< Gazzetta Musicale di Milano, 1842
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N. 8 - 20 febbraio 1842
N. 7 Suppl. al N. 8

GAZZETTA MUSICALE DI MILANO N. 8. DOMENICA 20 Febbrajo 1842. Si pubblica ogni domenica. — Nel corso dell’anno si danno ai signori Associati dodici pezzi di scelta musica classica antica e moderna, destinati a comporre un volume in 4.° di centocinquanta pagine circa, il quale in apposito elegante frontespizio figurato si intitolerà Antologia CLASSICA MUSICALE. La musique, par des inflexions vives, accentuées, et, pour ainsi dire, parlantes, exprime toutes les passions, peint tous les tableaux, rend tous les objets, soumet la nature entière à ses savantes imitations,et porte ainsi jusqu’au coeur de l’homme des sentiments propres à l’émouvoir.» J. J. Rousseau.

Il prezzo dell’associazione annua alla Gazzetta c nl1 Antologia, classica musicale è di Aust. lire 24 anticipate. Pel semestre e pel trimestre in proporzione. L’affrancazione postale della sola Gazzetta per l’interno della Monarchia e per l'estero fino a confini è stabilita ad annue lire 4. — La spedizione dei pezzi di musica viene fatta mensilmente e franca di porto ai diversi corrispondenti dello Studio Ricordi, nel modo indicato nel Manifesto. — Le associazioni si ricevono in Milano presso l’Ufficio della Gazzetta in casa Ricordi, contrada degli Omenoni N.° 1720; all’estero presso i principali negozianti di musica e presso gli Uffici postali. - Le lettere, i gruppi, ec. vorranno essere mandati franchi di porto. AVVERTIMENTO. Per poter dar luogo a’ molti importanti articoli, altri già comunicati, altri promessi dai signori collaboratori, quindi innanzi, oltre il foglio settimanale, si daranno ogni mese due supplementi, e ciò senza verun aumento nella spesa l'associazione. Col foglio di domenica ventura verrà pubblicata la già annunziata aria con cori dell’Orfeo di Gluck, e nel foglio stesso si leggerà una notizia biografico-critica riguardante questo sommo compositore e la grande riforma da lui ideata e compiuta nello stile melodrammatico. In oltre unita alla susseguente pubblicazione del giornale i signori associati riceveranno la tanto lodata suonata in do # minore di Beethowen per pianoforte solo. E così si far à di corrispondere in parte all'insperato favore col quale il pubblico musicale volle accogliere questa Gazzetta. GIOVANNI RICORDI. TEORICHE MUSICALI Dell’Istromentazione ARTICOLO I. (Vedi il Proemio a questi articoli, nel N. 5.) In veruna epoca della storia della musica non si fece come al presente tanto parlare dell'istromentazione. Teniamo per fermo essere ciò cagionato dallo sviluppo tutto moderno di questo importante ramo dell’arte e fors’anco dalla quantità di critiche, opinioni, dottrine diverse, giudizii, ragionamenti o sragionamenti parlati e scritti di che le menome produzioni de’ più minuscoli compositori sono al dì d’oggi argomento. Sembra vogliasi al presente attribuire alta importanza a quest'arte dell’istromentare che nel passato secolo si ignorava (l) e al

(1) Ne sembra troppo assoluta questa assertiva del signor Berlioz. Gite nel passato secolo l’arte della stromentazione fosse lontana dal grado di isviluppamento e di meravigliosa ricchezza a cui l’addussero i sommi compositori del tempo nostro, cui furono capiscitela il gran Mozart, il fantastico e sublime Beethowen, e l’immaginoso e potente Rossini, nessuno oserà certo porre in dubbio: ma che gli scrittori dell’epoca anteriore alla nostra mal conoscessero l’uso dell’orchestra al punto di potersi affermare che ignoravano l’arte della stromentazione, è sentenza fuor del vero. Quei compositori non poteano certo valersi dei tanti mezzi di istromentazione dati dall’attuale sviluppo dell’esecuzione istromentale e della massima perfezione cui fu addotta la fabbricazione degli stromenti; ma ciò che nel loro stromentare mancava in abbondanza, ardimento e complicazione era compensalo da una singolare semplicità e purezza di forme, o più che tutto da una gassatissima appropriazione del colorito strumentale. Valgano ad esempio di quanto affermiamo gli Oratorj di Hamdel, di ltaydn, ec. L. E.


