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INTRODUZIONE
Nei tre anni del mio insegnamento universitario in Napoli delineai l’immagine delle due scole, in cui si divise l’Italia nella prima metà di questo secolo, rivoli di scole europee, ma con fisonomia propria, determinata specialmente dalla comune aspirazione all’unità nazionale: la scola liberale, capo Manzoni, e la scola democratica, capo Mazzini. Queste lezioni, raccolte da un mio valoroso e carissimo discepolo, e pubblicate in appendice nel giornale Roma, io lasciai stare per un pezzo, con animo di gittarvi l’occhio più tardi, e cavare da quel materiale un po’ improvvisato, il terzo volume della mia Storia della Letteratura. Il protagonista di queste lezioni era Alessandro Manzoni, del quale discorsi tutto intero un anno. Mi stesi troppo sopra alcuni poeti del mezzogiorno; vagai un poco, come avviene sulla cattedra; e non misurando bene il tempo, mi trovai infine che non avevo detto nulla del Guerrazzi, né del Giusti, e me ne dolsi assai, specialmente di quest’ultimo, degno di uno studio apposito e maturo. Incalzato dal desiderio de’ discepoli, e promettendomi di provvedere alla lacuna in un altro anno, cominciai un lungo studio del Leopardi, rimasto interrotto. Nelle vacanze pubblicai nel Diritto queste lezioni sul Leopardi, rivedute, e in una forma più condensata, con grave rammarico de’ miei discepoli, che preferivano la forma calda e larga della cattedra. Continuai il mio studio sul Diritto, e lo lasciai lì senza menarlo a termine, impedito dalle necessità della vita pubblica, e poi dalla mia salute cagionevole. In questo agosto del 1883 ci torno sopra, con la speranza di porvi l’ultima mano. Ho riveduto tutto quello ch’era già pubblicato, con togliere o notare, o aggiungere, come mi pareva meglio. E se tempo e salute mi bastano, sono contento di consacrare gli ultimi anni miei al poeta diletto della mia giovanezza.