Questo testo è completo. |
◄ | II | IV | ► |
Munito di forti commendatizie del marchese Guidobaldo del Monte, del cardinale Francesco suo fratello per il loro congiunto Gio. Battista, generale delle fanterie al servizio della Repubblica, e per alcuni patrizi veneti ed altre autorevoli persone, Galileo, sul finire dell’estate del 1592, si recò a Venezia, dopo aver sostato a Padova, dove fu accolto con singolare favore da Gio. Vincenzio Pinelli, il celebre letterato, nella cui casa si raccoglieva il fior fiore dei dotti che risiedevano in Padova ed in Venezia o che vi erano di passaggio. Con l’appoggio autorevolissimo di questo, ed esibendo assai verosimilmente il risultato degli studi al quale era pervenuto, offerse i proprii servigi ai Riformatori, chè così si chiamavano i magistrati che sopraintendevano alle cose dell’Università, e la domanda di lui venne accolta con tanta benignità e con tanta sollecitudine esaudita, che parve la Signoria lo avesse desiderato e ricercato; e con decreto dei 26 settembre egli veniva condotto alla lettura di matematica nello Studio di Padova "per quattro anni di fermo e due di rispetto" con lo stipendio per verità non molto lauto, di cento ottanta fiorini l’anno. Il decreto afferma la grande importanza della lettura, dichiara che la cattedra era stata tenuta a lungo vacante per non essersi trovato fino allora persona adeguata all’ufficio, e che si concede a Galileo Galilei, riguardandolo come il principale di questa professione. Il 7 dicembre leggeva il discorso inaugurale, e di esso ci vien riferito che "exordium erat splendidum, in magna auditorum frequentia"; ed il 13 successivo dava principio alle lezioni.
I Rotuli dello Studio, o, come si direbbe oggidì, i programmi dei corsi, fino a noi pervenuti dimostrano che l’insegnamento pubblico di Galileo, rimasto "ad libitum" nel primo anno, non uscì nei successivi dalla cerchia consuetudinaria degli argomenti che venivano letti dalla cattedra di matematica di quel tempo in tutte le università italiane: cioè, la Sfera, intendendosi con essa i principii della cosmografia, la teoria dei pianeti, l’Almagesto di Tolomeo, gli Elementi di Euclide e le Questioni meccaniche di Aristotele.
E benchè nella opinione copernicana circa il moto della terra, possa dirsi che Galileo fosse venuto fin dal suo primo applicare a questi studi; ed anzi sia lecito affermare ch’egli n’avesse intuita la verità prima ancora d’aver raccolto le prove necessarie a dimostrarla, non è dubbio ch’egli non ne fece tema del suo insegnamento pubblico, e forse nemmeno di quello privato, confidandosene soltanto coi più intimi e trattandone nel carteggio. Mercè quella ipotesi, come allora si preferiva chiamarla, gli si facevano bensì chiare le cause di molti fenomeni naturali d’altronde inesplicabili; ma, come dichiara nella prima sua lettera al Keplero, dal manifestare pubblicamente il suo pensiero in proposito, si tratteneva per timore di dividere le sorti del Maestro, deriso e beffeggiato.
Perchè nel propugnare il sistema copernicano non si trattava solamente di cogliere in fallo Aristotele e Tolomeo, ma bensì di demolire quel complicato edifizio che, di fronte alla semplicità del sistema sostenuto dal canonico di Thorn, appariva mostruoso; si trattava di una immensa rivoluzione nell’ordine scientifico e religioso, della cui portata può soltanto fornire una adeguata idea la persecuzione della quale fu oggetto il sommo nostro filosofo. Galileo dovette fin da principio comprendere tutti i pericoli che poteva trarre seco il sostenere una dottrina di tanta importanza ed in appoggio della quale non si sentiva ancora d’aver raccolto tutto il corredo dei necessari argomenti. Se così acerba guerra eraglisi mossa a Pisa quand’egli con sensibili esperimenti, demolendo la meccanica di Aristotele, poneva le basi fondamentali della dinamica, che non sarebbe avvenuto se ad un tratto egli si fosse fatto ad insegnare dalla cattedra il moto della terra? I peripatetici sono lettori e scrittori, e quindi suoi pari; alle loro osservazioni contrappone altre osservazioni, ai loro argomenti altri argomenti; e come ha coscienza della sua dottrina e della loro ignoranza, così si vale con fierezza e con sicurezza di tutte le armi che gli vengono fornite dall’ingegno, e dallo studio; esamina, discute le loro opposizioni con vigoria dialettica, e non di rado con fina e pungente ironia: contro loro, in una parola, Galileo può liberamente ed efficacemente discutere, avendo dalla sua anche alcuni ecclesiastici. Avversarii di natura diversa sono i teologi: essi rifuggono dall’esame e dalla disputa, perchè si credono giudici e non uguali, mettono la Scrittura Sacra avanti il ragionamento e le osservazioni, rivendicando a sè soli la prerogativa di interpretarla. Nulla possono contro di essi le armi dello scienziato; Galileo non può appellarsi dal loro giudizio a quello del pubblico; gli è interdetta la difesa, egli è inerme al loro cospetto.