cui incremento molti, i quali volevano aver voce di veri amici della musica con non poco calore si opposero. Senonchè al momento ch’io scrivo v’ha chi si adopera in altro modo a frapporre ostacoli al progresso musicale. Le cose camminarono sempre di codesta guisa, il perchè non ci dobbiamo punto meravigliare di questo fatto che sì spesso ricorre. Sulle prime altra musica non st volle considerare per buona, tranne quella che si intesseva rii armonie consonanti-, ed allorachè Monteverde (1) tentò aggiugnere la dissonanza di settima alla producente, non ebbe penuria di biasimo, di minacce e di invettive d’ogni specie. Ma poiché fu accettata la dissonanza di settima a dispetto degli oppositori, e più tardi anche le dissonanze per sospensione e ritardo, trascorsero ben presto, almeno i così chiamati dotti, a disprezzare ogni qualunque composizione la cui armonia fosse semplice, chiara, dolce, sonora, naturale; per dar nel gusto di quei barbassori era mestieri che la fosse tempestata di accordi di seconda maggiore e minore. di settima, di nona, di quinta e quarta, adoperate proprio a casaccio e senza altra mira fuor quella di rendere questo stile armonico il più possibile sgarbato e spiacevole all’orecchio. Que’ dotti musicanti avean pigliato gusto alle sospensioni dissonanti al modo stesso che certi animali il prendono al sale, al tabacco, alle erbe pungenti. Era un vero abuso di reazione. Di mezzo a tutte quelle belle combinazioni non trovavasi orma della tanto desiderata melodia; e quando la melodia sorse si schiamazzò alla rovina dell'arte, alla manumissione delle regole consecrate ec. ec. A dar retta a codesti esagerati nemici della più bella delle innovazioni, bisognava dire che tutto era perduto! E nondimeno la melodia mise bellamente le sue buone radici. Senonchè non istette molto a farsi strada la reazione melodica. Vi ebbero de melo


(I) Claudio Monteverde di Cremona, non solo fu il primo ad aggiugnere la dissonanza di settima alla produecntc, ma osò bcnanco servirsi della quinta diminuita coinè consonanza. Introdusse le dissonanze doppie con preparazione e provossi di praticare in nuove maniere le dissonanze di passaggio. Abbenchc egli siasi ingannato in diversi punti, come gli venne addimostrato dall’Artusi, può dirsi essere egli de’ primi tra musicanti ai quali la tonalità c la moderna armonia vennero debitrici delle maggiori obbligazioni..Egli è indubitato, dice il Carparti, che le dissonanze sono come il chiaroscuro nella pittura. Col mezzo dell’opposizione e del confronto danno esse più risalto ed effetto all’accordo vero, ne accrescono il desiderio c svegliano cosi l’attenzione, operando a guisa degli stimolanti clic si danno agli obesi e. sonnacchiosi. Quel momento di inquietudine che producono in noi si trasforma in piacere vivissimo allorachè sentiamo poi l’accordo, quale l’orecchio nostro non cessava di travederlo e desiderarlo. Non è a dire per ciò quanto vantaggio recassero alia musica, coil’introdurvi le dissonanze, lo Scarlatti, c molto prima di lui il Monteverde, scoprilar primo di questa miniera di bellezze». L’E. disti fanatici ai quali pareva intollerabile qualsivoglia pezzo di musica che oltrepassasse le tre parti reali. A taluni anzi sarebbe piaciuto prescrivere che nella maggior parte de’casi il canto non fosse accompagnato che da un basso, e si lasciasse tutto all uditore d bel piacere d indovinare le note intermedie degli accordi! Altri finalmente spingevano un pochi» più innanzi le pretese, vai a dire non volevano accompagnamento di sorta; e Rousseau si provò ad affermare essere l’armonia una barbara invenzione! Venne la lor volta anche per le modulazioni. All epoca nella quale non si costumava che di modulare nei modi relativi, il primo che osò trascorrere a una tonalità estranea udì gridarsi dietro al sacrilegio; ei doveva aspettarselo. Qualunque fosse l’effetto prodotto dalla sua modulazione i bacalavi la biasimarono mettendosi le mani ne’ capelli. L’innovatore aveva un bel dire: «Ascoltatela bene: badate come ella è dolcemente preparata, e motivata e destramente legata con quanto precede e segue, e con quanta soavità ella si svolge!» - «Non si tratta di ciò: gli si rispose; questa vostra modulazione è vietata dalle regole; dunque bisogna schivarla». Ma poiché assolutamente non si trattava, appunto che di ciò, cosi non guari andò che le modulazioni non relative pigliarono posto nella musica di gran stile, e vi produssero delle impressioni tanto più gradite quanto meglio inaspettate. Quasi al tempo stesso venne oltre un altro genere di pedantismo e furono veduti degli scrittori di musica riputar vergogna il modulare dalla tonica alla producente e sbizzarrire allegramente nel menomo rondò, passando dal modo di do naturale a quello di Ja diesis maggiore. À poco a poco il tempo ha messe le cose tutte al giusto loro posto; si fece distinzione tra l’uso e l’abuso, tra la vanità reazionaria e la insensatezza e la ostinazione, tanto che al presente si è quasi generalmente disposti ad acconsentire che, in fatto di armonia, di melodia e di modulazioni, è buono tutto che produce buon effetto, e cattivo quanto produce un effetto cattivo, e non avere in contrario autorità veruna la voce dei più vecchi dottori della scienza 0). Per ciò che riguarda l’istromentazione, (1) Preghiamo i nostri lettori a far osservazione alla aggiustatezza e alla gastigata severità di queste opinioni del signor Iìerlioz, le quali senza dubbio contraddicono alle idee che taluni per avventura si sono formate delle sue teorie musicali credute a torto, sulla fede di critici o inesperti o passionati, stravaganti, assurde e licenziose. LE. l’espressione, ed il ritmo la cosa va ben altrimenti. Venuta molto più tardi la volta d’essere presi ad esame, respinti, accettati, inceppati, sciolti d’ogni vincolo ed usati senza regola, non poterono sinora aver tocco il punto al quale prima di essi arrivarono gli altri rami dell'arte. Diremo solo che l’istromentazione procede innanzi per la prima; ella corre ora lo stadio dell'esagerazione. Ci vuol del tempo non poco per scoprire i mediterranei musicali, e moltissimo poi ce ne vuole ad imparare a navigar per essi! Nell’aspettativa che sorga il giorno, forse poco lontano, in cui l'arte di strumentare giunga alla normale sua floridezza, spendiamovi intorno alcune parole. Ogni corpo sonoro adoperato dal compositore è uno stromento di musica: però ecco la divisione dei si può disporre al presente.

