< Giacinta < Parte seconda
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XI.

Gli sconcerti della gravidanza la costringevano a letto fino a tardi.

Rannicchiata fra le coperte, nei momenti di tregua, Giacinta lasciavasi andare a seconda delle deliziose fantasticherie provocate dal mistero vivente che le si agitava nel seno.

— Chi l’avrebbe immaginato! C’era dunque al mondo un’altra catena più forte dell’amore! Quella piccola creatura, sangue del loro sangue, carne della loro carne, li confondeva ora tutti e due, Andrea e lei, in un corpo e in un’anima sola! Ora soltanto si possedevano intieri, per sempre!

E restava come in orecchio in quella festa, in quella vera ebbrezza che le montava al cervello dalla profondità del seno in gestazione: un dilatarsi, un elevarsi del corpo, voluttuosamente, tra il fluttuar dello sconcerto prorompente di tratto in tratto.

Passava la mattina mutando posto da una poltrona all’altra, con una grande stanchezza nelle ossa, senza voglia di far nulla, sopraffatta dagli intimi sbalzi che le raddoppiavano la pulsazione e le fiorivano i pomelli delle gote sotto il bruno della pelle; rapita da quella voce soave d’amore che le cantava internamente, quasi voce infantile del suo Andrea, ch’ella ascoltava con serene compiacenze di amante riamata, miste ad anticipate tenerezze di madre.

Tutto il passato crollava, sprofondandosi in quel nuovo immenso abisso di dolcezza. Il suo stato non la irritava più con le brevi ma acute trafitture di tutti i momenti, ch’ella spesso non distingueva se di sdegno o di rimorso. Si sentiva giustificata, si sentiva assolta. Di tutto il fuoco dei suoi odii rimaneva appena un pugno di cenere. A che curarsi del mondo! Aveva un mondo a parte, tutto suo; e vi si assorbiva.

Neppur suo marito le repugnava allo stesso modo di prima.

La sera, dopo cena, quando veniva ad accompagnarla fino all’uscio della camera — Giacinta e il dottor Balbi avevano voluto così — ella si lasciava baciare, indifferentemente, come da un fratello. Una volta gli aveva anche reso il bacio, presa da compassione nel vederlo così arrendevole, ubbidiente come un animale domestico, con tutte quelle sue insulsaggini di mezzo grullo. E il povero conte, dalla allegrezza, s’era messo a batter le mani:

— Lasciami aiutarti a spogliare!

Glielo chiese in grazie quella sera, e Giacinta non ebbe il coraggio di dirgli di no.

Marietta dovette starsene da canto.

Con le mani nelle tasche del grembiule bianco, battendo nervosamente un piede, si mordeva le labbra, per non ridere del padrone che stentava a cavar una buccola alla signora!

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