Conscio della gravità dell’argomento, Galileo ben comprendeva come il dichiararsi semplicemente seguace delle dottrine copernicane poteva riuscire di ben poco profitto per diffonderle e per farle accettare: era mestieri che nuove ricerche, nuove scoperte nell’ordine astronomico e fisico, ne dimostrassero la piena ed assoluta verità, ponendole affatto fuori di questione.
Dal fin qui detto scaturisce adunque senza dubbio alcuno la conseguenza già annunciata, cioè che Galileo durante la sua dimora a Padova, nel suo insegnamento ordinario, così pubblico come privato, e trattando così della Sfera come dell’Almagesto, come infine delle teoriche dei pianeti, non si scostò affatto dalle opinioni tolemaiche, per quanto fino d’allora fossero contrarie alle sue intime convinzioni; e soltanto in una lettera a Iacopo Mazzoni, che del documento epistolare ha semplicemente la forma, dichiarò di tenere per assai più probabile la opinione dei Pitagorici e del Copernico circa il moto e sito della terra che l’altra di Aristotele e di Tolomeo.
L’attività didattica di Galileo nei dieciotto anni della sua dimora a Padova, ch’egli stesso chiamò i più felici di tutta la sua vita, non si rimase, come per incidenza abbiamo già accennato, entro il recinto dello Studio, ma al pubblico insegnamento accoppiò il privato, impartito a scolari ed a gentiluomini, alcuni dei quali, conforme l’usanza del tempo, stavano a dozzina nella stessa sua casa. E tra essi qualcuno fu più tardi decorato della porpora, e salì sul trono. Possiamo anzi precisare che a tali lezioni fornirono argomento l’uso del compasso geometrico e militare, le fortificazioni, gli Elementi di Euclide, la prospettiva, la meccanica, la sfera, l’aritmetica e la gnomonica, più frequentemente le prime, più di rado le ultime; e per alcune tra esse stese egli anco trattati che giunsero fino a noi, e dei quali cedeva ai suoi uditori copie fatte trascrivere da un amanuense che a tal fine tenne per qualche tempo presso di sè.
Non tanto per la intrinseca importanza, quanto per un celebre dibattito al quale diede luogo, vuolsi far particolare menzione del Compasso, dagli usi ai quali poteva servire intitolato "geometrico e militare", e, per verità, più che altro un notevole perfezionamento del "compasso di proporzione" ideato parecchi anni innanzi dal marchese Guidobaldo del Monte.
Questo strumento, che l’invenzione dei logaritmi, avvenuta qualche tempo dopo, faceva relegare nei musei, era destinato ad agevolare una quantità di operazioni aritmetiche e geometriche con svariatissime applicazioni, e poichè di apprenderne l’uso e di possederlo erano desiderosi moltissimi tra i suoi scolari, Galileo tenne lungamente seco un meccanico dal quale insieme con altri strumenti matematici lo faceva costruire, diffuse grandemente per mezzo di copie manoscritte la relativa istruzione, e finalmente si decise a pubblicarla per le stampe, servendosi d’una tipografia piantata, a quanto pare, nella sua casa stessa. Questa è anzi la prima scrittura di lui che si abbia a stampa e fu data alla luce nel 1606.
Un giovane milanese, Baldassare Capra, venuto a Padova per oggetto di studio, che andava esercitandosi nelle osservazioni astronomiche con la guida d’un tedesco, Simone Mayr, e che, col mezzo di comuni amici, aveva avuto da Galileo stesso istruzioni circa l’uso dello strumento, ebbe la disgraziata idea di appropriarselo e di pubblicare in latino un libro nel quale il plagio era condito di insinuazioni contro Galileo e di una quantità straordinaria di madornali errori. Il fatto, gravissimo, non poteva essere lasciato impunito, e ciò tanto più perchè altra occasione aveva avuto Galileo di dolersi del Capra, il quale aveva trovato da ridire a proposito delle opinioni da lui pubblicamente manifestate circa la nuova stella apparsa nell’ottobre del 1604. Denunziato il plagio ai Riformatori dello Studio ed istituito un processo, Galileo ottenne solenne riparazione con la condanna del Capra e il sequestro e la soppressione del suo libro; nè contento di ciò, pubblicò una sua "Difesa contro alle calunnie et imposture di Baldessar Capra", dandovi larghissima diffusione.
I lavori dei quali siamo venuti fin qui brevemente discorrendo non sono tuttavia nè i soli nè i maggiori tra quelli che Galileo preparò e compì durante il suo soggiorno padovano: vanno infatti tra questi annoverati, una macchina per sollevare l’acqua morta e per la quale anzi ottenne un privilegio dal Senato, le esperienze ed un discorso intorno alla percossa, gli studi sull’armatura delle calamite, sull’isocronismo delle oscillazioni del pendolo, l’esplicito enunciato della legge degli spazii percorsi dai gravi liberamente cadenti, i primi esperimenti che condussero all’invenzione del termometro; appartengono infine a questo medesimo tempo gli studi e le ricerche con cui pose i fondamenti di quelle che tanti anni più tardi chiamò le "Nuove Scienze". E per nulla tacere di ciò che appartiene a questo periodo che, scarso di pubblicazioni ma copiosissimo di frutti, fu indubbiamente il più fecondo di tutta la sua vita, aggiungeremo che ad esso risalgono anche quegli studi letterari sul Tasso ed i relativi confronti con l’Ariosto che hanno suscitato e suscitano tuttavia così vivaci controversie.