Pizzicati.

Arpa, chitarra, mandolino, liuto.

Stromenti da corda.

A percussione con martelletti (il pianoforte), posti in vibrazione con archetti (violino, viola, violoncello, contrabasso, viola d’amore).

Stromenti da fiato.

A linguetta (oboe, corno inglese, fagotto, contro-fagotto, clarinetto, corno bassetto). Senza linguetta (flauto grande e piccolo (1), flagioletto). A imboccatura e di ottone (corno, tromba, cornetta, trombone, offlcleide). L’organo. La voce d’uomo, di donna, di fanciullo, di musico.

Stromenti a percussione.

D’una tonalità fissa e percepibile (i timpani, le campane). D’una tonalità impercepibile e non producente che dei romori diversi caratteristici (il tamburo militare, la gran cassa, i cimbali, il triangolo, tam tam, pavillons chinois). L’applicazione di questi diversi elementi sonori, sia per dar colorito alla melodia, all’armonia, al ritmo, sia per produrre delle impressioni sui-generis (determinate o no da un’intenzione imitativa) indipendentemente da qual siasi concorso delle altre tre grandi potenze musicali, costituisce l’arte dell’istromentazione. Parmi aver detto altrove che questa non è arte che si impari, come non si impara l’arte di trovare de’ bei canti, delle belle successioni di accordi e delle forme ritmiche originali e potenti (2). E d’uopo limitarsi ad additare i risultamenti che dalla maggiore o minor capacità del compositore chiamato a riprodurli, verranno in diversa guisa modificati o bene o male (3). E ciò gli è quanto ci proponiamo di fare senza aspirare menomamente ad erigerci precettori, e solo corroborando questo studio con alcune osservazioni pratiche, a nostro giudizio non inutili, intorno all’uso disadatto o imperfetto dei vari stromenti. (1) Anche il flauto d’amore che potrebbe dirsi il contralto del flauto ordinario che si usa nelle orchestre, vorrebbe essere citato specialmente, ed ove fosse adoperato dai compositori con discernimento e opportunità riuscirebbe di grande effetto nelle stromeutazioni, per la molto patetica e dolcissima sua voce. (2) Ne sembra che il signor Berlioz avrebbe fatto bene a limitare d’alcun poco il significato di questa sua proposizione. Per riuscire eccellenti nell’arte di stromentare bisogna senza dubbio aver avuto in dono dalla natura un talento musicale che non si apprende a nessuna scuola: ma l’arte di usare de’ più perfetti mezzi dell'istromentazione e di combinarli in guisa che abbiano a corrispondere meglio agli effetti voluti dalla fantasia del compositore debbe essere studiata per principii e si perfeziona mediante l’esperienza ripetuta. Uno scrittore di musica il quale abbia sortito un genio anche straordinario non riuscirà mai al tutto valente nella difficile dottrina dello stromentare se non avrà ben ponderate e analizzate le migliori partizioni dei grandi maestri. Or che è questo se non imparare? L’E. (3) Ed ecco appunto, con buona pace del sig. Berlioz, ciò che chiamasi studiare per imparare: dunque anche l’arte dell’istromentazione è arte che si impara. L’E.

Fra gli stromenti a corde pizzicate la sola arpa è al tempo nostro generalmente adoperata. Il mandolino è cosi fuor d’uso che ne’ teatri sui quali si produce il Don Giovanni si è quasi sempre imbarazzati per far eseguire l’accompagnamento posto da Mozart al canto della serenata, sebbene con pochi giorni di studio un suonator di chitarra od anche un violinista comune possa pigliar sufficiente pratica del manico del mandolino e pizzicarne colla necessaria rapidità e colla penna le corde metalliche. Sono si poco rispettate in generale le intenzioni de’ grandi maestri ove sia necessario distorsi menomamente dalle vecchie abitudini, che quasi tutte le orchestre (non esclusa quella del Grand’Opera) si permettono far eseguire la parte del mandolino, nel Don Giovanni (l), o dai violini dalla chitarra. Il timbro di questi stromenti manca della finezza mordace propria a quello cui vengono surrogati, e Mozart sapeva pur bene il fatto suo allorché sceglieva il mandolino per accompagnare il canto erotico del suo eroe. Quanto al liuto, io non ebbi mai a vederne, sicché dubito grandemente se in tutta Parigi si troverebbe un artista capace ad eseguire il passo nel quale Sebastiano Bach Io adoperò nel suo Oratorio della Passione. Non è ella questa una mancanza dannosa? E perchè mai non si provvede a impedire che non si perda l’uso di stromenti gradevoli e d’altronde illustrati dalla parte importante che ad essi affidarono i più grandi maestri nei loro capolavori? Ufficio de’ Conservatorii non è appunto quello di conservare?... Dappoiché il pianoforte si è introdotto in tutte le case nelle quali siavi la menoma velleità musicale, la chitarra diventò quasi disusata dappertutto tranne in Italia (2) e in Ispagna. Alcuni pochi virtuosi la coltivarono e tuttavia la coltivano come stromento solo, in modo da cavarne effetti deliziosi quanto originali. I compositori non la adoperano punto nè nelle chiese, nè in teatro, nè nei pezzi d’accademia. E cagione di ciò la debole sua sonorità che rende impossibile associarla ad altri stromenti o a molte voci dotate di ordinaria intensità. E nondimeno molte volte potrebbe essere posto in bella evidenza il carattere della sua voce dotata di un cotal che di melanconico e di meditativo: e sortirne senza troppa difficoltà un gradevole e pittoresco effetto. La chitarra diversamente dagli altri stromenti tutti, perde ad essere adoperata simultaneamente, e a cagion d’esempio, dodici chitarre che suonassero accordate all’unisono, darebbero un effetto poco men che ridicolo. La stessa cosa non è a dirsi delle arpe, il cui effetto riesce tanto migliore quanto son esse in maggior numero. Le note, gli accordi, gli arpeggi ch’esse versano nel pieno dell’istromentazione e dei cori producono un effetto splendidissimo. Nulla vi ha che meglio simpatizzi colle idee pro-

