì ti rimarrai tu di più motteggiare, perciò che il difetto fia pur tuo, e non di chi t’ascolta, con ciò sia cosa che gli uditori, quasi solleticati dalle pronte o leggiadre o sottili risposte o proposte, etiandio volendo, non possono tener le risa, ma ridono mal lor grado; da’ quali, sì come da diritti e legitimi giudici, non si dèe l’uomo appellare a se medesimo, né più riprovarsi. Né per far ridere altrui si vuol dire parole né fare atti vili né sconvenevoli, storcendo il viso e contrafacendosi, ché niuno dèe, per piacere altrui, avilire sé medesimo, che è arte non di nobile uomo, ma di giocolare e di buffone. Non sono adunque da seguitare i volgari modi e plebei di Dioneo («madonna Aldruta, alzate la coda...»), né fingersi matto, né dolce di sale, ma, a suo tempo, dire alcuna cosa bella e nuova e che non caggia così nell’animo a ciascuno, chi può, e chi non può, tacersi: perciò che questi sono movimenti dello ’ntelletto, i quali, se sono avvenenti e leggiadri, fanno segno e testimonianza della destrezza dell’animo e de’ costumi di chi gli dice, la qual cosa piace sopra modo agli uomini e rendeci loro cari et amabili, ma, se essi sono al contrario, fanno contrario effetto, perciò che pare che l’asino scherzi, o che alcuno forte grasso e naticuto danzi o salti spogliato in farsetto.

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