(1) Il rimprovero che il sig. Berlioz fa alla orchestra del primo teatro di Parigi noi potremmo a buone ragioni rivolgerlo ad altre grandi orchestre, ove molte imperdonabili negligenze ed abusi di questo genere sono tollerati. - Ma ciò sia detto senza la più piccola mira di offendere chicchessia personalmente. L’E. (2) In Italia la chitarra può dirsi attualmente relegata nella bottega de’ parrucchieri e nelle bettole de’ sobborghi. Eppure a’ giorni nostri due italiani provarono a quanta eccellenza si possa ghignerò con questo stromento sì screditalo: Paganini e il famoso Legnarli che quale concertista di chitarra fece meravigliare di sé le principali capitali d’Europa. E recentemente anche il signor Giulio Regondi, giovine di soli 18 anni, diede saggio fra noi, con privato esperimento, di un ingegno straordinario sulla ghitarra.

prie delle feste poetiche e delle pompe religiose quanto il suono delle arpe ingegnosamente adoperate. Isolatamente o per gruppi di due, tre o quattro, le arpe producono ottimi effetti sia che si uniscano all’orchestra, sia che accompagnino delle voci o degli stromenti soli. Meglio di ogni altro timbro conosciuto quello della voce dei corni e dei tromboni, e in generale degli stromenti d’ottone, si marita col timbro della voce del1 arpa. Le due ottave basse, il cui bellissimo suono velato ha un non so che di grave e di misterioso, non vennero quasi mai adoperate per altro che per le note d’accompagnamento della mano sinistra, e a torto. Vero è bensì che gli arpisti si danno poco pensiero di eseguire dei pezzi intieri sopra corde lontane dal corpo del suonatore quanto basti per costringerlo a curvarsi all’innanzi stendendo le braccia e a conservar così per lungo tempo una positura incomoda; ma questa non è tal ragione che dovesse avere molto peso pei compositori; e la vera riposta sta in ciò che e non pensarono a trar partito da questo timbro speciale. Le corde dell'ultima ottava alla hanno un suono dilicato, cristallino e pieno di una certa freschezza voluttuosa che le rende opportune all’espressione delle idee graziose e soavemente fantastiche, e a susurrare i più dolci segreti delle ridenti melodie; tutto questo però sotto condizione che non siano mai messe in vibrazione con troppa forza dal suonatore, perocché in questo caso danno un suono secco, duro, non dissimile da quello di un vetro che si spezzi e per conseguenza molto prosaico, sgradevole e irritante. I suoni armonici del1 arpa e in ispecie di più arpe all’unisono hanno un prestigio anche maggiore. I concertisti le adoperano spesso nelle cadenze armoniche delle loro fantasie, variazioni e concerti. Ma non è facile formarsi un’idea della mirabile sonorità di queste note misteriose unite che sieno ad accordi di flauto o di clarinetto suonati nelle voci di mezzo. La è cosa veramente singolare che solo una volta, e non decorsero più che tre anni, siasi osservata la grande affinità che passa tra questi timbri e quanto abbiavi di poetico nella loro fusione. Malgrado i perfezionamenti arrecati alla costruzione dell’arpa a doppio movimento, la difficoltà del rapido maneggio de’ pedali, e il cattivo effetto prodotto dalla troppo precipitata loro azione sulle corde divietano a questo stromento il facile uso del genere cromatico. Dal che deriva una importante osservazione, vogliam dire che molti scrittori negligenti o ignari della vera natura dell’arpa scrivono per essa musiche ineseguibili o di enorme difficoltà, affidandole dei passi procedenti per semitoni, od armonie che modulano troppo spesso e troppo subitaneamente, o melodie sovraccariche di appoggiature accidentate. Nel caso in cui il movimento della composizione e la qualità della stromentazione esigono il subito passaggio d’una parte dell’arpa da un tuono all’altro molto lontano del precedente, dal mi bemolle, per esempio, al mi naturale, esso non può eseguirsi sullo strumento stesso, ed è quindi mestieri ricorrere a un’altr'arpa accordata in diesis, per succedere d’improvviso a quella accordata in bemolli. Se anche la transizione non è repentina, e non vi sia che un solo arpista, deve nondimeno il compositore affidare al suonatore natore una sufficiente quantità di pause acciocché egli abbia il tempo di togliere tutti i pedali necessari alla modulazione. Quando le arpe sono molte, e adoperate come parti integranti dell’orchestra, e non già destinate ad accompagnare un solo vocale o stromentale, si dividono per solito in prime e seconde e si scrivono in due parti separate, lo che accresce di molto l'effetto. Un maggior numero di parti diverse può tornar molto opportuno; anzi è indispensabile, come ho già detto, quando sia necessario rendere eseguibile, senza interrompere l’esecuzione, un subitaneo cambiamento nella intonazione delle arpe. I bassi rilievi di Tebe, sui quali è effigiata una minuta figurazione delle arpe antiche, ci provano ch’esse non avevano pedali, e die per conseguenza non modulavano punto. Questo bello strumento, la cui origine si perde nella caligine de’ tempi più antichi, pare abbia rappresentata una parte importantissima in Egitto, nelle sacre cerimonie. E. Berhoz.




LA MUSICA IN GERMANIA..

ARTICOLO III (1)

. Dopo Weber, Spohr si argomentò di tenere lo scettro della scena alemanna, ma non potè mai raggiungere la popolarità del suo rivale. Le composizioni di lui erano vuote di quella drammatica energìa che deve tutto animare, tutto fecondare intorno a sè, come veggiamo fare il sole nella natura. Le Opere di Spohr hanno ancora per verità un carattere eminentemente nazionale, perchè toccano sovente le più sensibili corde dell’anima; ma esse mancano affatto di quel contrasto, di quel certo brio nativo sì seducente nelle Opere di Weber, e senza il quale le Opere drammatiche tutte riescono monotone e insignificanti. Marschner deve aversi pel continuatore più fedele di questi due maestri. Egli attinse alle medesime sorgenti che Weber e Spohr, e in poco tempo acquistò gran nome; ma per vaste che fossero le sue cognizioni, non ebbe però ingegno abbastanza valido per mantenere in fiore la vera Opera tedesca già salita al sommo pei capolavori de’ suoi predecessori. Finalmente l’imitazione delle Opere della nuova scuola francese fece una irruzione sì rapida in Germania, e di tal sorte ottenne il plauso universale, che questo vuolsi riguardare come il colpo di grazia per le Opere nazionali tedesche, il cui genere al presente è del tutto perduto. Però egli ci si conviene dare maggior chiarezza a quanto si è detto di quest’ultima epoca, per cagione delle conseguenze che essa ha portato e perchè ciascun già di per sè intende, che il genio alemanno deve affaticarsi per acquistare il merito di questa nuova maniera, come già riuscì ad ottenerlo delle altre precedenti. Questa rivoluzione cominciò in Germania solamente quando comparve Rossini, il cui stile festevole congiunto a tutto il genio richiesto a una tanta riforma, fece comparir miserabili le rimaste reliquie dell’antica scuola italiana la quale, per verità, più non aveva a suo favore che un misero avanzo di forme decrepite. I canti rossiniani pieni di vita, di brio e di pieghevolezza si propagarono per tutto, e la scuola francese si associò anch’essa a questa trasformazione musicale acconciamente collegando quella

(1) Vedi i num. 5 e 7 di questa Gazzetta.

freschezza, quella leggiadria e quell'abbondanza di forme ai peculiari e indipendenti suoi pregi (1).Il genere rossiniano molto guadagnò a vestirsi di questo modo delle forme di uno stile determinato, e i compositori francesi, lanciati su questa strada, produssero Opere degne di sincera ammirazione, specchio fedele in ogni tempo delle nobili qualità del carattere nazionale. Per tal guisa l’amabile spirito cavalleresco della Francia antica sembra avere inspirato a Boéldien la sua deliziosa musica del Jean de Paris perchè la vivacità, e la natural grazia dell’indole francese sono meglio che altrove delineate nel genere dellOpéra comique. Ma il punto di eminenza maggiore del genio musicale in Francia, è per verità la Muette de Portici d’Auber, una di quelle Opere veramente nazionali, e delle quali ciascuna nazione non ne può mostrare più d’uno o due esempi. L’impetuosità del dramma quel mare di passioni e di sentimenti dipinti con mirabili colori, ricco di melodie al tutto originali, graziose ed energiche, non è egli tutto ciò l’ideale e parlante riproduzione degli annali recenti della nazion francese? E chi altri se non un francese poteva intraprendere e condurre a termine un simile lavoro? (2) Non è a contraddirsi che quest’Opera maravigliosa ha posto il colmo alla gloria dell'arte musicale francese, e l'ha mostrata qual degno modello a lutto il mondo incivilito. Perchè dunque si faranno le maraviglie che l’alemanno, dotato sopra ogni altra cosa d’imparzialità, e facile a commoversi, abbia con sincero entusiasmo celebrato questi prodigi artistici d’un popolo vicino? In vero il tedesco giudica meno che ogni altro con prevenzione, e d'altra parte coteste nuove produzioni sovvenirono al loro apparire ad un bisogno manifesto. Imperocché abbastanza si addimostrò dal fatto che la musica drammatica, co suoi più arditi incrementi non avrebbe saputo da sé stessa prosperare in Germania, e ciò per le medesime ragioni che s attraversarono alla perfezione’ del dramma e della commedia. Intanto, il ripeto, i Tedeschi mostrano avere il privilegio di far propria l’arte straniera per renderla perfetta, nobilitarla, e propagarla. Raendel e Gluck l’hanno ad esuberanza confermato, e a’ nostri giorni, un altro tedesco. Meyerbeer, ce ne presta nuovo esempio. Il sistema francese essendo giunto ad una perfezione assoluta e completa non ha più a sperare ulteriori progressi fuorché di vedersi generalmente adottato e di dominare al medesimo grado di splendore; ma questo sarà il più difficile ad avverarsi. Ora perchè un tedesco ne tentasse le prove e ne ottenesse la gloria, era d’uopo che egli fosse dotato di quella disinteressata buona fede che tanto prevale fra’ suoi com- (1) Ed ecco riconoscersi anche dal signor Wagner, l’autore di questo erudito articolo, la irresistibile tendenza del vario genio musicale delle diverse, nazioni a fondersi in una medesima natura, dalla quale, se pur già non emerse col Guglielmo Teli di Rossini, emerger deve splendido delle più grandi sue forme il poema melodrammatico per eccellenza. - Su questo argomento, già fin dal principio del 1840. abbiamo dato un lungo nostro articolo nella Rivista Europea, il qu ale riprodotto in altri giornali fu poscia tradotto in tedesco per la Gazzetta musicale di Lipsia. - Ora ne gode vedere divise le nostre idee da un dottissimo critico oltremontano e ciò tanto più, dacché egli pure con noi si accorda nell’attestare che nella grande trasformazione dell’Opera in musica, cui cooperano il genio diverso delle scuole francese, tedesca e italiana, è tutta di quest’ultima la partecipazione più gloriosa, quella cioè che è ii prodotto dell’ispirazione c del sentimento, rimanendo alle altre l’ufficio di porgere gli aiuti del pensiero, dello spirito e della scienza. Veggasi il fine dell’articolo. L’Estens. (2) A suo tempo verrà fatta ragione di quanto può esservi d’esagerato in questo sfogo di entusiasmo. L’Estens. patriotti, i quali non hanno punto esitato a sacrificare la loro scena lirica, per ammettere e coltivare un genere straniero più ricco di future speranze, e che conviene perfettamente alle tendenze universali. Non si vedrebbe egli ciò avverato quando la ragione avesse trapassato quell’impaccio di pregiudizi che tengono l’un popolo separalo dall’altro, e quando tutti gli abitanti del globo fossero d’accordo a parlare una sola lingua? Si può adunque asserire che in fatto di musica drammatica, il tedesco e il francese ne hanno una sola; che poi le produzioni abbiano veduta la luce nell’uno o nell’altro paese è più presto quistione di luogo che una differenza fondamentale. Da questa intima colleganza tra le due nazioni, e dallo scambievole affratellamento de’ loro genii maggiori, derivò all’arte in generale una duplice inspirazione e una mirabile fecondità, della quale già abbiamo luminosi argomenti. Lesta solo che questa nobile alleanza vieppiù si venga consolidando; perchè dove trovar due popoli, due paesi, il cui accordo e unione possano presagire all’arte più splendida gloria se questi paesi non sono la Germania e la Francia? R. Wagner.




LETTERATURA MUSICALE.

IL MELODRAMMA IN ITALIA

Cenni Storici.

ARTICOLO I.

Firenze delle nostre lettere e d’ogni bell’arte madre e nutrice s’abbia a buon diritto il vanto d’aver dato i primi saggi del melodramma. Prima dell’anno I51M, oltre al genere sacro, non si conosceva altra musica che la madrigalesca, la quale, siccome porta la natura di questo poetico componimento, non dava luogo se non che a rivestirne di semplici note recitative gli arguti concetti, e il sale della elaborata chiusa spiritosa. Però, poco prima deli epoca suddetta, in casa di Giovanni Bardi de’ Conti di Vernio, gentiluomo fiorentino e virtuoso e liberal cavaliere, ove usavano molti altri stimabili personaggi, fra’ quali Girolamo Mei, Vicenzo Galilei, che fu padre del gran Galileo, e Giulio Caccini romano, si venne formando come una specie di accademia, dove principalmente si ragionava del modo onde si potevano tórre di mezzo gli abusi introdotti nella musica a quei dì, riducendola a quell’antico splendore onde potè fra i Greci operare tanti portenti, come narra la storia. À tal fine il Mei compose un libro intitolato: Della Musica antica e. moderna. ed un altro ancora De Modis.Musicae. Vincenzo Galilei col suo dialogo Sulla musica antica e moderna abbattè i contrappuntisti, che erano stati la cagione principale del decadimento dell’arte. Giulio Caccini, valendosi delle fatiche dell uno e dell’altro de’suoi compagni, notabilmente migliorò l’arte, e giunse pel primo ad applicare la musica a poesie appassionate cd affettuose. Essendosi poi trasferito a Roma il conte di Vernio a" servigi di Papa. Clemente Vili, la detta letteraria e musicale adunanza trovò ottimo ricovero in casa di Jacopo Corsi gentiluomo fiorentino.Ivi quei benemeriti continuando i loro studi e le loro sperienze di applicazione della musica, CV’poterono l’anno L>94 esporre la prima pòe- y V sia drammatica intitolata Dafne, favola hoschereccia vii Ottavio Rinuccini poeta fio rentino posta in musica da Giulio Caccini e da Jacopo Peri. Il qual genere di componimento, come quello che dava luogo alla musica di esprimersi con accenti di passione, ottènne tanto favore che fece animo ai predetti maestri sotto la direzione del Rinuccini, e colla protezione e coll’opera del Corsi, a dar mano ad altri componimenti melodrammatici; onde coll'Euridice, tragedia pastorale rappresentata alla presenza di personaggi per dottrina e per istato dei più ragguardevoli di quella età, ottennero lode e plauso grandissimo. Nè in questa solenne rappresentazione si pretermise il magnifico corredo della scena, e la ricca pompa d’ogni macchina atta alle maravigliose trasformazioni favolose. Ma non si pensi che quella musica avesse altra forma di ritmo melodico che quella di rendere in suoni di piano recitativo il contesto poetico del componimento, perciocché a quei dì non s’avea per anco notizia di regola nessuna di tempo e di ballata musicale, nè ancora l’arte si conosceva di proporre, di svolgere e di risolvere un soggetto; nel qual magistero poscia la musica di tempo in tempo progredendo ha spiegato tutto il prestigio delizioso della melodia, e coll’aiuto dell’armonico apparecchio e del corredo stromentale è salita ad eminente grado di perfezionamento. Gli storici musicali del passato secolo, ragionando di que’ primi saggi melodrammatici, ebbero a commendar grandemente quell’antica semplicità della musica, che per nessun modo veniva a ledere la poesia ne’ suoi diritti, e lasciava libera c quasi ignuda campeggiar la parola; anzi proponevano quell’antico modo quasi modello ai loro contemporanei lamentandosi pure che non ne fosse fatto conto quanto si dovea. Il qual fatto non ci sarà difficile a spiegare solo che vogliamo por mente alla lotta che fra la musica e la poesia incominciò ad aver luogo sino dal momento in cui con lodevole consiglio si vollero insieme accoppiare. Certo quello fu un maritaggio non meno singolare nella sua origine, che difficile a consolidarsi in appresso, assegnando a ciascuna delle parti il conveniente diritto, acciocché l’insieme ne risultasse ragionevole e gradito. Però pel corso di due secoli e più il melodramma è stato li ora straziato da’ poeti che componevano drammi disadatti e mal verseggiati, ora manomesso da’ compositori che storpiavano il senso drammatico, talché la critica, che presentiva pure come il perfezionamento di questo genere per la sua incomparabile bellezza avrebbe portato in certo modo quasi un sollievo all’umanità, si scagliava ora contro gli uni ora contro gli altri accusandoli ingiustamente di non saper fare quello che poteva solo essere l’opera di ulteriori scoperte esperienze (1). Laonde in quella penuria di mezzi che (comparativamente all’epoche susseguenti) niuno sarà per negare essere stata nella musica del passato secolo, l’arte che volea pure innalzarsi, trascorreva in fogge viziate e in manierismo scorretto, tal che la critica contemporanea, piuttosto che vedere il guasto del melodramma, ne invocava l’antica semplicità de’ primi tentativi. Ma tornando alla storia, dico, che in circa al medesimo tempo in cui furono dati i primi melodrammi scrii fu rappresentata

(1) Quello che in questi parte abbiano operato i moderni con lode e con abuso è già stato discusso in parte in qualche articoli di questa Gazzetta, e lo sarà ancora in quelli clic a questo faremo seguire risguardanti la storia del melodramma ne’ tempi presenti. L'Èstens.

ancora la prima Opera buffa intitolata Anfiparnasso, poesia e musica di Orazio Vecchi modonese. Il soggetto è un guazzabuglio, i personaggi sono le antiche maschere ridicole del teatro italiano che parlano il loro dialetto: la musica è il peggio che poteva essere a que’ dì, né meriterebbe di essere ricordata se non fosse stata la prima di quel genere. Appresso s’andarono producendo altre Opere senza però frutto alcuno di miglioramento nell’arte, di guisa che da quella prima epoca ricordata venendo sino alla metà del secolo decimosettimo, i migliori esemplari furono quelli dei benemeriti fiorentini Rinuccini, Caccini e Peri. Non pertanto in Roma, in Bologna ed in Venezia fu mantenuto in onore questo genere di teatrale componimento, e recato a miglior foggia di rappresentazione per abbigliamenti scenici, e maraviglioso spettacolo di trasformazioni convenienti a soggetti che allora i più si amavano favolosi. Emilio de’ Cavalieri diede in Roma con sua musica una pastorale di madonna Laura Giudiccioni gentildonna lucchese, e Paolo Quagliati fece il somigliante di un’azione pomposa e di grande spettacolo che fu oltremodo ammirata: tanto che nell’anno 1608, per opera del Cardinal Deli, e di Giulio Strozzi, fu in quella città instituita l’accademia degli Ordinati diretta singolarmente a promovere e favorire la cultura e l’avanzamento del melodramma. Anche prima di questi tempi era stata in Bologna fondata 1 accademia de’ filarmonici da un nobile de’ Carati, la quale tino da’ suoi principii mostrò di dover riuscire scuola di gran progresso, come poscia si sperimentò con sempre crescente splendore di quella sino a tutto il {lassato secolo. Ma negli ultimi rivolgimenti del gusto musicale, che hanno poscia prodotto 1 attuale stato fiorente dell'arte, questa scuola, tenera delle antiche massime contrappuntistiche che un tempo le diedero nome e fama, a quelle religiosamente attenendosi, come se nessuna redenzione da esse in fuori vi potesse essere, si è arrenata in quel vieto calcolo quasi algebrico; di modo che i genii, che da lei nel secol nostro sono usciti, tanto più celebri ed ammirati si sono resi nel mondo quanto più dalle massime della loro scuola si sono operando allontanati. Peccato è che questo ipocritismo musicale in quella scuola continui anche oggidì, e non vi dia una scossa chi. preposto colà all'istruzione de’ giovani nella musica, coll’autorità del suo artistico sapere sovrano e della sua fama più che europea agevolmente il potrebbe. L’anno 1601 si produsse in Bologna per primo melodramma l'Euridice del Caccini e Peri, la quale vi ebbe tanto favore che le rappresentazioni di quel genere furono poscia senza interrompimento alcuno continuate in quella città fino a’ giorni nostri. Similmente in Venezia Claudio Monteverde, maestro di quella repubblica, circa ai medesimi tempi introdusse il melodramma; e la prima Opera che ivi si rappresentò nel teatro di S. Cassiano fu l'Andromeda poesia e musica di Benedetto Ferrari. Questa città fu poscia la sede ove il melodramma ebbe più splendide e magnifiche rappresentazioni. Dopo questi principii il melodramma venne in tanto favore presso gli italiani che le città tutte ne vollero gustare le rappresentazioni, di maniera che, itane fama e relazioni oltremonti, i francesi pei primi, che fino allora non avevano idea d’altra musica italiana che di quella di messer Alberto, fiorentino, chiamato alla corte ai tempi di Francesco I, e di quella degli altri maestri italiani che vi furono sotto le regine Caterina e Maria de’ Medici, si adoperarono a far venire d’Italia buon numero di musici, e il primo melodramma che nel teatro Borbone si rappresentò fu la Finta Pazza del Sacrali con poesia di Giulio Strozzi. Questo addivenne in Francia sotto Luigi XIV, per consiglio e per opera del Cardinal Mazzarini, e fu incirca l’anno 1646. Appresso si diedero altre Opere con successo di gran plauso, onde in Inghilterra, in Germania, ed in Ispagna fu desiderato ed accolto con singolar diletto il dramma italiano eseguito da’ musici italiani. Ma, tornando all’Italia, intorno a quest’epoca si vide il melodramma scadere dal1 antica bontà de’ suoi pruni saggi, e ne fu principal cagione la vaghezza che prese i popoli tutti di correr dietro al maraviglioso scenico, e all'apparato delle trasformazioni improvvise le più inopinate e strane, alle quali possa dar luogo la favola e l’arte maga. Questo prestigio del maraviglioso che abbagliava l’universale del pubblico ed in ispecie la classe degli idioti, questo prestigio potè allora sopraffare l’interesse specifico del dramma e il valor della musica da non essere per altro favorito ed accetto il melodramma che per vedere ad ogni poco cambiarsi la scena, e passare da’ giardini dell'Esperia all’Olimpo raggiante, e da questo al Tartaro profondo, alle caverne infuocate d’Abisso, e quinci agli spazii aerei ove fra le nubi olezzanti gli Dei ira loro dimesticamente ragionavano e decidevano del fato umano. Questo fu cagione che il melodramma alquanto traviò dal retto cammino di progresso, e se ne deve la colpa attribuire in parte a’ poeti, a’ compositori, ed al cattivo gusto del pubblico, e in parte alla necessità, alla sorte di tutte le umane cose che sottrarre non si possono a certe vicende, a certi inconvenienti che danno luogo alle riforme, e queste al progresso e perfezionamento delle arti. Per la qual cosa, noi che abbiamo un gran tratto veduto della vita coniugale della poesia colla musica, ed abbiam potuto sperimentare quali modificazioni nell’una si richiedevano e quali avanzamenti e scoperte nell'altra, possiamo leggermente spiegare questo decadimento del melodramma senza darne tutta la colpa a’ compositori ed a’ poeti. Per queste ragioni non solo decadde il melodramma in Italia verso la metà del secolo decimosettimo, ma divenne ancora il sollazzo quasi indecente della plebe. Perciocché i soggetti de’ drammi s’incominciarono a mescolare di tragico e di ridicolo, tutti i personaggi delle maschere in dialetto ebbero la loro parte fra i regi e gli eroi; e s’incominciò a plaudire a quelle sconciature melodrammatiche celebrandole come capolavori, e ridendone ai medesimo tempo pel ridicolo di cui erano piene. Giaciuto Andrea Ciccognini fiorentino fu uno di quelli che più furono celebrati in questo genere di stravaganti goffaggini, e il suo Giasone (opera eroica in cui oltre al Pantalone, Brighèlla ed Arlecchino ha parte ancora la sguajata e sciocchissima maschera del Tartaglia) fu al suo tempo avuto in conto di melodramma eccellente. Questo pessimo gusto continuò fino a quando alcuni compositori di musica sacra

Segue IL SUPPLEMENTO N. 3


Dall’ I. R. Stabilimento Nazionale Privilegiato di Calcografia, Copisteria e Tipografia Musicale di GIOVANNI RICORDI. Contrada degli Omenoni N. 1720.

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